Ringrazio la Scuola, il presidente Francesco Antonio Genovese e i responsabili del corso Costantino De Robbio, Fabrizio Di Marzio e Gianluca Grasso, per l’invito a partecipare al corso della storia della magistratura e dell’associazionismo giudiziario, nella veste peraltro inusuale di intervistatrice; un’occasione unica e originale per ripercorrere con il mio illustre intervistato la storia fino al 2000 di una delle correnti storiche dell’associazione nazionale magistrati, e per approfondire lo studio della storia della magistratura, e con essa quella della funzione del giudice, tema a me caro sin dai tempi della mia formazione universitaria. E da ultimo, ma non per questo meno importante, occasione per incontrare e conoscere di persona Wladimiro De Nunzio, magistrato di alto profilo, che mi ha positivamente colpita e, se posso dire, anche emozionata per la serietà e semplicità con cui, nella relazione inviata alla Scuola giorni fa, ha descritto il suo percorso professionale. Trapela, infatti, dalla sua narrazione, con tutta evidenza, l’amore, l’impegno e l’entusiasmo con cui egli ha svolto sia l’attività professionale che quella associativa.
Mi accingo, pertanto, a intervistare il presidente Wladimiro De Nunzio, che per le sue qualità personale, e il suo percorso professionale e associativo, dal 1970 al 2016, non ha bisogno di presentazioni, ed è un testimone eccezionale della nascita e della vita della corrente “Unità per la Costituzione”.
Prima – se mi consentite – vorrei leggere però poche righe che Adolfo Beria di Argentine scrisse nell’anno 1982, e che ben si adattano al tema del Corso, dal momento che la storia dell’associazionismo in generale, e delle correnti in particolare, si intreccia inevitabilmente con il percorso di democratizzazione dell’ordine giudiziario, con la formazione del magistrato, e con il ruolo stesso della magistratura nella società.
“Il potere, questo oscuro e antico oggetto di paura e di desiderio, che ci attira e ci respinge quotidianamente. Forse per questo, per l’intreccio costante di paure e di desideri, il potere vive nel cuore degli uomini e nella storia di ogni popolo da sempre; e da sempre si ricollega alla vita delle istituzioni, della loro vitalità, dei loro rapporti. E per questo è anche e forse specialmente un problema dei magistrati […] e non solo perché uomini come gli altri esposti come tutti alla paura e al desiderio di avere più potere e di esercitarlo, ma anche perché il mestiere del magistrato è un mestiere solitario che ci lascia più scoperti rispetto ad altri agli intrecci interiori ed esteriori di desiderio e paura del potere […]se non ci sarà in tempi brevi una serie armonica di interventi di riforma e di politica dell’amministrazione della giustizia, noi magistrati siamo condannati a veder accentuata la nostra solitudine istituzionale e professionale[…] ognuno di noi è un’isola, e il sistema giudiziario è quindi più un arcipelago che una piramide […] e questa caratteristica non gerarchica del sistema impone che l’amministrazione della giustizia abbia tutte le risorse e le razionalizzazioni per renderla efficace; altrimenti essa rischia di non avere neppure quella efficienza povera e illusoria dei sistemi burocratici e verticalizzati[…]chiediamo quindi una politica della giustizia non per aumentare il potere di una istituzione[…]ma proprio per non restare separati, isolati, in (quella) solitudine[…](che) spesso porta al pericolo di cadere nel protagonismo, anche politico, nell’incompetenza fantasmatica, nella stessa non serenità nei confronti del proprio convincimento”[1]
Dallo scritto di Beria di Argentine sono passati 40 anni. Wladimiro, tu che hai aderito agli inizi del tuo impegno associativo al movimento “Impegno costituzionale” fondato proprio da Adolfo Beria Di Argentine puoi raccontarci quali furono all’epoca le tue motivazioni e quali i dati più rilevanti e le ragioni della tua scelta?
All’inizio della mia attività, nel 1970 aderii al movimento “Impegno costituzionale” fondato da Adolfo Beria di Argentine dopo che, all’assemblea di Bologna del 1969, era uscito insieme ad altri dalla corrente “Magistratura Democratica”. Il mio impegno associativo si è svolto poi per molti anni, dal 1979 al 2016, in “Unità per la Costituzione”, costituitasi il 17 marzo 1979 a seguito della fusione di “Impegno Costituzionale” con “Terzo Potere”, gruppo guidato da Adalberto Margadonna.[2] Va rammentato, in riferimento al periodo in questione, il ruolo importante dell’Associazione Nazionale Magistrati in quegli anni nella promozione delle leggi Breganze (1966) e Breganzone (1973), che abolirono esami e scrutini con promozioni a ruoli aperti. Aderivo quindi a tale gruppo condividendo l’obiettivo di realizzare, attraverso il superamento dell’esasperato frazionismo, la convergenza in un’unica formazione di tutti i magistrati che si riconoscevano in un identico patrimonio ideologico. Nel documento approvato all’unanimità all’assemblea costituente di Unità per la Costituzione del 17 marzo 1979, dopo aver affermato che andava intransigentemente combattuto l’attacco eversivo alle istituzioni democratiche con una linea d’intervento di rifiuto della logica del ricorso a leggi eccezionali, si richiedeva – in particolare – dagli aderenti al gruppo:
“ – impegno per l’attuazione della Costituzione, dapprima con riguardo particolare ai temi dell’ordinamento della magistratura e via via con riguardo al più vasto quadro delle riforme del sistema giustizia; – riconoscimento del ruolo centrale e portante nel processo di rinnovamento degli artt. 2 e 3 della Costituzione, i quali, mentre pongono la persona umana, portatrice di diritti inviolabili, come fine e fondamento dell’ordine giuridico, parimenti chiedono che all’astratto riconoscimento di tali diritti si accompagni il concreto requisito dell’effettività, e altresì che vengano da tutti adempiuti i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale; – consapevolezza: che la funzione giurisdizionale è da qualificare come un fondamentale servizio sociale, chiamata a rendere concrete le scelte normative in relazione ai bisogni degli individui e della convivenza sociale; che la funzione di garanzia imparziale, che caratterizza la giurisdizione, è stata affidata dal Costituente alla Magistratura come ordine autonomo, in una visione dialettica dei rapporti fra le istituzioni democratiche; che l’indipendenza della Magistratura, sia interna che esterna, è condizione perché la sua funzione di controllo di legalità possa svolgersi anche nei confronti di ogni altro potere, pubblico o privato, in modo da tutelare pienamente le libertà individuali e collettive; che una siffatta impostazione importa, altresì, la difesa della giurisdizione non solo come difesa dall’erosione dell’ambito di giurisdizione posta in atto da parte di altri poteri dello Stato, ma anche come rifiuto delle tendenze che scaricano sulla magistratura compiti e funzioni che non le sono propri; – necessità di affermare e garantire, pur nel rifiutare ogni separatezza dell’ordine giudiziario rispetto al corpo sociale, la più rigorosa laicità della vita associativa e il pluralismo delle idee (e il libero confronto) considerato come fattore positivo di una costruttiva dialettica interna, tesa a rifiutare la tendenza ad una strumentale cristallizzazione delle ideologie della corrente; – esclusione di qualsiasi pericolo di identificazione dell’azione associativa con le forze politiche e con altri centri di potere, che minerebbero la stessa credibilità della funzione giurisdizionale; – indipendenza dei magistrati nell’esercizio della loro funzione che deve essere garantita anche rispetto alla stessa azione associativa; -esigenza per il magistrato di moderazione nel comportamento che necessariamente finisce con influire sulla posizione del singolo nell’attività associativa.”
