Sentenza Tribunale di Napoli del 6 aprile 2022 est. R. Notaro
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI NAPOLI
– SECONDA SEZIONE CIVILE –
Nella persona del giudice monocratico, dott. Roberto Notaro, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile iscritta al numero xx del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell’anno 20…, promossa
DA
XXX,
rappresentata e difesa dall’avv. xxx, domiciliata presso il medesimo difensore.
ATTORE
CONTRO
Banca YYY
rappresentata e difesa dall’avv yyy presso il cui studio è elettivamente domiciliata.
CONVENUTO
CONCLUSIONI
All’udienza del giorno 10.12.2021 le parti hanno concluso come da note di trattazione scritta.
MOTIVI DELLA DECISIONE
XXX s.a.s. ha convenuto in giudizio la Banca YYY spa chiedendo di accertare la nullità parziale del contratto di conto corrente n. 639.78 aperto il 7.2.1990 per l’illegittima applicazione di interessi ultralegali non concordati ed usurari, per la capitalizzazione degli stessi e l’addebito di cms non dovute in quanto indeterminate, l’addebito di spese non pattuite, l’antergazione e la postergazione dei giorni di valuta. In ragione di ciò ha chiesto l’accertamento dell’esatto saldo contabile del rapporto alla data del 30.6.2013, considerando errato il saldo banca, riportante un debito della correntista di € 95.723,28.
La banca convenuta si è costituita eccependo la prescrizione del diritto alla restituzione delle somme addebitate a qualsiasi titolo nel decennio anteriore alla proposizione della domanda. Nel merito ha dedotto la valida pattuizione delle condizioni negoziali e dei tassi, quanto meno a partire dalla sottoscrizione del contratto di apertura di credito del 31.1.2005, con conseguente validità della capitalizzazione degli interessi, dei tassi ultralegali pattuiti e delle cms, chiedendo per tali ragioni il rigetto della domanda.
La domanda proposta dall’attrice è fondata e va accolta per le seguenti ragioni.
Agli atti è presente il contratto di conto corrente sottoscritto dall’attrice il 7.2.1990, contenente anche la dichiarazione della correntista di aver “preso nota” delle condizioni negoziali, circostanza che esclude la nullità del contratto per difetto di forma alla luce del noto orientamento delle SU in tema di contratto cd. monofirma.
In atti è altresì presente il contratto del 31.1.2005 relativo all’apertura di credito di € 100.000,00. Anche tale contratto è utilizzabile ai fini della decisione, tenuto conto che la scheda negoziale risulta intestata alla società attrice e sottoscritta dal legale rappresentante. Vi è, inoltre, l’espressa indicazione che la linea di credito sarebbe stata regolata sul c/c 639.78, intestato alla società attrice. Vi sono, pertanto, tutti gli elementi per affermare che anche l’apertura di credito del 2005 fosse riferibile alla società attrice e che i relativi addebiti fossero riportati sul conto corrente oggetto della domanda attorea, non avendo l’attrice dimostrato che tale rapporto intercorresse tra altri soggetti.
Il contratto di conto corrente prevede, all’art. 7 la capitalizzazione degli interessi, in violazione degli oramai consolidati principi più volte espressi dalla giurisprudenza. Il ctu ha verificato, inoltre, il mancato adeguamento della banca alle disposizioni della delibera del CICR del 9.2.2000, motivo per il quale ha proceduto correttamente al calcolo degli interessi ed alla determinazione della somma dovuta senza alcuna capitalizzazione degli interessi per l’intera durata del rapporto.
Non vi è quindi alcun dubbio sulla nullità della clausola anatocistica.
L’art. 7 del contratto, inoltre, ha un ulteriore profilo di nullità, prevedendo il rinvio agli usi piazza per la determinazione della misura del tasso di interesse, con conseguente indeterminatezza della clausola.
Per tali ragioni il ctu ha ricalcolato il saldo contabile, escludendo come detto la capitalizzazione per l’intero periodo, applicando quale tasso creditore, trattandosi di c/c acceso in data anteriore al 8 luglio 1992, il tasso legale vigente (allegato n.4) ovvero, se più favorevole al correntista, quello emergente dagli estratti conto scalari. Per i tassi debitori ha applicato il tasso legale vigente dall’apertura del rapporto al 30.1.2005 e dal 31 gennaio 2005 al 30 giugno 2013 ha proceduto al calcolo degli interessi applicando, come disposto dal mandato, il tasso d’interesse convenuto tra le parti come riportato nel contratto di apertura di credito del 31 gennaio 2005 ovvero, se inferiore a quello pattuito contrattualmente, quello emergente dagli estratti conto scalari.
