di Alessandro Leopizzi in collaborazione con il Centro Studi “Nino Abbate” di Unità per la Costituzione

Sommario

  • 1. Il Progetto Capitale Umano Giustizia
  • 2. I nuovi profili
  • 3. Gli addetti all’ufficio per il processo
  • 4. Una riflessione sul medio-lungo periodo
  • 5. Qualche considerazione conclusiva

1. Il Progetto Capitale Umano Giustizia.

Non è certo questa la sede per ripercorrere, anche solo nelle linee principali, le premesse giuridiche e fattuali, la lunga contrattazione con l’Unione europea, il contenuto letterale del testo definitivo, le conseguenti norme di esecuzione e gli obiettivi intermedi e finali del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza. Sarà sufficiente ricordare, come peraltro enfatizzato anche dal dibattito mediatico e politico, la centralità delle riforme nel campo della giustizia, quale imprescindibile volano che accompagna e sospinge ogni attività, materiale e morale, diretta alla ripartenza dopo l’emergenza della pandemia.

Non è mai stata messa in dubbio – è opportuno precisarlo sin da subito – la capacità di lavoro e l’enorme produttività della magistratura italiana, che le statistiche internazionali pongono costantemente ai vertici di tutte le indagini comparate di settore, anche nel confronto con paesi assimilabili dal punto di vista economico e istituzionale. Potrebbe anche aggiungersi, e non sarebbe vuota vanagloria autoreferenziale, che anche la qualità tecnico-giuridica dei provvedimenti tiene bene il passo con il nudo dato numerico-quantitativo.

Pur tuttavia, sarebbe prova di pericolosa cecità, concludere che, nel sistema giustizia, “tutto va bene, madama la marchesa”. Un intervento muscolare appariva non più rinviabile, in particolare per quel che riguarda la abnorme durata media dei procedimenti. Il punto di rottura della macchina giudiziaria, dove perde efficacia la catena di trasmissione tra l’enorme mole di lavoro svolta dal personale di magistratura e amministrativo e il saldo finale della domanda di giustizia, deve essere individuato con ogni evidenza nel pesantissimo fardello di pendenze, anche molto risalenti, che frena, come una palla al piede, l’attività degli uffici.

Ecco, quindi, che condizione preliminare per qualsiasi supporto dell’Unione europea a qualsiasi progettualità di globale riforma economica e istituzionale era la pianificazione di un intervento radicale che consentisse agli uffici giudiziari di operare con rinnovata efficienza, in primo luogo abbattendo la zavorra dell’arretrato. Da questa esigenza, la cui razionalità pare difficilmente contestabile, muove l’individuazione di specifici, e molto ambiziosi, obiettivi quantitativi (targets), che prevedono, tra l’altro, la diminuzione al giugno 2026 del cosiddetto disposition time (cioè dell’indicatore che calcola il tempo medio prevedibile di definizione dei procedimenti confrontando lo stock di pendenze alla fine dell’anno con il flusso dei procedimenti definiti nell’anno) del 40% nel settore civile e del 25% in quello penale. Per il settore civile è previsto anche un ulteriore – e molto impegnativo – target diretto alla riduzione dell’arretrato (inteso ai sensi della legge Pinto) del 65% nei tribunali e del 55% nelle corti di appello entro il 2024 e del 90% entro giugno 2026. Questi target hanno peraltro per oggetto soltanto i procedimenti riconducibili alla categoria civil and commercial litigious cases previste dalla classificazione della Commissione europea per l’efficienza della giustizia – CEPEJ. Restano quindi esclusi non solo i procedimenti di volontaria giurisdizione e comunque di giurisdizione non contenziosa (come i divorzi e le separazioni consensuali e le procedure esecutive singolari o concorsuali) o a contraddittorio solo eventuale (come i decreti ingiuntivi), ma interi universi giudiziari: la giurisdizione minorile e di sorveglianza e tutta l’attività della magistratura requirente. Un confine tra ciò che rileva e ciò che non rileva ai fini di questi target tracciato in maniera sin troppo drastica, e talora quasi inspiegabile rispetto alla nostra impostazione culturale, ma che rappresenta una conclusione necessitata a fronte della esigenza di accountability in sede europea, che obbliga ad utilizzare uno strumento, come le categorie CEPEJ, valido in tutti i diversissimi ordinamenti degli Stati membri.

