Il rito del lavoro non ha subito sostanziali modifiche ad opera del D. Lvo 149 a riprova, a quasi 50 anni dalla sua entrata in vigore della modernità di un modello processuale che dà attuazione ai principi di oralità concentrazione ed immediatezza di chiovendiana memoria.

Cercherò di tracciare un primissimo quadro generale sperando che questo nostro incontro possa servire ad evidenziare la portata complessiva degli interventi del legislatore.

 Dunque, la innovazione di maggiore rilevanza è la introduzione degli artt. da 441bis a 441quater con i quali è disciplinato il nuovo rito in materia di licenziamento.

L’art. 35 del D.L vo non prevede una disciplina transitoria diversa per questo nuovo rito e, dunque, dovrà essere applicato per tutti i giudizi introdotti a far tempo dal 1 luglio 2023 a prescindere dalla data in cui è stato instaurato il rapporto di lavoro (D. Lvo 23/2015 ).

Nota bene, l’art. 1 articolo 1, comma 380, lettera a), della Legge 29 dicembre 2022, n. 197 ha anticipato la entrata in vigore al 1 MARZO 2023.

La regola che sembra avere posto il legislatore è quella della applicazione del rito classico quindi il ricorso dovrà esser conforme al modello delineato dall’art. 414 c.p.c. e qualora sia avanzata domanda di reintegrazione la causa avrà carattere prioritario.

La precisazione che la priorità debba essere garantita anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto in verità mi pare inutile poiché non si pone quel problema di diversità del rito che aveva reso necessaria la precisazione nelle norme che regolavano il c.d. rito Fornero.

A mio avviso è evidente che la priorità debba essere assicurata in tutte le ipotesi in cui la domanda di reintegra sia formulata anche se congiunta a domanda indennitaria.

Da un punto di vista pratico, potrebbe essere opportuno concordare con l’avvocatura di continuare ad utilizzare i codici oggetto della Fornero per rendere immediatamente percepibile il diritto alla corsia preferenziale prima che vengano completate le ahimè complesse procedure per la introduzione di un nuovo codice oggetto.

Sembrerebbe rimessa alla buona volontà del Giudice la definizione del concetto di carattere prioritario per cui al fine di evitare disparità eclatanti, si potrebbe o stilare un protocollo con la avvocatura con il quale definire una sorta di scala delle priorità considerata la condizione dei lavoratori. È evidente, infatti, che la condizione di coloro che hanno diritto alle prestazioni per la disoccupazione involontaria è meno drammatica di quella di coloro che non hanno assicurazione sociale.

In mancanza, si dovrebbe prevedere nella tabella organizzativa dell’ufficio un dettagliato elenco di priorità mentre non credo che né con l’uno strumento né con l’altro possano essere imposti i tempi di fissazione.

Il comma IV – all’udienza di discussione il giudice dispone, in relazione alle esigenze di celerità anche prospettate dalle parti, la trattazione congiunta di eventuali domande connesse e riconvenzionali ovvero la loro separazione, assicurando in ogni caso la concentrazione della fase istruttoria e di quella decisoria in relazione alle domande di reintegrazione nel posto di lavoro. A tal fine il giudice riserva particolari giorni, anche ravvicinati, nel calendario delle udienze – mi pare foriero di molti più problemi di quanti ne risolva. Ipotizzare, infatti, la separazione delle domande connesse e riconvenzionali complica la gestione processuale laddove, a mezzo della sentenza non definitiva, sarebbe agevole decidere prima la domanda di reintegra e proseguire il giudizio per le domande connesse.

Per altro, chi ha una esperienza anche modesta di cause di lavoro ben sa che solitamente le così dette domande connesse sono quelle di accertamento della natura del rapporto ovvero della titolarità passiva del rapporto che devono essere provvedute prima e non dopo quella di accertamento della legittimità del recesso.

L’ 441ter disciplina, infine, il licenziamento dei soci di Cooperativa.