Quanto alle cms, se ne rileva l’assenza di pattuizione nel contratto del 1990, con conseguente esclusione dall’addebito, mentre la clausola contenuta nel contratto di apertura di credito del 2005 è nulla per indeterminatezza in quanto, pur essendo prevista la misura della commissione (0,75% intrafido e 1,25% extrafido) non è stabilito il relativo criterio di calcolo.
Relativamente alle spese e alle commissioni, il ctu ha correttamente escluso dal calcolo quelle addebitate dalla banca in assenza di pattuizione scritta tra le parti, fatta eccezione delle spese dovute per legge, mentre la mancata indicazione dei criteri da seguire per la determinazione delle valute, sia attive che passive, ha determinato che per il calcolo degli interessi ha applicato la data contabile in luogo della data valuta adottata dalla banca.
Quanto alle questioni della completezza degli estratti contabili e del cd. saldo zero si osserva quanto segue.
La giurisprudenza più recente della Cassazione ha più volte affermato che, una volta accertata la nullità di alcune clausole negoziali, il ricalcolo dell’esatto saldo contabile non richiede necessariamente la presenza in atti della serie continua degli estratti conto, dall’apertura alla chiusura del rapporto. Viceversa, la ricostruzione contabile deve essere eseguita sulla base dei documenti prodotti dalle parti, anche se parzialmente lacunosi, mentre il rigetto della domanda del correntista va limitato alle ipotesi di totale carenza documentale. Nel caso in esame mancano solo alcuni trimestri, su un arco temporale di molti decenni, motivo per il quale è possibile ricostruire un saldo contabile “processuale” del tutto attendibile.
Relativamente alla questione del cd. saldo zero va precisato che il primo saldo utile va azzerato non solo quando ad agire sia la banca, ma anche quando la domanda sia proposta dal cliente e vi sia la prova certa che il primo saldo utile sia certamente errato in quanto frutto dell’addebito di interessi anatocistici illeciti. Nel caso in esame vi è la prova che dal 1993 al 2013 la banca ha addebitato alla cliente interessi capitalizzati indebitamente, motivo per il quale può trarsi la presunzione che anche per il periodo precedente vi siano stati tali addebiti illegittimi. Per tale ragione il ricalcolo del conto va eseguito partendo dal saldo zero.
Quanto, infine, all’eccezione di prescrizione sollevata tempestivamente dalla convenuta, essa risulta fondata.
Sul punto va richiamato l’orientamento espresso dalle S.U. con la sentenza n. 15895/2019 secondo la quale l’eccezione di prescrizione risulta validamente proposta senza che la banca possa ritenersi onerata di indicare le singole rimesse oggetto di contestazione.
Tale pronuncia ha confermato i principi in precedenza espressi secondo i quali la prescrizione decennale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell’anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacchè il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del “solvens” con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell'”accipiens”.
Nel caso di specie la banca ha dedotto nella comparsa di costituzione l’avvenuta prescrizione di tutti i versamenti avvenuti nel decennio anteriore alla notifica del primo atto interruttivo rappresentato dalla citazione. Tale dizione, pur molto generica, è a parere del sottoscritto sufficiente a ritenere validamente proposta l’eccezione, in quanto con essa la banca ha chiaramente affermato di ritenere prescritti tutti i versamenti eseguiti dalla correntista nei dieci anni anteriori alla notifica della citazione. La proposizione dell’eccezione, inoltre, contiene in sé l’ovvia volontà della banca di avvalersi dei benefici della prescrizione (C. App. Torino sent. 184 del 15.2.2021).
La Cassazione ha inoltre precisato che i versamenti eseguiti sul conto corrente in costanza di rapporto hanno normalmente funzione ripristinatoria della provvista e non determinano uno spostamento patrimoniale dal solvens all’accipiens e, poiché tale funzione corrisponde allo schema causale tipico del contratto, una diversa finalizzazione dei singoli versamenti, o di alcuni di essi, deve essere in concreto provata da parte di chi intende far percorrere la prescrizione dalle singole annotazioni delle poste illegittimamente addebitate (Cassazione civile, sez. I 26 febbraio 2014, n. 4518).
Nel caso in esame l’attrice non ha fornito la prova dell’esistenza di un affidamento anteriore alla conclusione del contratto del 31.1.2005, con la conseguenza che tutti i versamenti eseguiti anteriormente a tale data vanno considerati come solutori. Sul punto si osserva che l’apertura di credito va necessariamente provata in forma scritta, come ogni altro contratto bancario, certamente a partire dall’entrata in vigore del TU bancario. Per i contratti stipulati anteriormente, quando la forma scritta ancora non era prescritta, la stipulazione in forma orale va provata con elementi rigorosi che siano in grado di determinare la misura esatta del fido pattuito e i relativi tassi. Nel caso in esame, tenuto conto anche dell’espressa contestazione della banca, tale prova rigorosa non è stata fornita, vista la frammentarietà degli estratti conto nel periodo anteriore al 1993 e l’assenza di elementi concreti in base ai quali determinare l’esatto importo dell’affidamento ed il tasso pattuito.