In questo quadro, il documento fondativo del 1979 concludeva, affermando che:
“Gli obiettivi posti dall’azione associativa si pongono su quattro livelli: a) culturale ( promuovere e favorire lo sviluppo di una attività culturale su alcuni temi di fondo quali il ruolo del giudice, la sua professionalità più aderente alle necessità della società, i rapporti fra il giudice e la società b) deontologico c) riformatore (collaborare alla formazione della legislazione processuale e sostanziale di maggiore importanza d) sindacale (ad oggetto oltre al trattamento economico, quello normativo e in via generale la ferma tutela delle condizioni di lavoro in funzione del servizio che deve essere reso ai cittadini e alla collettività)”.
Il 6/9 dicembre 1989 si svolgeva a Perugia il XX Congresso Magistrati da te organizzato, in qualità di Presidente della Sezione locale dell’ANM, e da Giacomo Fumu, in qualità di Segretario, sul tema: “La giustizia per i cittadini: professionalità, indipendenza e responsabilità dei magistrati e Consiglio Superiore della magistratura”. Cosa ricordi di tale evento?
Ricordo, in particolare, la relazione d’apertura del Presidente dell’ANM Raffaele Bertoni, trascinante rappresentante di Unicost, nella quale venivano elencate le innumerevoli disfunzioni che assillavano il pianeta giustizia, considerati i danni gravissimi che subiscono i cittadini per l’inefficienza del sistema giudiziario. Ampio spazio era poi dedicato all’indipendenza dei magistrati con un accenno preoccupato al progetto di revisione della struttura del CSM che tendeva all’aumento dei componenti di estrazione politica col rischio di consegnare il Consiglio nelle mani dei partiti. Nella relazione si ribadiva che si sarebbe dovuto spezzare ogni forma di rapporto dei giudici con la politica militante, e non solo relativamente ai partiti di opposizione, ma anche a quelli di governo, impedendo ai magistrati tutti quegli incarichi giudiziari, a cominciare dagli arbitrati, che possono appannare l’imparzialità; si ricordava, poi, la richiesta dell’ANM di una nuova normativa sulla responsabilità disciplinare con la tassativa previsione delle singole fattispecie di illeciti disciplinari e la proposta di dare vita a un codice deontologico.
Queste erano le linee di politica giudiziaria che facevano parte del patrimonio culturale di Unicost, e che venivano poi integrate dalle profonde e ancora attuali riflessioni fatte dall’allora Segretario, Gioacchino Izzo, il quale evidenziava la necessità di bandire ogni tentazione dirigistica di gestione del personale magistratuale, in quanto ciò avrebbe comportato una rivisitazione oggettivamente in contrasto con un modello di giudice che deve rendere giustizia, senza speranza né timore per la propria carriera (come dal brocardo latino: nec spe nec metu).Il governo sui giudici – osservava – deve essere invece praticato attraverso verifiche dei comportamenti processuali, e acquisizioni penetranti di elementi valutativi della professionalità; nonché attraverso la prevenzione del formarsi di concrezioni di potere per il tramite della rotazione degli incarichi direttivi. Una condivisibile azione di governo abbisogna poi della valorizzazione dei dati attitudinali nel rispetto delle regole vigenti per la concorsualità; dell’aggiornamento professionale e della formazione permanente e obbligatoria; del rigore della giustizia disciplinare; della contrazione degli incarichi extragiudiziari retribuiti.
Rileggendo le relazioni di quel congresso, mi sono accorto di quanto siano ancora attuali le riflessioni del Segretario di Unicost quando evidenziava l’importanza del tema della professionalità, e manifestava la sua preoccupazione per i progetti di rivisitazione della composizione dell’organo di governo autonomo, nonché dei rischi connessi ad un progetto di bipolarizzazione della magistratura associata, tendenti ad accreditare una visione dualistica come attestata su poli di conservazione e progressismo, e lo strisciante scivolamento verso l’estraneazione del PM dall’area del giudiziario. Così pure quando rilevavacome dalla disaffezione dei magistrati verso la propria associazione, con ricadute di partecipazione ai momenti assembleari, conseguiva non solo un’apatia interna ma anche una calcolata apatia esterna capace di alimentare un disegno di marginalizzazione dell’ANM la cui vitalità ha costituito la pre-condizione per le conquiste più significative della Magistratura in punto di effettività del ruolo indipendente della giurisdizione.
Hai parlato ora dello strisciante scivolamento verso l’estraneazione del pubblico ministero dall’area del giudiziario, argomento oggi di scottante attualità. Vuoi spiegarci quale fu all’epoca la posizione del gruppo di Unicost?