Già all’interno di questo perimetro artificiale, si tratta di numeri e di conseguenti impegni tutt’altro che trascurabili, come ognuno può vedere, da raggiungersi mediante ogni strumento adatto allo scopo, ivi comprese, in primo luogo, le più opportune riforme processuali e ordinamentali.

A fronte di queste premesse, è apparso logico puntare allora su una massiccia immissione di risorse straordinarie, per un lasso di tempo limitato, in grado di consentire un’aggressione risolutiva alle pendenze, mediante task force a ciò dedicate, sul fondato presupposto che, eliminato l’arretrato o comunque abbattutolo grandemente, gli uffici giudiziari sarebbero stati perfettamente in grado di operare, da lì in avanti, con le sole risorse ordinarie (e che in un tale scenario futuro potessero dispiegare completamente i propri effetti positivi le riforme sostanziali e processuali nei settori penale, civile e della crisi di impresa). La natura dei fondi europei non avrebbe consentito, com’è noto, un loro utilizzo per sopperire a necessità strutturali della macchina giudiziaria, quali ad esempio il reclutamento e la retribuzione di personale di ruolo: le risorse PNRR sono destinate esclusivamente ad interventi straordinari di innovazione.

È bene quindi sgombrare definitivamente il campo da un equivoco, che talora si è visto affiorare anche nel dibattito interno: gli obiettivi di diminuzione non discendono da una iniziale richiesta di risorse destinate al reclutamento di personale, ma, viceversa, posti preliminarmente questi obiettivi di diminuzione, è stata giudicata condivisibile la conseguente richiesta italiana di usufruire di risorse aggiuntive tali da poter arrivare al cuore del problema, nella consapevolezza della limitata efficacia di riforme a costo zero.

Ecco allora che, proprio per dare uno strumento adeguato alla bisogna, il PNRR ha destinato imponenti risorse finanziarie europee (complessivi € 2.282.561.519,00, più del triplo di quanto attribuito alle linee di progetto per la digitalizzazione e per l’edilizia giudiziaria), alla “Missione 1 – Componente 1”, relativa al Progetto Capitale Umano dell’amministrazione giudiziaria.

In estrema sintesi, in conseguenza di quanto negozialmente convenuto nel Piano, l’amministrazione giudiziaria assumerà, con contratti a tempo determinato, 16.500 unità di personale non magistratuale con la qualifica di nuovo conio di “addetti all’ufficio per il processo” ed ulteriori 5.410 unità di personale parimenti amministrativo, con varie qualifiche ugualmente non presenti nell’odierno ordinamento professionale.

Questa massiccia immissione di risorse umane presenta dunque, anche nella legislazione nazionale che ne regola l’esecuzione, evidenti caratteri di eccezionalità e di temporaneità. Si tratta infatti di norme eccezionali (in senso tecnico, in quanto in più punti derogano alla ordinaria disciplina giuslavoristica), che dispiegano i loro effetti solo nel preciso ambito temporale dell’orizzonte di piano, ovvero sino al 2026.

Da ciò discende anche che questo intervento si affianca – senza sostituirla – alla ordinaria attività amministrativa (anche, ma non solo, in tema di reclutamento), sia pure secondo una logica di continua interazione.

2. I nuovi profili.

Il decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, recante Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2013, n. 123, è il testo fondamentale che introduce ope legis undici nuovi profili professionali (il più importante dei quali, anche come semplice consistenza numerica del relativo contingente, è evidentemente quello di addetto all’ufficio per il processo) e ne disciplina il mansionario e le procedure straordinarie di reclutamento, sancendone la completa equiparazione alle qualifiche assimilabili previste in via ordinaria. Per la lettera delle specifiche disposizioni si rimanda direttamente alla lettura degli articoli da 11 a 17 e dell’allegato II, nonché, se si vuole, delle circolari del dipartimento dell’organizzazione giudiziaria e delle singole direzioni generali, onde non appesantire la linearità espositiva di questa presentazione a volo d’uccello.