Se ve ne fosse bisogno, ricordo che le Sezioni Unite, con la sentenza 27436 del 2017 avevano messo il punto sulle questioni più ricorrenti ed in particolare avevano sancito il carattere unidirezionale del collegamento tra rapporto associativo e rapporto di lavoro nella fase estintiva nel senso che la cessazione del rapporto associativo “trascina” con sé ineluttabilmente quella del rapporto di lavoro.  Per riassumere mentre può esistere un socio non lavoratore non esiste nella cooperativa un lavoratore che abbia perso la qualità di socio.

Ne veniva fatta derivare la possibilità di configurare una duplicità degli atti estintivi, in quanto ciascun atto colpisce, e quindi lede, un autonomo bene della vita, sia pure per le medesime ragioni.

Rimaneva, cioè, preclusa, per il caso di mancata impugnazione della delibera di esclusione, la sola tutela restitutoria mentre era ammessa quella meramente risarcitoria.

Il ripristino del rapporto, cioè, era riconnesso all’annullamento della delibera con la quale si ottiene la ricostituzione sia del rapporto societario, sia dell’ulteriore rapporto di lavoro ripetendosi in tal modo la genesi e fisionomia della dinamica del rapporto sociale.

Il legislatore ha innestato la riforma su queste interpretazioni ribadendo la competenza del Giudice del lavoro, già ritenuta dalla giurisprudenza, sia in ordine ai provvedimenti espulsivi siano essi licenziamento o delibera di esclusione sia sulle altre questioni eventualmente proposte.

La norma dell’art. 441 quater in tema di licenziamento discriminatorio – le azioni di nullità dei licenziamenti discriminatori, ove non siano proposte con ricorso ai sensi dell’articolo 414, possono essere introdotte, ricorrendone i presupposti, con i riti speciali. La proposizione della domanda relativa alla nullità del licenziamento discriminatorio e alle sue conseguenze, nell’una o nell’altra forma, preclude la possibilità di agire successivamente in giudizio con rito diverso per quella stessa domanda – mi pare opportuna per prevenire eventuali contrasti interpretativi.

Per quello che riguarda, poi, il processo “ordinario” del lavoro la riforma di maggiore impatto mi pare quella dettata dall’art. 436bis che sdogana, se mi è permessa la espressione, il modello processuale della sentenza contestuale anche per il giudizio di appello e consente di sfuggire alla gabbia dell’obbligo di motivazione anche sulle questioni non risolutive

Ringraziamo, poi, il legislatore che si è reso conto della oggettiva impossibilità per il giudice del lavoro di appello di rispettare il termine di 15 giorni per il deposito delle motivazioni (438)

Voglio solo ricordare la introduzione anche per le controversie di lavoro della negoziazione assistita con equiparazione dell’accordo ai verbali di conciliazione in sede sindacale sottratti al regime dell’art. 2113 cod. civ..

L’argomento è troppo ampio per poterlo affrontare in questa sede ma ad una prima lettura mi pare che anche la convenzione in materia di lavoro abbia la medesima disciplina ed estensione di quella per così dire ordinaria e, dunque, potremo trovarci a valutare la rilevanza delle dichiarazioni rese dai terzi e dalle parti nel corso della procedura anche se, proprio in considerazione della snellezza del nostro processo, non formulo un giudizio di effettivo frequento utilizzo di questo istituto.

A questo punto mi preme di gettare un sasso nello stagno con riferimento ad un istituto, quello della trattazione cartolare, del quale è stato fatto un uso massiccio nel periodo emergenziale anche con riferimento al processo del lavoro.

Sul punto la discussione è assai più urgente che relativamente alle altre riforme poiché la norma dell’art, 127 ter entra in vigore il 1 gennaio 2023.

Esordisco con le conclusioni: a mio avviso la trattazione scritta non è più, se mai lo è stata, compatibile con il rito del lavoro basti pensare che il termine per la adozione del provvedimento che dispone la sostituzione con le note è pari a 15 giorni ed è, dunque, superiore a quello previsto per legge per la costituzione del convenuto ma inferiore a quello per la notificazione del ricorso.