In un mio intervento al Convegno di Orvieto del 1996, rappresentavo con chiarezza la posizione del Gruppo, secondo cui il rimedio della separazione delle carriere proposto dalle forze politiche per fronteggiare, a loro dire, le accuse di “gigantismo e rampantismo del PM”, era peggiore del male. Con le seguenti considerazioni: la separazione delle carriere porta “necessariamente” ad un controllo politico sul PM; una volta compiuta l’operazione di distacco del PM dall’assetto della giurisdizione e del giudice sorge inevitabilmente il problema della sua collocazione istituzionale; e sappiamo bene che non è ammissibile, in un sistema garantito da pesi e contrappesi, che un PM, neppure elettivo, possa esercitare i suoi poteri discrezionali, che comportano una naturale assunzione di responsabilità politica dell’organo, senza rispondere a qualcuno dei criteri adottati; per non parlare del grave depauperamento della figura professionale del PM, fatalmente destinato ad allontanarsi dalla cultura della giurisdizione per appiattirsi su quella investigativa. Concludevo osservando che il Paese ha bisogno di un pubblico ministero assolutamente indipendente e forgiato da quella cultura del giudice, che è rispetto delle regole, delle garanzie di tutte le parti, di tutela dei diritti dei cittadini; e che per porre rimedio ad eventuali distorsioni, e agli squilibri lamentati, sarebbe sufficiente far crescere il ruolo del GIUDICE, riconoscendogli nuovi poteri per esaltarne la terzietà e la funzione di controllo delle iniziative del PM.
Torniamo un poco indietro nel tempo. Nel 1992 sei stato nominato Segretario nazionale di Unicost. Quali impegni hai ritenuto prioritari?
In questo ruolo di responsabilità ritenni prioritario l’impegno volto a garantire, a tutte le componenti e aree culturali e territoriali del Gruppo, una partecipazione paritaria e libera al dibattito interno onde recepire e adottare, con una operazione di sintesi democraticamente da tutti accettata, le linee di politica associativa da seguire. In questo impegno non posso non segnalare il grande contributo culturale ricevuto da tanti colleghi, fra i quali, in particolare, due magistrati che ci hanno lasciati: Sandro Criscuolo e Nino Abbate. Il 16/18 ottobre 1992, relazionavo al Congresso di Sorrento su “Quale associazione oggi?”, partendo dalla preoccupante analisi fatta da Unicost nel suo programma elettorale per il rinnovo del c.d.c. dell’Associazione Nazionale Magistrati: “Le divaricazioni, i frazionismi e le contrapposizioni interne all’ANM hanno preso di fatto il sopravvento sul pluralismo ideale e culturale, che per anni ha costituito il naturale lievito per la crescita complessiva della cultura della giurisdizione. Sullo sfondo vi è verosimilmente la prospettiva di gruppi rigidamente separati in funzione di gestione di un potere di governo dell’ANM che, svuotati di contenuti ideali, rischia di diventare realtà priva di ogni valenza interna ed esterna, con l’effetto di presumibile consunzione dello stesso fenomeno associativo”. E osservavo: “A questa visione preoccupante si aggiunge l’altra ancora più allarmante legata alle vicende politiche, economiche e sociali del nostro Paese, in particolare alla crisi dei partiti e delle istituzioni, alle stragi di mafia con gli omicidi di Falcone e Borsellino, alle vicende penali di tangentopoli, alla svalutazione della lira, all’esplosione del debito pubblico, alla pressione fiscale. E questo quadro gravissimo trova una ANM in crisi e impreparata”. Ritenevo, quindi, che occorreva studiare a fondo il nostro fenomeno associativo, le ragioni della sua crisi, l’inserimento nel contesto politico e sociale, verificare la sua organizzazione, l’attualità delle correnti, le finalità, la rispondenza alle nuove esigenze. Rilevavo, poi, che le Correnti avevano coltivato e alimentato nel tempo una cultura della separatezza e dell’appartenenza, e che i mezzi di informazione spesso identificavano le correnti con i partiti politici, anzi con le loro degenerazioni. Poiché nella cultura italiana è radicata l’idea di una magistratura indipendente ed estranea alle logiche politiche, l’opinione pubblica è portata, da un’informazione “martellante”, a esprimere severi giudizi di disvalore sull’organizzazione correntizia. Altro profilo attinente alla crisi esterna dell’ANM era poi certamente anche l’isolamento nel quale, poco alla volta, si era andata a cacciare l’Associazione dopo il referendum sulla giustizia. Un isolamento che è stato visto, e interpretato, come chiusura elitaria e corporativa. Se si escludono, poi, alcuni momenti particolari, di regola gli associati non partecipano, o partecipano poco, alla vita associativa, anche a causa dei gravosi impegni lavorativi e del limitato tempo da dedicare a quelli familiari. Le conseguenze di questo distacco della base dagli organi associativi già all’epoca cominciavano a essere evidenti. Quando langue il momento propositivo, e sono carenti i contributi di idee, è ridotto il collegamento tra vertici e realtà locali; tutto è lasciato nelle mani di pochi con conseguente sclerotizzazione del ruolo stesso dell’associazionismo giudiziario. Le vicende di questi ultimi venti anni, caratterizzate da momenti di esaltazione della funzione giudiziaria e da rovinose cadute, comunque da una eccessiva e pericolosa esposizione dinanzi a messaggi contraddittori, hanno portato i giudici, soprattutto i più giovani, a chiudersi in sé, a isolarsi, ad assumere un atteggiamento di prudente approccio ai più diversi fenomeni sociali, non escluso il momento associativo.
Tornando al mio impegno associativo, e alle posizioni del gruppo, ricordo che al Congresso di Unità per la Costituzione a Orvieto, del 22/23 ottobre 1994, veniva approvata la mia relazione introduttiva su “Politica e Magistratura”, che poneva, in un momento nel quale i rapporti apparivano particolarmente tesi (soprattutto a causa dei procedimenti in materia di corruzione e finanziamenti illeciti), il problema del self-restraint come valore istituzionale e costituzionale. Il conseguente deliberato fu ripreso dalla successiva risoluzione del CSM sul riserbo dei magistrati.