Vale innanzitutto la pena di smentire una leggenda metropolitana, malauguratamente affiorante anche nel dibattito interno alla magistratura, che equivoca, in maniera giuridicamente maldestra, il contratto a tempo determinato, riconducendolo ad una forma, magari implicita di precariato (a partire dalla definizione di “tirocinanti”, tralaticiamente affibbiata ai dipendenti con la nuova qualifica di addetti all’ufficio per il processo). Sembra quasi inutile sottolineare come nel pubblico impiego italiano non sia affatto sconosciuto l’istituto del tempo determinato, sia pure con disciplina peculiare; con queste premesse, l’equiparazione tra tempo determinato e precariato attiene più alle gag di Checco Zalone sul “posto fisso” che ad un’analisi oggettiva dell’architettura ordinamentale.

Altra questione, obiettivamente molto più complicata, è invece quella della adeguatezza della durata del contratto rispetto agli obiettivi che si perseguono. La risposta postula una consapevolezza più approfondita del quadro generale, che occorre dunque illustrare quantomeno nei suoi caratteri principali.

In primo luogo, scomponiamo nelle sue componenti principali l’enorme contingente di 21.910 unità complessive (per dare un’idea dell’ordine delle grandezze, ricordo che la dotazione organica del personale amministrativo prevede circa 43.000 posti, circa 32.000 dei quali attualmente coperti).

I primi a prendere possesso negli uffici saranno gli 8.250 addetti all’ufficio per il processo (8.050 presso i tribunali ordinari e le corti di appello e 200 presso la corte di cassazione) assunti con contratto di durata di due anni e sette mesi. La prova finale del concorso bandito il 6 agosto per tutti i distretti, ad eccezione di quello di Trento, si è conclusa lo scorso novembre. Nei successivi mesi di dicembre e di gennaio si procederà alla validazione delle ventisei graduatorie distrettuali e alla scelta delle sedi da parte dei vincitori, la cui immissione in servizio è quindi ipotizzabile, al più tardi, per il mese di febbraio. Per quanto riguarda il distretto trentino, in ragione delle particolarità istituzionali (a partire dalle norme in tema di bilinguismo nella provincia di Bolzano e di ripartizione dei posti tra i gruppi linguistici), è bandito un concorso ad hoc; le dimensioni ridotte di questa procedura consentono di prevedere che anche queste unità cominceranno a lavorare in tempi sostanzialmente analoghi ai colleghi del resto d’Italia.

Nella primavera 2022, ci saranno poi anche le assunzioni, con un contratto della durata di tre anni, di 5.410 unità, ripartite in dieci nuovi profili professionali tecnici (informatici laureati e diplomati, contabili laureati e diplomati, edili laureati e diplomati, statistici e analisti di organizzazione) e giuridico-amministrativi (laureati e diplomati). Queste figure offriranno il loro indispensabile supporto per accompagnare e completare il processo di transizione digitale e la linea di progetto in tema di edilizia giudiziaria, nonché per coadiuvare le cancellerie nello smaltimento del maggior carico di lavoro derivante dalla aumentata produttività degli uffici.

Nell’estate 2024, entrerà infine in servizio la seconda tranche di ulteriori 8.250 addetti all’ufficio per il processo, con un contratto della durata di due anni ovvero sino alla fine dell’orizzonte di piano; le attività di rendicontazione e chiusura, infatti, occuperanno il secondo semestre del 2026. Le due distinte tranches saranno quindi in servizio l’una dopo l’altra senza soluzione di continuità, ed anzi con un breve periodo di sovrapposizione per il necessario passaggio di testimone. D’altronde, sarà fatto quanto possibile per evitare un’inutile dispersione del patrimonio di professionalità acquisite, anche nel senso di consentire la prosecuzione nel nuovo rapporto di lavoro di chi sia in procinto di concludere il primo contratto a tempo determinato.

