Nel centenario della nascita del consigliere istruttore di Palermo Rocco Chinnici (Misilmeri 19 gennaio 1925 – Palermo 29 luglio 1983), il 20 gennaio 2025, a Racalmuto, si è svolta nei locali della Fondazione Leonardo Sciascia una cerimonia in sua memoria e, nell’occasione, è stato anche presentato il francobollo emesso con l’effige del magistrato ucciso alle 8 del mattino del 29 luglio 1983 davanti alla sua abitazione in via Giuseppe Pipitone Federico. Nell’attentato mafioso persero la vita anche il maresciallo dei Carabinieri Mario Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta, e il portiere dello stabile Stefano Li Sacchi. L’unico superstite fu l’autista Giovanni Paparcuri, che riportò gravi ferite; testimone instancabile delle stragi di mafia, Paparcuri per sei anni è stato anche custode e guida della memoria nel piccolo Museo Falcone-Borsellino, detto “del bunkerino”, istituito nel 2016  dalla Giunta locale della Associazione Nazionale Magistrati, nelle stanze dei due giudici trucidati nel 1992.

Gli studenti, presenti alla manifestazione, hanno poi incontrato e dialogato con Giovanni Di Leo, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento, e con i figli di Rocco Chinnici, Caterina e Giovanni.

Per ricordare Rocco Chinnici, pubblichiamo di seguito il testo dell’intervento inviatoci dal procuratore Giovanni Di Leo.

Intervento alla Fondazione Leonardo Sciascia in occasione del centenario della nascita di Rocco Chinnici
di Giovanni Di Leo

Il 29 luglio 1983 ero da poco rientrato a Palermo dallo svolgimento del servizio militare. Studiavo ancora giurisprudenza, e non avevo ancora chiaro cosa avrei fatto dopo la laurea.

La notizia della strage di via Pipitone Federico mi raggiunse mentre ero in campagna.

All’epoca abitavo con la mia famiglia a Palermo, a due traverse di distanza, e la via dove è avvenuta la strage era sul tragitto che facevo normalmente per andare a trovare alcuni amici che abitavano in via Giusti.

Il fatto mi colpì, e non solo per l’efferatezza: nella strage morirono anche gli uomini della scorta e il povero portiere che più volte avevo salutato passando lì davanti.  Il clamore che derivò dall’attentato, così vicino a dove era la mia vita e quella dei miei familiari, mi impose di riflettere su quanto poco valesse la vita a Palermo in quel periodo.

La carriera di magistratura era certamente tra quelle che prendevo in considerazione, ma non vi avevo ancora riflettuto abbastanza.

Fu la presa di consapevolezza di quegli anni che mi spinse a tentare il concorso tre anni dopo. L’attenzione e la fiducia che Rocco Chinnici riponeva nel cercare il rapporto con i giovani della Palermo di allora era noto, e lo divenne ancor più dopo la sua morte.

Ed è a questo esempio che sto cercando di ispirarmi in quella parte della mia vita che, comunque, è la fine del mio servizio in magistratura, la direzione della Procura di Agrigento.

Sino ad oggi le mie “uscite pubbliche” sono state sempre nelle scuole e raramente altrove, ma ho sempre ricercato il contatto con la parte della società che si affaccia alla vita.

Voglio partire, pertanto, dalle parole di Rocco Chinnici in un’intervista alla rivista “I Siciliani” del Marzo del 1983, sulla reale natura della mafia.

Rispondendo alla domanda del giornalista sulla possibilità di un connubio tra mafia e politica Chinnici rispose: << La mafia stessa è un modo di fare politica mediante la violenza, è fatale quindi che cerchi una complicità, un riscontro, un’alleanza con la politica pura, cioè praticamente con il potere. Se lei mi vuole chiedere come questo rapporto di complicità si concreti, con quali uomini di potere, con quali forme di alleanza criminali, non posso certo scendere nel dettaglio.>>

Ovviamente non posso farlo neanche io, ma rileggendo queste parole mi chiedo a distanza di quasi 42 anni da quella strage cosa realmente sia cambiato, a cosa sono serviti i sacrifici di uomini come Rocco Chinnici come Beppe Montana, Ninni Cassarà, del capitano Basile, il capitano D’Aleo, di Nino Saetta, Rosario Livatino, Giuliano Guazzelli, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e tutti gli altri, troppi perché li si possa menzionare, Piersanti Mattarella, Gaetano Costa, Cesare Terranova, Pio La Torre.

Se non possiamo dire di avere ancora vinto la malapianta di cosa nostra possiamo però dire di avere combattuto, e di continuare a combattere. Se siamo qui oggi a parlare e a ricordare un uomo come Rocco Chinnici dobbiamo essere consapevoli che in altre epoche, in questo paese, la memoria di uomini simili, e il loro messaggio, sarebbe stata seppellita nelle emeroteche.

Che un clima di imperante omertà ne avrebbe di fatto cancellato il ricordo.

Invece, il ricordo degli uomini che ho citato, e degli altri che non ho menzionato e ne faccio ammenda, contro tutto, e contro molti sicuramente, è sopravvissuto, è diventato legge, è diventato trattato internazionale, è diventato principio ispiratore per molti di noi, e spetta a noi e a chi verrà dopo di noi, non smentirlo nell’attività concreta e quotidiana. Non tradire il loro lascito.

Ricordare il sacrificio e la vita, di uomo e di magistrato, di Rocco Chinnici significa parlare dell’esistenza di un uomo libero, libero da condizionamenti, da pregiudizi, libero per la consapevolezza che aveva del sistema criminale che era suo dovere combattere.