Nominato Segretario nazionale dell’ANM il 14.12.96, fino al 17.10.98 seguivo, con la Presidente Elena Paciotti, i lavori della Commissione Bicamerale per la revisione della Parte II della Costituzione, presieduta da Massimo D’Alema. Va ricordato, a riguardo, che il relatore Marco Boato aveva sottoposto al Comitato per il sistema delle garanzie nella seduta del 7 maggio 1997 una proposta di modifica degli artt. 99-113; 134-137 della Costituzione. Proposte che ritenevamo molto pericolose nei punti che riguardavano il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente, e viceversa, solo per concorso e in distretti diversi, la previsione di due sezioni del CSM e l’accentuazione della presenza laica nell’organo di governo autonomo. L’ANM dette un rilevante contributo critico alla Bicamerale anche organizzando, il 29 gennaio 1998, il XXIV Congresso sul tema “Giustizia e riforme costituzionali”. Alcuni osservatori definirono “storico” tale Congresso. La giornata inaugurale nell’aula magna della Corte di Cassazione permetteva di evidenziare, plasticamente, l’unità d’intenti che legava tutta la magistratura – al di là delle rappresentanze associative – sul terreno delle riforme costituzionali; di sottolineare il ruolo centrale della magistratura a garanzia dell’assetto democratico dello Stato e dei suoi Poteri; di conquistare l’attenzione di tutte le forze politiche alle osservazioni critiche al progetto di riforma costituzionale, riprese dalla Presidente dell’ANM Elena Paciotti, nel suo intervento introduttivo. La conseguenza fu che la Bicamerale falliva; le forze di maggioranza e un partito dell’opposizione facevano marcia indietro rispetto al progetto di Riforma costituzionale sulla divisione del CSM in due sezioni, e il Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro avallava la linea espressa dall’ANM.
Con delibera del CSM del 30 aprile 1998 ti venivano conferite le funzioni di magistrato di cassazione con destinazione alla Procura Generale presso la Corte di Cassazione con funzioni di Sostituto procuratore generale. Come Segretario di Unicost in Cassazione hai contribuivo a preparare l’assemblea generale della Corte di Cassazione del 23 aprile 1999, con proposta di istituzione di un Consiglio Consultivo [3] conformandolo alla peculiarità del ruolo e delle funzioni della Corte stessa. Venivi nominato Presidente del Centro studi di Unicost. Nel 2002, sei stato eletto, in rappresentanza della Cassazione, al Consiglio Superiore della Magistratura. Puoi ripercorrere per noi sia pur sinteticamente le tue esperienze e le posizioni del gruppo Unicost in questo periodo?
Il 2/2/2003 si tenne il Congresso straordinario di Unicost a Crema, nel corso del quale si rappresentava, quanto ai valori di Unicost, che “il pericolo da alcuni paventato, di una polarizzazione del dibattito politico e, per il suo tramite, degli schieramenti associativi, trova(va) una adeguata risposta nell’affermazione che Unicost può diventare forza di opposizione culturale sulle varie tematiche, quando i modelli di giurisdizione stravolgono i principi costituzionali e gli ideali fondanti i principi del patto sociale. Il ruolo della corrente dovrà essere di confronto e di convergenza sui singoli temi nella consapevolezza della centralità della base associativa fondata sul pluralismo ideale e culturale e sul ripudio di ogni forma di collateralismo”.
Nella relazione che tenni al Congresso di Todi del 19/20 maggio 2006 sull’attività del Consiglio Superiore della Magistratura che stava per scadere, nel dare conto anche delle posizioni più rilevanti espresse da Unicost, evidenziavo, tra i temi di maggior impegno e importanza, la difesa dell’indipendenza della magistratura che veniva messa reiteratamente in pericolo su diversi fronti. In particolare dalla legge n.150/2005 sull’ordinamento giudiziario, disegnata per limitare le prerogative costituzionali del CSM e quindi in grado di incidere negativamente sulla indipendenza del magistrato (attraverso la gerarchizzazione degli uffici, il ruolo di vertice della Corte di Cassazione, le Commissioni esterne al CSM, la riduzione del sistema tabellare, la competenza valutativa della Scuola della magistratura, un sistema disciplinare punitivo).
Nel corso della consiliatura furono affrontate varie e rilevanti questioni, tra cui quella relativa alla possibilità o meno di esprimere da parte del CSM pareri non richiesti dal Ministro. Una minoranza non li riteneva possibili, sul rilievo che tali pareri non erano previsti tra le prerogative costituzionali e neppure nella legge n. 195 del 58; la maggioranza si espresse per la loro possibilità, osservando in contrario che tale facoltà trovava la sua ratio nel principio generale della collaborazione leale, paritetica tra organi costituzionali che consente di offrire contributi tecnicamente qualificati e politicamente neutri, non obbligatori, né vincolati, nell’ambito di rapporti tra istituzioni chiamate ad avere cura di un medesimo interesse pubblico anche se su piani assolutamente diversi. La delibera a riguardo non fu approvata al plenum, mancando il numero legale per l’assenza di quattro consiglieri laici della maggioranza. Il contrasto sulla possibilità di esprimere pareri d’iniziativa continuò nel corso della consiliatura con interventi da un lato del Presidente del Senato Marcello Pera e dall’altro del Vice Presidente del CSM Virginio Rognoni che, nella risposta del 20 maggio 2005, ricordava che questa prassi aveva ricevuto anche il prezioso avallo del Presidente della Repubblica nel corso dell’intervento svolto in Consiglio superiore il 26 maggio 1999, seppur con la precisazione che tale facoltà di esprimere pareri era “da esercitare con profondo, leale spirito collaborativo e nella consapevolezza del suo limite consultivo”. Queste parole furono per me e per gli altri consiglieri di Unicost di particolare conforto perché in tutto il corso della consiliatura eravamo stati strenui assertori dei poteri consiliari contestati dalla maggioranza laica, ma vigili e attenti a che la deliberazione rimanesse sempre nei limiti di un atto tecnico con finalità collaborativa e non politica, da destinare in ogni caso al Ministro che, com’ è noto, anche nel corso dei lavori parlamentari, ha la possibilità di proporre emendamenti.