Il reclutamento, su base rigidamente distrettuale, si fonda su un’architettura procedimentale bifasica, in parte ispirata ai recenti concorsi straordinari per direttori e cancellieri esperti, che si articola in una prima selezione per titoli (universitari e scolastici, professionali o di altro tipo) e in una seconda selezione mediante prova scritta con quesiti a risposta multipla (in ambiti disciplinari mirati, dal momento che la conoscenza generale delle altre materie afferenti è già vagliata nella prima fase, secondo quanto evidenziato nei singoli curricula: si riconosce, in altre parole, il ruolo avuto dalla scuola, dall’università, dal mondo delle professioni e dai tirocini negli uffici giudiziari nei percorsi formativi dei migliori giovani laureati e diplomati).

In ogni caso, l’intero sistema di punteggi e premialità mira a valorizzare i candidati più giovani, favorendo il loro primo ingresso nel mondo del lavoro; d’altra parte, stiamo operando nell’ambito dello strumento NextGenerationUE. La funzione di volano per l’occupazione e al contempo di creazione di una platea di soggetti già formati concretamente sta poi alla base dei notevoli benefici in favore di coloro che abbiano positivamente portato a termine il rapporto di lavoro a tempo determinato sempre nella sede di prima assegnazione: per tutti i profili PNRR è prevista la possibilità di entrare nei ruoli della amministrazione giudiziaria a tempo indeterminato (mediante l’attribuzione di un punteggio aggiuntivo ovvero la previsione di una quota di riserva dei posti a concorso) oppure di altre amministrazioni dello Stato (con attribuzione di un titolo di preferenza); per gli addetti all’ufficio per il processo, la professionalità acquisita potrà offrire sbocchi anche in altri ambiti (concorso per magistrato ordinario, professioni di avvocato e di notaio, scuola di specializzazione per le professioni legali, accesso alla magistratura onoraria).

I nuovi assunti, in quanto pubblici dipendenti, riceveranno a cura dell’amministrazione una serrata formazione di ingresso e una successiva formazione di aggiornamento e ulteriore specializzazione, con modalità tali da garantire il massimo accesso: didattica in presenza o in streaming ovvero in modalità asincrona tramite la piattaforma e-learning Giustizia, variamente combinate a seconda della tipologia del corso. Per i contenuti sono in via di formalizzazione convenzioni e altre forme di partenariato anche con la Scuola Superiore della Magistratura, la Scuola Nazionale dell’Amministrazione, l’Agenzia Europea per il Supporto al Diritto di Asilo – EASO e con altri professionisti della formazione operanti sul mercato privato: in tutto, almeno 90.000 ore di didattica (giudiziaria, economico-contabile, manageriale-gestionale, tecnica, informatica), interamente finanziate con fondi europei. Quanto alla individuazione delle specifiche esigenze formative, sarà comunque fondamentale il feedback del territorio, sia in merito ad eventuali materie particolari ritenute nondimeno di particolare interesse, magari  anche solo a livello locale (ad esempio, il diritto tavolare), sia per la effettiva consistenza numerica dei fabbisogni per singoli corsi o aree tematiche già preliminarmente comunicate (ad esempio, tot unità per i corsi sulla protezione internazionale, tot per quelli sulla contrattualistica pubblica; tot per quelli sui servizi di cancelleria penale e così via). In altri termini, l’amministrazione metterà per tempo a disposizione degli uffici giudiziari, anche seguendo le loro indicazioni, un nutrito elenco di corsi e gli uffici comunicheranno, sulla base di quanto previsto dai rispettivi piani organizzativi, quanti dei loro dipendenti PNRR vi parteciperanno. Da questa breve illustrazione, discende anche la quasi banale osservazione che non sono previsti specifici oneri formativi a carico del personale magistratuale (o amministrativo di ruolo) diversi dalla condivisione di conoscenze connaturata fisiologicamente al lavoro di équipe, secondo i nuovi modelli disegnati dalla normativa di rango primario; il che, a ben vedere, resta una diretta conseguenza del fatto che i giudici sono soggetti (soltanto) alla legge. Coerentemente con questa impostazione, potrebbe ipotizzarsi, ancora a titolo di proposta operativa, che almeno ad alcuni degli incontri di studio, soprattutto quando svolti in forma seminariale o di workshop, partecipassero anche, come relatori o mediante interventi programmati, uno o più magistrati del distretto che operano in quella materia, così da contestualizzare al massimo le interpretazioni e le prassi radicate negli uffici giudiziari interessati.

