di Beatrice Magarò

Il presente contributo si propone di tracciare una sintesi della Relazione della Commissione Parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, (Istituita con deliberazione del Senato della Repubblica del 16 ottobre 2018 e prorogata con deliberazione del Senato della Repubblica del 5 febbraio 2020) approvata in data 18.11.21. La Commissione d’inchiesta ha trai suoi compiti istituzionali quello di «svolgere indagini sulle reali dimensioni, condizioni, qualità e cause del femminicidio, inteso come uccisione di una donna, basata sul genere, e, più in generale, di ogni forma di violenza di genere».

Alla luce di tale previsione la Commissione, nella seduta del 4 agosto 2020, ha deliberato di svolgere un’inchiesta sui femminicidi, intesi come uccisioni di donne da parte di un uomo determinate da ragioni di genere, con particolare riguardo a quelli commessi negli anni 2017 e 2018.

All’esito dell’indagine, condotta anche su fascicoli acquisiti presso i distretti di Corte d’Appello, è emerso, in particolare, che nel biennio 2017-18, in Italia, le donne vittime di omicidio volontario sono state 273 (di cui 132 nel 2017 e 141 nel 2018).

L’inchiesta condotta dalla  Commissione sui 211 procedimenti penali di uccisione di donne perpetrati da uomini, potenziali femminicidi, relativi al biennio 2017/2018, ha fatto registrare alcune criticità in relazione alle quali stimolare un intervento legislativo, anche con riferimento  alla formazione degli operatori del diritto, riguardanti in particolare: a) la non adeguata conoscenza delle peculiarità delle dinamiche della violenza basata sul genere e degli specifici strumenti giuridici utilizzabili per contrastarla e proteggere le vittime, accompagnata ad una non sempre idonea valutazione delle situazioni di rischio per la salute e l’incolumità delle donne che denunciano e dei loro figli; b) la sottovalutazione delle violenze psicologiche ed economiche subite e denunciate ed  il mancato inquadramento del femminicidio come apice di pregresse, gravi e reiterate violenze; c) la tendenza a confondere la violenza domestica con il conflitto familiare, con conseguente «oscuramento» del fenomeno  e con l’ulteriore grave effetto di confermare nell’autore violento il senso di impunità e di determinare nei confronti della donna che subisce la violenza effetti di vittimizzazione secondaria; d) la carenza di un effettivo sistema integrato di collaborazione di rete tra i professionisti specializzati nei diversi settori che possa assicurare un approccio olistico alla violenza; e) la mancanza di comunicazione dei dati tra i diversi livelli, istituzioni e associazioni coinvolti nella presa in carico della donna vittima di violenza e dei suoi figli; nonché di  un efficace raccordo tra la giurisdizione ordinaria e minorile, tra giudizi civili e penali, con particolare riferimento alle informazioni prodromiche all’adozione dei provvedimenti riguardanti l’affidamento dei figlio per l’esercizio del diritto di visita.

Con particolare riferimento alle criticità riscontrate nel sistema giudiziario si è evidenziato che: 1) la risposta istituzionale alla violenza di genere non è sempre pronta, immediata ed efficace soprattutto per quanto riguarda la protezione delle donne e dei bambini, e inadeguata rispetto all’esigenza di interrompere le condotte violente in atto; 2)  le soluzioni adottate, di fatto penalizzano le vittime (anche minorenni), ad esempio prevedendone il collocamento in case rifugio, con conseguente sradicamento dal loro contesto, piuttosto che l’emissione tempestiva di provvedimenti che impediscano la continuazione delle azioni violente limitando la libertà personale dell’indagato; 3) la durata eccessiva dei procedimenti (penali, civili e minorili).