L’altro versante che vedeva esposta l’indipendenza della magistratura a seri pericoli era rappresentato dagli inusitati, reiterati, talora violenti e delegittimanti attacchi a singoli magistrati e in genere alla magistratura da parte di uomini politici e da rappresentanti delle istituzioni. Il CSM ritenne di dover esercitare con fermezza, seppur con pacatezza e senso istituzionale, quel potere di tutela che nel passato era stato costantemente riconosciuto ma che stava trovando, sin dall’inizio dei lavori consiliari, una forte opposizione da una parte dei consiglieri laici sull’assunta mancata previsione nella Costituzione e nella legge ordinaria.Purtroppo agli interventi, pur pacati, del CSM seguivano reazioni spesso scomposte di contestazione dello stesso ruolo del CSM accusato sovente di corporativismo. E si constatava anche che la stessa ripetizione, cadenzata e ravvicinata, degli interventi a tutela rischiava di offuscare il loro reale significato, potendo apparire l’iniziativa consiliare come un adempimento ormai formale, rituale, sterile, quindi privo di capacità incisiva. Da qui il suggerimento del Vice Presidente del CSM che “occorre andare oltre” e la riflessione del Capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi, nel suo saluto di commiato al CSM del 26.4.06, secondo cui “il Paese deve poter contare sulla serenità, sulla riservatezza e sul superiore equilibrio del magistrato. Per questo è necessaria una particolare attenzione alla necessità di non alimentare tensioni, evitando reazioni emotive anche davanti ad attacchi ritenuti ingiusti, diretti a singoli magistrati sia all’intero ordine giudiziario”.
Tra le tante iniziative assunte dal gruppo Unicost, quanto all’amministrazione della giurisdizione, che hanno portato a significative modifiche di circolari, mi piace ricordare quelle riguardanti la circolare sul ricollocamento in ruolo, e quella sull’accesso in Cassazione, perché esse sono chiara testimonianza di quella visione culturale che ha portato sempre Unicost a contrastare collateralismi politici, a valorizzare il lavoro giudiziario, a escludere posizioni privilegiate in magistratura.
In riferimento alla prima circolare citatai consiglieri di Unicost ritenevano che si dovesse por fine ad un sistema che consentiva di accedere a posti particolarmente ambiti, non al termine di concorsi reali e di un confronto effettivo tra i candidati, ma attraverso un concorso solo apparente, quello “virtuale”, che non trovava alcuna effettiva giustificazione. Da qui la proposta di escludere la possibilità di accedere con concorso virtuale anche ad uffici semidirettivi, alla Direzione Nazione Antimafia, a qualsiasi posto della Corte di Cassazione e della Procura generale della Cassazione, ivi compresi quelli di magistrato d’appello e di tribunale presso entrambi tali uffici.
Quanto all’accesso in Cassazione, proprio su iniziativa del nostro Gruppo si perveniva alla modifica della circolare in questione, così che l’attitudine allo studio e alla ricerca dovesse desumersi “soprattutto” dagli atti e dai provvedimenti redatti dal magistrato che evidenziavano impegno ricostruttivo e metodologico su questioni di fatto e di diritto particolarmente complesse. Mentre invece, in precedenza, le prassi consiliari avevano portato ad attribuire valore quasi assorbente ai titoli scientifici, così frapponendo ostacoli ingiustificati e insormontabili per il magistrato, pur bravissimo, che si era concentrato nell’attività giurisdizionale.
Voglio infine ricordare, dell’esperienza consiliare, le parole del Capo dello Stato che, nel menzionato saluto di commiato, dichiarava: “comprendo le affinità elettive, ma non discipline di gruppo che tendano a influenzare le valutazioni dei singoli”.
Il Gruppo di Unicost, proprio per garantire il giusto riconoscimento di posizioni culturali diverse, adottò all’epoca alcune regole di condotta in totale trasparenza. Considerato che al plenum il dibattito era meramente formale, sostanzialmente destinato a registrare le posizioni assunte in sede di Commissione con le dichiarazioni di voto, tutte le pratiche rilevanti venivano esaminate all’interno del Gruppo in una riunione preparatoria di approfondimento che si concludeva con una posizione da tutti condivisa a cui liberamente si attenevano i singoli consiglieri nelle varie deliberazioni. A queste riunioni di approfondimento potevano partecipare anche i magistrati segretari e i componenti dell’ufficio studi e ciò costituiva non solo un arricchimento – con il loro contributo – del dibattito sulle singole pratiche, ma anche una forma reale di trasparenza. Questo modus operandi rappresentò allora anche un efficace anticorpo rispetto a tentativi di condizionamenti, quali quelli provenienti da colleghi che cercavano di ottenere singoli voti per conseguire la maggioranza consiliare sulla delibera d’interesse.
Nel 2006 hai ripreso l’esercizio delle funzioni di Sostituto Procuratore generale presso la Corte di Cassazione. Dal 2006 al 2008 sei stato Presidente di Unicost. Nel 2010 venivi nominato Presidente della Corte d’Appello di Perugia; con tali funzioni ti sei dovuto occupare dell’organizzazione dell’attività giurisdizionale e della gestione del personale di magistratura. Quanto incide a tuo parere ai fini di un miglioramento del servizio giustizia l’organizzazione degli uffici? L’organizzazione degli uffici da parte del dirigente dell’ufficio può portare a una gerarchizzazione all’interno dell’ufficio medesimo, e ciò in violazione del principio costituzionale che i magistrati si distinguono solo per funzioni?