Quanto, infine, alla questione del saldo da utilizzare ai fini del calcolo delle rimesse prescritte, il sottoscritto, pur consapevole di un orientamento diffuso che ritiene utilizzabile il saldo ricostruito, aderisce al contrario orientamento secondo il quale il calcolo delle rimesse prescritte vada fatto sul saldo banca (cfr. in tal senso anche Trib Torino sent 4671 del 20.10.2021). I principali punti critici della pronuncia n. 9141/2020 della Cassazione, che ha affermato il principio del calcolo delle rimesse prescritte sul saldo ricostruito sono due.
In primo luogo, non è possibile rimettere il giudizio sulla qualificazione della rimessa all’esito della declaratoria di nullità, poiché la disponibilità idonea a impedire lo spostamento patrimoniale consiste nella concreta conservazione del potere di disporre di una somma di denaro e non può che essere
verificata sulla base della situazione dichiarata esistente al tempo in cui il versamento è eseguito. Che a distanza di anni si scopra che il c/c era attivo o entro i limiti del fido non toglie che il cliente, nell’intervallo, abbia perduto la disponibilità della somma versata e che l’abbia perduta al tempo stesso del versamento. Dunque, la natura solutoria o ripristinatoria del versamento ha un valore “storico” immodificabile, nel senso che una volta eseguito ha, in quel preciso momento, una funzione univoca: o amplia la provvista o ha natura di pagamento di uno scoperto non contrattualmente consentito. In definitiva, non appena il correntista esegue il versamento sul conto, tale versamento ha una funzione obiettiva e non più modificabile. Il ricalcolo contabile che si esegue in sede giudiziale ha proprio lo scopo di individuare quali sono i versamenti eseguiti dal cliente con funzione di pagamento e quali con funzione di ampliamento del fido e tale ricostruzione non può che essere eseguita in base a ciò che realmente è accaduto nel corso del rapporto e non in base a ricostruzioni successive di una realtà mai esistita nello svolgimento del rapporto.
La seconda ragione che porta a non condividere l’orientamento in esame è di ordine sistematico.
L’istituto della prescrizione è di ordine pubblico, tanto è vero che la sua disciplina non è derogabile dalle parti, con conseguente nullità delle clausole contrarie, e che non è ammessa la rinuncia preventiva ad essa. Ciò in quanto alla base della prescrizione vi è l’esigenza di certezza nei rapporti giuridici. L’eccezione e la domanda proposta in via principale sono gli strumenti processuali attraverso i quali il debitore dichiara al creditore di volersi avvalere degli effetti estintivi della prescrizione. L’accoglimento di tali difese presuppone l’accertamento giudiziale che il diritto fatto valere dal creditore si sia estinto per decorso del tempo. Ma perché vi sia reale ed effettiva estinzione del diritto di credito e perché si possa parlare di prescrizione del diritto vi è una sola strada: il diritto estinto per prescrizione non può produrre alcun effetto positivo per il creditore. Un qualsiasi vantaggio economico ricevuto dal creditore, fondato sul diritto prescritto, non lo qualificherebbe come totalmente estinto per decorso del tempo.
Tale conclusione, difficilmente contestabile, determina che nel caso di azione di ripetizione dell’indebito, il creditore non possa ottenere la restituzione di alcuna somma illegittimamente corrisposta, qualora il relativo diritto sia prescritto. Si precisa che tale ragionamento vale sia per le azioni di ripetizione dell’indebito avanzate in relazione ad un conto chiuso, sia per quelle di mero accertamento di un conto aperto. Ciò in quanto anche il ricalcolo del saldo contabile, connesso all’azione di accertamento, determina un concreto spostamento patrimoniale in favore del correntista, riaccreditando in suo favore gli addebiti illegittimi eseguiti dalla banca.
Ebbene, la quantificazione dei versamenti solutori prescritti ha diverse conseguenze a seconda se venga effettuata sul saldo banca o su quello ricostruito nel corso del processo. È del tutto evidente che la seconda soluzione ha effetti positivi per il correntista, creditore delle somme da ripetere.
Bisogna quindi verificare quale delle due soluzioni sia più conforme ai principi illustrati in precedenza.
Eseguire prima il ricalcolo del conto, eliminando tutti gli addebiti illegittimi, e poi detrarre i versamenti prescritti ha un duplice effetto: non solo i versamenti prescritti sono eliminati dal saldo contabile, ma di essi non si tiene più conto nel prosieguo del rapporto e quindi non concorrono alla formazione del saldo e non producono ulteriori interessi. Ciò è in evidente contrasto con la funzione estintiva della prescrizione, in quanto si finisce per attribuire un vantaggio indebito al creditore il cui debito prescritto continua a produrre in suo favore effetti economici positivi.