D’altronde, altrettanto opportuna appare una parallela attività formativa destinata ai dirigenti amministrativi degli uffici, e laddove possibile al personale della terza area funzionale, ma anche ai magistrati, non solo direttivi e semidirettivi, per immergersi fattivamente nella nuova realtà, metabolizzandone le prospettive di positiva evoluzione del sistema organizzativo e cercando di prevederne, così da evitarle, le possibili criticità. Ognuno per quanto di propria competenza, ma in costante interazione, il Ministero e la Scuola Superiore della Magistratura si stanno già muovendo in questa direzione.

Per un ottimale impiego di queste particolarissime risorse, d’altronde, sono previste due deroghe tutt’altro che prive di significato, dirette l’una a garantire la massima elasticità di orario e di proporzione tra lavoro in presenza e lavoro da remoto (anche, ad esempio, derogando le ordinarie previsioni di legge o di circolare e di CCNL in tema di turni pomeridiani e di lavori pomeridiani o di smartworking), l’altra a mantenere entro un perimetro coincidente al massimo con i confini del distretto per cui si è presentata la domanda ogni forma di mobilità temporanea, radicando i candidati presso la sede di prima assegnazione ed evitando la notoria tendenza a richiedere distacchi presso alcune regioni particolarmente ambite.

3. Gli addetti all’ufficio per il processo.

Un approfondimento particolare merita la figura degli addetti all’ufficio per il processo, momento cruciale, non solo per la nuda consistenza numerica, del progetto Capitale Umano e, più in generale, nel futuro assetto ordinamentale ordinario.

La presenza strutturale di uno staff a supporto dell’attività propriamente giurisdizionale del magistrato è un dato oggettivo e risalente di molteplici ordinamenti di diritto continentale (Francia, Spagna, Belgio, Paesi Bassi) e di common law (Stati Uniti, Regno Unito), nonché di non pochi corti e tribunali internazionali. Questo dato ha enormemente facilitato il via libera della commissione europea alla proposta italiana di utilizzare una parte consistente delle risorse concesse al sistema giustizia (oltre due terzi) per rafforzare il già presente ufficio per il processo con una congrua ulteriore dotazione di personale dedicato, fornito della necessaria preparazione giuridica ed extra-giuridica.

La nuova figura di “addetto all’ufficio per il processo” è stata dunque declinata, perlomeno per quanto attiene all’attuazione del PNRR, in una maniera del tutto particolare, che tenesse opportunamente conto del quadro ordinamentale e delle criticità da affrontare. La qualifica di addetto è, in primo luogo, ricompresa appieno tra quelle del personale amministrativo e non rappresenta un tertium genus rispetto all’ordinaria dicotomia personale magistratuale-personale amministrativo.

La gestione di queste risorse umane (per quanto attiene a diritti patrimoniali e non patrimoniali, inquadramento, disciplina, etc.), quindi, è direttamente regolata dalla normativa statale e contrattuale sul pubblico impiego, salvo le deroghe sopra accennate, marginali rispetto al contesto complessivo ed anzi funzionali alla massima efficienza di utilizzo. Si tratta pertanto di risorse assegnate a un ufficio giudiziario, e poi ad una sua articolazione amministrativa, l’ufficio per il processo, e non a uno o più singoli magistrati, per quanto in concreto possano ritualmente ipotizzarsi legami personali di una qualche stabilità.

Per estendere al massimo le possibilità di contribuire all’efficiente funzionamento degli uffici, accanto agli addetti con formazione giuridica, ovviamente presenti in quota larghissimamente maggioritaria, saranno presenti anche unità in possesso di laurea in economia e commercio o in scienze politiche.