Ho affrontato l’impegno di Presidente della Corte d’Appello di Perugia, applicando in concreto quei principi e valori che avevo introitati con la lunga militanza in ruoli di responsabilità nell’Associazione e nelle Istituzioni. Quindi, ho sempre assunto una posizione di assoluta parità con tutti i colleghi e col personale amministrativo, nella consapevolezza, però, che il mio ruolo, da gestire con moderazione, misura e responsabilità, doveva essere di esempio e trainante, in grado di suscitare curiosità e interesse ai progetti, stimolando i colleghi a dare il meglio, nell’acquisita loro consapevolezza di poter confidare sull’ausilio del Presidente e sul senso di profonda fiducia reciproca instaurata e costantemente alimentata. La qualità dell’organizzazione è certamente uno dei fattori che incide sulla diversa durata dei processi nei vari uffici. Naturalmente l’impegno organizzativo, per essere realmente efficace, deve essere unitario e partecipato. Come gli studi di management insegnano, l’evoluzione economica e sociale evidenzia che le risorse umane sono il vero asset strategico di qualsiasi organizzazione. Le persone che fanno parte di una organizzazione dispongono di un patrimonio di conoscenze e di idee accumulate con l’esperienza che viene spesso parzialmente utilizzato. Ma l’accesso alla risorsa conoscenza e il suo efficace utilizzo sono consentiti e rafforzati solo dallo scambio e condivisione delle conoscenze tra i diversi soggetti. I dirigenti sono chiamati, quindi, a stimolare incontri che coinvolgano tutti gli addetti all’ufficio, magistrati e amministrativi, a qualsiasi livello, perché tutti sono in grado di dare un utile contributo e perché si sentano concretamente partecipi e responsabili di un progetto trasferibile in scelte decisionali. Ho seguito puntualmente questi suggerimenti trovando il costante contributo dei magistrati e degli amministrativi.
Su mia iniziativa, condivisa da tutti i Presidenti di Corte, veniva costituito il Coordinamento dei Presidenti delle Corti di Appello, al fine di consentire, da una parte, uno scambio di informazioni su prassi adottate e iniziative organizzative sperimentate nei distretti, e dall’altra di affrontare i singoli comuni problemi, articolando delle proposte operative da trasmettere alle autorità competenti. Creavo, poi, un tavolo di confronto con tutti i parlamentari umbri, così da poter rappresentare per questo tramite le esigenze del distretto e creare uno strumento di alto profilo istituzionale, al fine di assicurare non solo alla magistratura ma all’intera comunità la dovuta considerazione.
Il tempo stringe, ma avrei ancora un altro paio di domande da fare e che ritengo importanti. Hai parlato di crisi dell’associazionismo in generale e in particolare delle correnti. Si è attenuata, o è addirittura scomparsa negli anni, la funzione delle correnti quali catalizzatori del dibattito ideale all’interno dell’associazione? E questa attenuazione o scomparsa – se vi è stata – quali conseguenze ha portato, e come viene percepita dall’opinione pubblica e dagli associati?
L’autocritica fatta dalla magistratura associata sulla crisi dell’associazionismo giudiziario ha individuato tre cause della visione negativa che si ha dall’esterno (opinione pubblica): 1) l’accusa, considerata ingiustificata, soprattutto se indiscriminata (e non diretta verso singole posizioni di collateralismo politico di cui, anche in passato e in qualche caso, si è avuta certa cognizione) di politicizzazione delle correnti portata avanti da forze politiche interessate a delegittimare l’operato dell’associazione; 2) la mancata conoscenza da parte di ampie fasce di giovani magistrati della storia delle correnti, del loro patrimonio culturale e quindi del ruolo decisivo svolto dalle stesse nella conquista e difesa dei valori fondamentali della giurisdizione; 3) alcune forme di degenerazioni correntizie; le correnti spesso si contrappongono in ottiche di schieramento o di parte, e tendono ad assumere impropri comportamenti “partitici”; con emersione di aspetti clientelari e corporativi addirittura in contrapposizione con la stessa ANM; con accentuazione della tendenza a preoccuparsi più del successo in termini numerici delle correnti, che del contributo in termini di idee da dare all’attività associativa.
Per cui si ritiene che si sia fortemente attenuata nelle Correnti quella funzione di catalizzatori del dibattito ideale che negli anni passati è stata il propulsore della democratizzazione dell’ordine giudiziario e dell’attuazione dei principi costituzionali.
L’analisi della crisi dell’ANM non sarebbe, però, completa se si omettesse di esaminare il ruolo che svolge il CSM in tale crisi. Con una valutazione che non può non essere condivisa, si sostiene che, intanto le Correnti sono diventate strumenti di gestione di potere, in quanto vi è un potere reale da gestire. E le posizioni di potere appetite non sono tanto le cariche associative quanto i “posti” occupati al CSM dalle Correnti. Tutti abbiamo dovuto con grande rammarico constatare che questa “occupazione” dell’istituzione, da parte dell’apparato correntizio, si è talvolta realizzata per l’incapacità degli eletti di sottrarsi a vincoli correntizi, con seri danni istituzionali e di immagine. Appare quindi diffuso, e non sempre ingiustificato, il sentimento di non pochi colleghi di non sentirsi sufficientemente tutelati dal CSM nella “par condicio” di tutti i magistrati, e ciò per il peso delle logiche di appartenenza, per le lottizzazioni, per gli interessi di parte che vanno a prevalere su quelli generali. Occorre, però, por mente al fatto che il punto nodale in contestazione non è tutta la gestione del CSM, sebbene quella a maggior rilevanza esterna e cioè l’assegnazione degli incarichi direttivi. Su questo fronte, soprattutto, si annidano le tensioni, i condizionamenti correntizi, ma anche gli interessi principali dei politici per il ruolo decisivo ancora assegnato ai dirigenti nella gestione della politica giudiziaria nei singoli uffici. È in questo settore, quindi, che il CSM è più vulnerabile, più facilmente attaccabile, e più esposto a critiche per scelte che vengono giudicate dall’esterno non rispondenti al costituzionale principio della buona amministrazione.