Viceversa, individuare i versamenti solutori prescritti sul saldo banca è pienamente conforme allo scopo ed agli effetti propri della prescrizione. In tal modo, infatti, i pagamenti prescritti e non più ripetibili restano definitivamente annotati sul saldo contabile e continuano a produrre i loro effetti sulla ricostruzione dei saldi dei periodi successivi, come se la domanda di ripetizione non fosse mai stata proposta. Ed è questo proprio il senso dell’eccezione (o più raramente domanda) di prescrizione che solleva il debitore: impedire che la richiesta di ripetizione abbia qualunque effetto, proprio come se non fosse mai stata proposta.
La soluzione prescelta trova il suo fondamento anche su un semplice calcolo matematico.
Utilizzando il saldo banca si determina il sostanziale “congelamento” delle rimesse prescritte, che restano annotate sul conto; quindi si determina per il creditore un vantaggio pari a zero (dove zero è appunto l’importo economico delle rimesse prescritte che non possono essere restituite).
Viceversa, utilizzando il saldo ricostruito si avrà come effetto finale un saldo superiore a quello ottenuto con il saldo banca. Ciò vuol dire che l’effetto finale di tale procedimento sarà di attribuire al creditore un vantaggio superiore allo zero. In altri termini con tale sistema il creditore otterrebbe un vantaggio economicamente apprezzabile (per quanto minimo possa essere), certamente superiore a zero. Dunque, non può affermarsi che vi sia stata estinzione del relativo diritto, perché tale diritto avrà attribuito un vantaggio economico al suo titolare.
In definitiva, seguendo la tesi del saldo ricostruito si finisce comunque per attribuire al creditore di un debito prescritto un vantaggio economico, tale che non può dirsi che l’eccezione di prescrizione abbia del tutto bloccato la pretesa creditoria e, dunque, si consente ad un diritto oramai estinto di produrre qualche effetto giuridico. Viceversa, con la seconda impostazione la prescrizione spiega pienamente i suoi effetti, impedendo al diritto estintosi di produrre qualsiasi effetto giuridico in favore del suo titolare.
Per tali ragioni si ritiene che correttamente il ctu abbia eseguito il calcolo delle somme prescritte sul saldo banca.
Tale conclusione non è assolutamente in contrasto con il principio dell’imprescrittibilità dell’azione di nullità e con la sua efficacia retroattiva in quanto la pronuncia giudiziale che dichiara la nullità elimina retroattivamente la clausola. Tuttavia, per il periodo oggetto di prescrizione non sarà eseguito alcun ricalcolo del dare/avere, in quanto al creditore non spetta la restituzione di quanto pagato, mentre per il periodo successivo alla pronuncia dichiarativa seguirà anche quella di condanna alla restituzione dell’indebito.
Tenuto conto di tutti i criteri sopra illustrati, il saldo finale del c/c n.639.78 alla data del 30 giugno 2013 (data ultima emergente dagli estratti conto prodotti in atti), determinato al netto delle rimesse solutorie prescritte, con esclusione della capitalizzazione, degli interessi ultralegali, delle cms e delle spese ove non pattuite, è quello indicato nella tabella della relazione del ctu alla pag. 18 dell’ultimo elaborato depositato il 2.2.2021 (punto c-III metodologia di calcolo-I ipotesi), dal quale emerge un saldo passivo a debito dell’attrice di € 28.373,24.
La soccombenza della convenuta, data dalla modifica del saldo contabile, ne determina la condanna al pagamento delle spese di lite in favore del procuratore anticipatario dell’attrice, tenuto conto del valore della domanda desunto dalla differenza tra il saldo banca e quello accertato giudizialmente, in conformità alla nota presentata dal difensore, con la sola esclusione del compenso richiesto per la fase stragiudiziale.
Le spese di ctu vengono poste definitivamente a carico della convenuta.
P.Q.M.
Il Tribunale, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede:
Dichiarata la nullità delle clausole negoziali del conto corrente oggetto di causa per le ragioni indicate in motivazione e dichiara che alla data del 30/6/2013 il c/c n. 639.78 presentava un saldo debitore pari ad € 28.373,24.
Condanna la convenuta al pagamento, in favore dell’avv. xxx, delle spese processuali che liquida in € 759,10 per spese ed € 13.430,00 per compensi, ai sensi del D.M. Giustizia 10.03.2014 n. 55 (pubblicato in G.U. il 02.04.2014), oltre spese generali, iva e cpa come per legge.
Pone le spese di ctu definitivamente a carico della convenuta.
Napoli, 6.4.2022
Il Giudice
Dott. Roberto Notaro