Il convenuto, dunque, non avrà notizia della diversa modalità di celebrazione se non prendendo visione del provvedimento dal fascicolo telematico posto che la cancelleria non potrebbe comunicare ad una parte non costituita e la parte ricorrente ha già provveduto alla notificazione del ricorso.

Certamente il problema potrebbe essere risolto adottando il provvedimento di sostituzione della udienza con le note in uno al decreto di fissazione della udienza ex art. 415 c.p.c., ma tanto comporterebbe la sostanziale abrogazione della UNICA udienza di discussione propria del rito ex art. 414 e segg. c.p.c..

Con la trattazione scritta, infatti, non si può procedere al libero interrogatorio né al tentativo di conciliazione.

Dunque la trattazione cartolare dovrebbe essere al più riservata alle udienze successive alla prima ma anche per queste con notevole forzatura del dettato delle norme  – anteriori sì ma speciali – di cui agli artt. 414 e segg.c.p.c..

A mente del III comma dell’art. 127 ter, infatti, il giudice provvede entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle note e, dunque, le ordinanze che venivano adottate nel corso della udienza di discussione vengono snaturate come anche viene sostanzialmente abrogata la previsione della possibilità di procedere alla discussione ed alla decisione della causa in qualunque momento processuale in cui il Giudice ne ravvisi la necessità.

In altre parole, ad una udienza dinamica si sostituisce uno statico scambio di note contenenti le sole istanze e conclusioni, con ciò abrogandosi anche il diritto alla discussione su tutte le questioni rilevanti ai fini della decisione.

La Corte di legittimità, poi, con la sentenza n. 33175 del 10.11.2021 ha evidenziato che la norma in tema di sostituzione della udienza con lo scambio di note, parliamo, ovviamente della disposizione emergenziale da cui il 127 ter c.p.c. ha tratto spunto, è relativa alla celebrazione di una singola udienza e costituisce la eccezione laddove la regola rimane quella dell’udienza per così dire in presenza.

Dunque non esiste un rito cartolare  cui possa essere assoggettato un processo per tutta la sua durata.

Inoltre, sempre secondo la ricostruzione che ha offerto la Corte di legittimità, la previsione della possibilità di sostituzione della singola udienza con lo scambio delle note non può comportare la modificazione della fase decisoria.

Tanto, ovviamente comporta che lo scambio di note non  può sostituire la lettura del dispositivo e della motivazione.

Se anche, infatti, volesse sostenersi che il giudice, nel provvedere per la trattazione scritta, possa assegnare alle parti un termine per memorie tese a sostituire la discussione orale, tanto non potrebbe giustificare un radicale stravolgimento della fase decisoria e la inosservanza di un adempimento essenziale, quale la lettura del dispositivo e della motivazione alla presenza delle parti.

Nella sentenza che ho primo citata il Giudice di legittimità ha escluso che le parti, depositando le note scritte previste dalla norma, omettendo di chiedere la fissazione dell’udienza “in presenza”, possano preventivamente rinunciare a far valere la nullità derivante dell’omissione della lettura del dispositivo e eventualmente della motivazione evidenziando con detta nullità non sia nella disponibilità delle parti, tanto più se si considera il rilievo della lettura del dispositivo e della motivazione ai fini del decorso del termine “lungo” (da ult. Cass. 11 febbraio 2021, n. 3394).

In alternativa, occorre configurare un rito cartolare alternativo a quello speciale disciplinato dagli artt. 414 e segg. c.p.c. con conseguente esclusione dell’obbligo di lettura contestuale del provvedimento decisorio ed assimilazione totale delle pronunzie in materia di lavoro con quelle proprie del processo civile  ordinario il che, a mio avviso, risulta una forzatura poiché il complesso della riforma pare delineare la trattazione a mezzo di note scritte come una modalità di celebrazione di UNA udienza e non dell’intero processo.

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