Nell’ottica di un superamento delle evidenziate criticità si è ritenuto opportuno implementare il monitoraggio e la vigilanza dello stesso Consiglio Superiore della Magistratura, in particolare attraverso la verifica in concreto dei singoli progetti organizzativi e dell’effettività dell’azione giudiziaria nella trattazione  dei procedimenti di violenza di genere e domestica, al fine di far emergere il fenomeno, essendo stato  riscontrato che solo l’85% delle donne uccise (e chi era a loro più vicino) non aveva presentato alcuna denuncia.

Sono state, altresì, indicate, misure che potrebbero aiutare ad arginare il fenomeno quali: a) la previsione dell’arresto, anche fuori dei casi di flagranza, per i reati di maltrattamenti contro familiari e conviventi, violenza sessuale, lesioni e atti persecutori ovvero, per i medesimi reati, l’adottabilità del provvedimento di fermo del Pubblico Ministero anche in assenza del pericolo di fuga; b) l’obbligo del patrocinio a spese dello Stato per le persone offese dei reati di violenza di genere, ivi compreso il tentato femminicidio;  c) la possibilità di disporre le intercettazioni in presenza di sufficienti indizi circa la commissione dei delitti sopra citati; d) l’obbligo di disporre l’ incidente probatorio per l’ascolto delle vittime, se richiesto dal Pubblico Ministero anche su sollecitazione della persona offesa o del suo difensore; e)  l’ampliamento dei diritti e dei poteri della persona offesa e del suo difensore, attraverso la comunicazione, da parte del Pubblico Ministero, dell’appello proposto avverso il rigetto di applicazione di misura cautelare dallo stesso richiesta, nonché di ogni altro appello proposto nel caso di sostituzione o revoca della misura cautelare da parte del Giudice; f) la facoltà per la persona offesa di intervenire nel giudizio innanzi al Tribunale del Riesame; g)l’obbligo di trasmissione del verbale di incidente probatorio relativo alle dichiarazioni rese dal minorenne o dalla donna vittima di violenza domestica al giudice civile e al giudice minorile; g) l’obbligo di applicare i dispositivi elettronici di controllo per l’indagato sottoposto a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere, salva specifica ed adeguata motivazione fondata su elementi oggettivi; h) l’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata con prescrizioni per gli autori dei reati di violenza di genere; i) l’obbligo, ove sia disposto l’allontanamento dell’indagato dall’abitazione familiare, dell’ingiunzione di pagamento periodico di assegno previsto dall’articolo 282-bis, comma 2, c.p.p. a favore delle persone conviventi, salva oggettiva impossibilità per mancanza di redditi dell’obbligato.

La Commissione ritiene auspicabili anche interventi organizzativi e formativi per le Forze dell’Ordine, la Magistratura, l’Avvocatura e i Professionisti che assumono incarichi di consulenza nei procedimenti per violenza di genere, al fine di garantire un efficace contrasto al fenomeno e soprattutto promuovere una diffusa cultura del rispetto nei confronti delle donne, in modo rendere immediatamente riconoscibile la violenza e creare tra vittime e Istituzioni un rapporto di fiducia per liberarle dal giogo della violenza.

La relazione della Commissione mette in luce la gravità e, al contempo, la drammaticità del fenomeno della violenza di genere, nonché l’elevata diffusione dello stesso su tutto il territorio nazionale. Tale pervasività trae origine non solo da una cultura maschilista che giustifica la sopraffazione della donna da parte dell’uomo, ma anche dall’incapacità delle Istituzioni di prevenire il fenomeno, anche attraverso percorsi di “alfabetizzazione emotiva” e di raccordarsi con l’autorità giudiziaria al fine di prevenire episodi di violenza. Si auspica una maggiore collaborazione tra autorità amministrative e autorità giudiziarie da un lato e, all’interno della giurisdizione, tra giudici civili e giudici penali e tra Tribunale ordinario e Tribunale per i Minorenni dall’altro, al fine di prevenire l’innescarsi di una spirale di violenza, di favorire il recupero e la rieducazione del soggetto violento e, soprattutto, di tutelare la vittima, aiutandola in un percorso di liberazione dal gioco della sopraffazione.

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