Per contrastare la degenerazione delle correnti si è da più parti auspicato la loro scomparsa. A riguardo è stato autorevolmente affermato [4]che la scomparsa delle correnti lascerebbe un vuoto che sarebbe riempito inevitabilmente da cordate, ristretti gruppi corporativi e interessi territoriali e personali. In considerazione della tua lunga e vasta esperienza associativa, ritieni ancora utile il confronto dialettico dei vari gruppi all’interno dell’associazionismo giudiziario?
Resta ferma la convinzione in molti magistrati che le correnti siano ancora attuali in quanto espressione delle idealità differenziate rispetto all’indirizzo sulle questioni concrete da affrontare nella vita associativa. “Chi sostiene che esse non hanno più ragion d’essere scambia l’attenuazione delle divisioni teologiche di un tempo con una effettiva omogeneità d’indirizzo sulle questioni oggetto di dibattito recente o prossimo”.[5] Questa impostazione non è però da tutti condivisa, sul rilievo che connotazioni del genere, per la loro intrinseca vischiosità, mobilità, precarietà, sarebbero inidonee a caratterizzare una Corrente. Larga parte della magistratura ha comunque espresso la convinzione che sia possibile superare le storture correntizie con interventi diretti o indiretti idonei a determinare il rinnovamento delle stesse. Sotto questo profilo, si confrontano tre linee di pensiero:
1)quella che ritiene necessario puntare su un rinnovamento culturale con conseguente abbandono delle pratiche correntizie deteriori, 2) quella che vorrebbe utilizzare lo strumento delle modifiche degli statuti delle correnti e dell’ANM, 3) quella che vorrebbe incidere sul sistema elettorale della componente togata al CSM.
Secondo il primo orientamento sarebbe illusorio sperare che il fenomeno di degenerazione correntizia possa essere rimosso con una riforma del sistema elettorale del CSM, dell’ANM e modifiche statutarie delle rispettive correnti, giacchè quei fenomeni negativi sono di costume e di coscienza (deteriore) e possono essere combattuti solo lavorando appunto sui costumi e sulle coscienze, nonché operando scelte oculate nei momenti di formazione delle liste elettorali. Secondo il secondo orientamento i problemi delle correnti vanno affrontati e risolti nell’ambito associativo e delle correnti medesime, tramite un adeguato esercizio del potere di autoorganizzazione (statuti) e intervenendo sul sistema elettorale dell’ANM, senza coinvolgere nelle tensioni proprie del momento associativo il CSM che appartiene al momento istituzionale. Secondo il terzo orientamento per riformare l’Associazione, e diminuire il peso delle correnti, è necessario recidere il legame tra esse e il CSM e l’unico strumento utilizzabile a tale fine è la riforma del sistema elettorale per la componente togata del CSM, in senso maggioritario, in collegi uninominali.
L’analisi appena descritta non è recentissima, ma appare, indubbiamente, ancora attuale e i problemi denunziati risultano ancora presenti. Le elezioni per il rinnovo del CSM dello scorso mese di settembre hanno dimostrato che, anche con l’attuale modificato sistema elettorale, il ruolo delle Correnti è rimasto sostanzialmente intatto. E non potrebbe essere diversamente, posto che il diritto associativo è un diritto costituzionale che non può certo essere eliminato o compresso a danno dei cittadini magistrati.
Il problema rappresentato dalle lotte di potere determinate dalla scelta dei capi degli uffici, secondo Luigi Ferrajoli,[6] andrebbe risolto alla radice con la soppressione o riduzione del potere dei capi degli uffici e del potere discrezionale che il CSM esprime nelle nomine. Credo che, seppur astrattamente condivisibile, tale opinione si ponga in contrasto con la normativa attuale e con le prospettive di riforma dell’ordinamento giudiziario che vanno in direzione opposta, e cioè verso un assetto verticistico con attribuzione di maggiori poteri (e responsabilità) in capo ai dirigenti degli uffici.
Dalla tua relazione leggo che sei al corrente delle linee di intervento, di cui al documento programmatico “rifondativo” del 2021, adottate dal gruppo Unicost, a chiusura dei lavori di Assemblea per il Futuro, composta per lo più da giovani magistrati, e con il compito della stesura di un nuovo Statuto. Le condividi?
Il Gruppo di Unicost ha compiuto una profonda riflessione sulle smagliature che hanno consentito le devianze interne, registrando una indubbia carenza di un attento, democratico dibattito, che solo sarebbe stato in grado di bloccare lo sviluppo di un abnorme centro di potere in rapporto con la politica e in grado di condizionare la vita della corrente e dell’istituzione.
Tale approfondimento ha prodotto il documento programmatico rifondativo del Gruppo che ha portato all’approvazione dello Statuto all’Assemblea Generale del 15-16 maggio 2021. In questo documento, si promuove un “modello di magistrato che svolge l’attività giurisdizionale libero da preconcetti o pregiudizi ideologici, da conformismi culturali o sociali, da condizionamenti o collateralismi a centri di potere politico o economico, da timore per le conseguenze delle sue decisioni e da aspettative di vantaggi e di protagonismo, rifuggendo ogni ambizione personale che non sia il legittimo riconoscimento del suo impegno e della qualità del suo lavoro. Il magistrato, inoltre, deve improntare il suo comportamento, sul lavoro come nella vita privata, alla moderazione, all’equilibrio e alla riservatezza, nel rispetto delle regole deontologiche vigenti e della necessità di non far venir meno la fiducia che la società ripone in tutto l’ordine giudiziario. Il magistrato, cosciente di far parte di un potere diffuso e di un Ordine che opera in dialettica e in sinergia con gli altri poteri dello Stato, ha una proiezione esterna verso la società, al servizio della quale è posto e al cui controllo si sottomette. Per questo motivo l’associazione promuove la figura di un magistratoattivo e impegnato nel dialogo all’esterno con gli altri apparati pubblici, con gli attori politici, le formazioni intermedie e con la comunità, dialogo che sarà sempre e comunque condotto attraverso gli organi dell’ANM o di altro ente esponenziale, istituzionalmente deputati alla rappresentanza della magistratura […] Al fine di assicurare il corretto funzionamento del governo autonomo della magistratura Unicost si impegna ad assumere iniziative per garantire la qualità culturale e professionale dei propri rappresentanti e dei propri candidati, sia negli organi istituzionali sia negli organismi associativi, interni ed esterni, cui dovranno essere richiesti requisiti minimi di esperienza e di professionalità. Le candidature in organi istituzionali ovvero in organismi associativi dovranno essere espressione della migliore figura culturale del magistrato. Nei rapporti con gli organi di governo autonomo, se chiamato a ricoprire ruoli istituzionali in sede di Consiglio Direttivo, di Consiglio Giudiziario e di CSM, il magistrato deve rifuggire da qualsiasi logica di appartenenza, facendo ricorso, nell’assunzione delle deliberazioni, a criteri obiettivi e meritocratici[…] Il Gruppo avrà il dovere di indicare i candidati alle future elezioni con sistemi di voto democratici e trasparenti e di contrastare con ogni mezzo forme di aggregazione del consenso fondate su personalismi[…]Va respinta ogni forma di pressione e di interferenza nella vita dell’organo di governo autonomo e nel funzionamento degli uffici giudiziari”.