Per questo mi vengono in mente le parole che, in tutt’altro campo, ha dedicato un insigne filosofo ed economista di origine indiana, insignito del premio Nobel, alla moglie prematuramente scomparsa, una donna italiana, a sua volta figlia di un filosofo del diritto ucciso nella guerra partigiana e figlia adottiva di Altiero Spinelli.

In un saggio intitolato “La libertà individuale come impegno sociale” Amartya Sen, chiarisce il concetto di “libertà” in una moderna democrazia, e descrive, meglio di come possa fare io, come non si possa essere liberi senza dedicarsi concretamente, in una qualunque forma, al prossimo, agli altri, in una qualsivoglia professione o mestiere.

Gli esseri umani non sono monadi isolate, sono una rete di bisogni, di forze, di pensieri e desideri, tutti valori economicamente misurabili ma eticamente ineliminabili.

Sen analizza il concetto di libertà non soltanto sotto il profilo delle libertà positive: libertà di esprimersi, di circolare,  di crearsi una propria decorosa esistenza,  la libertà di lavorare, ma lo spiega facendo riferimento alle libertà negative: la libertà di non essere imprigionato, la libertà di non subire condizionamenti irrazionali derivanti dagli altrui abusi di potere, dalla sopraffazione anche economica, dalla violenza, o da condizioni di insicurezza dovute a guerre o criminalità, libertà dal condizionamento derivante da condizioni economiche eccessivamente disagiate.

Parla della libertà di essere “liberi” di vivere in buona salute, e quindi libertà di non essere condizionati da malattie che non possono essere curate per motivi economici, quindi del diritto alle cure.

Ci si può chiedere come rientra questo discorso nel ricordo di un alto magistrato trucidato barbaramente dalla mafia?

I magistrati sono tali perché sono chiamati dall’ordinamento ad accertare ed affermare i diritti previsti dalla Costituzione per l’essere umano.

Non esercitano il loro potere ad altro fine, non coprono gli abusi del potere, in sintesi, non fanno “politica” nel senso improprio che si dà a tale espressione.

E se la mafia in questo paese si è fatta o tenta ancora di farsi politica, se l’esercizio del potere concreto di allocazione delle risorse si tramuta in saccheggio delle stesse, a favore di pochi, se l’attività politica viene svolta solo allo scopo di esercitare il potere, nella visione di una ricchezza individuale da acquisire e non di un servizio, allora avremo ancora più bisogno di magistrati liberi che affermino i diritti di tutti, nei confronti di qualsiasi tipo di potere,  che non può identificarsi come “politico” se non è “servizio”. La politica o è officium, come lo intendeva Cicerone, o non è politica.

Questo è un concetto che Rocco Chinnici aveva in sé assolutamente chiaro.

La chiarezza e la lucidità di cosa pensava Rocco Chinnici al riguardo emerge, a contrariis, dalla definizione che egli sempre, in quell’intervista che ho poc’anzi citato, fornisce della mafia : <<la mafia è stata sempre reazione, conservazione, difesa e quindi accumulazione della ricchezza. Prima era il feudo da difendere, ora sono i grandi appalti, i mercati più opulenti, i contrabbandi illeciti che percorrono il mondo e amministrano migliaia di miliardi. La mafia è dunque tragica, forsennata, crudele vocazione alla ricchezza.

Quanta attualità in queste parole.

Ai ragazzi che sono oggi presenti quindi consegno, nel ricordo di un grande magistrato, questo messaggio.

Esiste una correlazione tra la vostra libertà di esseri umani, di persone e cittadini che si stanno formando, e la mafia. Ed è una correlazione negativa, come si dice in matematica. Significa che la variabile libertà tende ad aumentare quando l’altra variabile – la mafia – non si espande, ma anzi diminuisce.

La mafia non guarda alle persone, ma solo alla ricchezza in sé, senza altra vocazione che l’abuso personale e lo spreco. Si serve per questo del potere pubblico corrompendolo dall’interno.

Vive di accumulazione sterile, e non ha nulla a che vedere con la politica, intesa nel senso nobile che a questa parola va dato.

La politica deve restare una delle arti più nobili di dedicarsi agli altri.

Se la politica diventa sterile esercizio del potere, se si nasconde dietro difficoltà economiche, false e ipocrite diatribe, personalismi, campanilismi e faziosità, vuol dire che non sta facendo bene il proprio lavoro, e rischia di tramutarsi in qualcos’altro.

Per esprimere un giudizio di questo tipo, però, dovete coltivare la libertà come obiettivo, come meta a cui tendere migliorando voi stessi.

Ricordate che la libertà non va inseguita sui social, va capita, va studiata, va perseguita nei comportamenti, ispirandosi alla parte “buona” che c’è in ciascuno di noi, lasciando da parte gli istinti e le reazioni.

Ricordate che una persona che non legge non sarà mai in grado di capire cosa gli accade intorno.

La libertà non la trovate, a buon mercato, sui social o in televisione.

Anche lì troverete verità, o propaganda più o meno inaccettabile. Dovete saperla distinguere.

La vostra libertà dovete trovarla attraverso la vostra scelta tra ciò che è giusto e ciò che non lo è. E per questo occorre la consapevolezza dei temi e dei problemi che vi troverete di fronte in ogni momento della vostra vita.

Studiando, comprendendo, rispettandovi e guardando agli altri come ad altri voi stessi. Walt Whitman diceva “non lasciate che la giornata termini senza essere cresciuti un pò, senza aver sorriso molto, senza aver alimentato i vostri sogni.”

Fatelo anche voi ispirandovi a persone come Rocco Chinnici, che non hanno scelto, badate bene, di dare la vita.

Gli è stata presa dalla mafia, perché lui e tanti altri in quegli anni erano consapevoli della posta in gioco, e non hanno voluto rinunciare alla libertà di essere sé stessi. Lui era ed è Rocco Chinnici.

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