Il nuovo Statuto di Unicost, all’art 18, dopo aver ribadito una serie di divieti, al punto 4 recita: “Costituisce causa di esclusione dal gruppo ogni condotta volta ad incidere impropriamente sulle decisioni del CSM in tema di conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi, conferma degli stessi ed in ogni altra pratica concernente lo status giuridico e amministrativo dei magistrati”.
Tale rigorosa previsione, che non mi sembra adottata negli statuti degli altri Gruppi, ha anticipato la regola disciplinare prevista nella legge n. 71 del 17 giugno 2022 il cui art 11 prevede, a modifica dell’art 3 della l 109/2006, l’aggiunta della seguente lettera 1 bis) “l’adoperarsi per condizionare indebitamente l’esercizio delle funzioni del CSM, al fine di ottenere un ingiusto vantaggio per sé o per altri o di arrecare un danno ingiusto ad altri”.
A ciò aggiungasi l’assoluta novità di un “patto etico”, voluto e approvato dall’assemblea, che il candidato al Consiglio Superiore della Magistratura è tenuto a sottoscrivere:
“Il candidato al C.S.M., sostenuto da Unità per la Costituzione, si impegna nell’ipotesi in cui venga eletto:
1) a esercitare la funzione con integrità, trasparenza e senza vincolo di mandato.
2) ad astenersi da interlocuzioni su situazioni riferite al singolo magistrato (in particolare, in materia di incarichi, tramutamenti, disciplinare ed incompatibilità ambientale) finalizzate ad interferire nelle decisioni dell’organo consiliare;
3) a non favorire soggetti in quanto appartenenti a gruppi associativi;
4) a contrastare logiche spartitorie o di appartenenza.
La violazione del patto etico è sanzionata con l’espulsione dal gruppo decisa dal Comitato Direttivo su parere del Collegio di Disciplina nelle forme di cui all’art.18 dello Statuto”.
Mi sembrano tutte buone e rigorose premesse per un effettivo e proficuo rinnovamento. In conclusione, sento di dover rappresentare e raccomandare, a tutti i colleghi l’esigenza di fare tutto il possibile per sostenere, evitando inutili e strumentalizzabili polemiche esterne sui mass media, la credibilità e autorevolezza del CSM, che in questa consiliatura sarà chiamato a un pesante e duro impegno, non solo in riferimento alle riforme approvate del processo civile e di quello penale, ma anche relativamente alle progettate riforme dell’ordinamento giudiziario.
Un’ultima brevissima domanda. La magistratura associata ha da tempo intrapreso varie iniziative per avvicinare i giovani alla conoscenza della Costituzione e comunque alla cultura della legalità. Ho letto che in questo campo sei stato un precursore. Cosa puoi narrarci a riguardo?
Da sempre ho avvertito l’esigenza che nei ragazzi cresca la cultura della legalità. Ebbene, assai prima che il tema formasse oggetto di una più larga condivisione, anche a livello nazionale, prendevo, come Presidente della Corte di Appello, unitamente al Procuratore Generale, l’iniziativa di siglare dei protocolli di intesa, al fine di consentire ai giovani studenti di svolgere periodi di stage presso gli uffici giudiziari e nel contempo di impegnare i magistrati umbri a svolgere lezioni e conferenze all’interno degli istituti scolastici. In tale ambito veniva indetto il concorso “Il Valore della Legalità”, che ha visto la partecipazione ogni anno di numerosi studenti umbri, cimentatisi con vari aspetti del più vasto tema della legalità; ho voluto che la premiazione dei vincitori avvenisse ogni anno all’interno di cerimonie ufficiali che hanno costituito ulteriore momento di crescita culturale, attraverso il contributo degli stessi studenti.
grazie Wladimiro per il prezioso contributo di serietà e professionalità, che hai dato a questa sessione del Corso, per me sicuro arricchimento, ma – credo – anche per molti partecipanti e soprattutto per i più giovani magistrati.
[1] V. A. BERIA DI ARGENTINE, “Magistrati, Potere, Consenso”, in Giustizia Anni Difficili, Milano, 1985, p.199 ss..
[2] e prima corrente a raccogliere tutta la cosiddetta “magistratura bassa” costituita soprattutto di giovani e che sosteneva, con un approccio sindacale, le varie istanze attinenti allo status, alla carriera, agli stipendi (ricordo che il mio primo stipendio nel 1970 era stato di 150.000 lire e pagavo 50.000 di fitto per la casa).
[3] in attesa che il Legislatore istituisse il Consiglio giudiziario della Cassazione. L’attuale Consiglio Direttivo all’epoca non esisteva, e sarà istituito solo successivamente con decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25
[4]v.M.VOLPI, Le Correnti della Magistratura: Origini, Ragioni, Ideali, Degenerazioni, in Rivista AIC, n. 2/2020, p.370
[5] v. N.ROSSI – G. VENEZIANO, in Bollettino della magistratura, 1989
[6] v. L.FERRAJOLI, Carrierismo dei magistrati e associazionismo giudiziario , in Costituzionalismo.it, 1/2022, p. 109