Tutto ciò discende direttamente dalla natura “anfibia” degli addetti, allo stesso tempo componenti di una struttura di ausilio all’attività tipica dei magistrati giudicanti e personale competente per le mansioni schiettamente amministrative, direttamente o indirettamente serventi rispetto alla suddetta attività giurisdizionale. Da un lato, quindi, l’addetto partecipa, sotto la supervisione del presidente di sezione o di altro magistrato, allo spoglio delle nuove iscrizioni, allo studio del fascicolo, alla predisposizione di schemi e di bozze di provvedimenti semplici, alla preparazione dell’udienza e al controllo delle notifiche, alla analisi dei ruoli per verificare serialità di procedimenti, scadenze imminenti e così via; dall’altro, è competente, compatibilmente con l’inquadramento nella terza area professionale e sotto la supervisione del direttore di cancelleria o di altro incaricato/referente, per tutto un corollario di attività amministrative che vanno dallo scarico dell’udienza già espletata (e prima ancora alla stessa assistenza al magistrato in quella stessa udienza, o in altre), alla cura delle notifiche, alla ricognizione delle tendenze giurisprudenziali ai fini dell’implementazione di banche dati locali di merito, nonché agli incombenti di diretta gestione del personale, aumentato enormemente, per quanto attiene ferie, permessi, buoni pasto, controllo delle presenze, organizzazione dei turni, etc.

Siamo di fronte, quindi, sia a una rimeditazione del ruolo del magistrato giudicante, diretta a liberarne risorse intellettuali ad oggi sparse in mille frammentarie competenze, sia a una volontà di innovazione dei processi di lavoro all’interno dell’amministrazione giudiziaria, anche mediante l’introduzione di una figura che funga da cerniera tra il momento tipicamente giurisdizionale e l’attività amministrativa che questo momento precede, accompagna e segue. L’idea su cui fa perno la nuova figura è esattamente quella di offrire ai vertici degli uffici giudiziari una sorta di “cassetta degli attrezzi” di ampiezza e versatilità tale da garantire la massima adattabilità del singolo strumento alle necessità imposte dalle specifiche contingenze del singolo ufficio, a partire dal particolare contesto socio-economico in cui si agisce e dalle caratteristiche proprie del singolo tribunale o della singola corte.

Qualche esempio può essere utile non per imporre una cassaforma su cui modulare i piani organizzativi degli uffici e la concreta gestione delle nuove risorse, ma per offrire scenari paradigmatici da cui muovere nell’immaginare il migliore impiego delle nuove risorse (un impiego, ovviamente, non fossilizzato dalla originaria pianificazione, ma sempre modificabile, in maniera rilevante o marginale, ogni qualvolta mutino le specifiche necessità quotidiane). Non inutile premessa a questi esempi è costituita dal richiamare ancora una volta l’eccezionale consistenza numerica del contingente di addetti all’ufficio per il processo, come distribuito nei distretti e negli uffici dai decreti ministeriali del 26 luglio e del 28 settembre 2021: si tratta, con ogni evidenza, di un’enorme massa di manovra, che va dalle otto unità del tribunale di Sulmona (cinque giudici togati in pianta organica) alle trecentosessanta del tribunale di Roma (trecentotrentacinque giudici togati in pianta organica), suscettibile di costituire una riserva di impiego anche per finalità di evidente utilità nel miglioramento dell’efficienza giudiziaria nel suo complesso, pur a prescindere dallo stretto rispetto dei target sopra accennati ( comunque non negoziabili, ripetiamolo).

Immaginiamo, pertanto, che, ferma restando la perdurante piena funzionalità degli uffici per il processo mediante l’attività delle altre categorie già impegnate a legislazione vigente (magistrati onorari, tirocinanti, research officers EASO nelle Sezioni specializzate in protezione internazionale, nonché, laddove presente, personale amministrativo di ruolo), il contributo offerto dal nuovo profilo professionale potrebbe consistere in:

Studio preliminare dei fascicoli da portare in udienza, verificando il perfezionamento delle notifiche a tutte le parti, predisponendo una scheda riassuntiva dello stato del procedimento (da usare semmai in futuro anche come base per il “ritenuto in fatto” o per lo “svolgimento del processo” della motivazione, magari con sintetico riassunto degli esiti delle prove orali eventualmente assunte sino ad allora), individuazioni delle questioni di fatto e di diritto controverse, allegazione di ricerche giurisprudenziali (anche verificando precedenti in termini del medesimo ufficio);

Assistenza al magistrato (togato o onorario, dal momento che l’addetto è assegnato a un’articolazione amministrativa e non a un singolo giudice) in udienza, in sostituzione del personale di ruolo in ipotesi indisponibile (in particolare, per quelle udienze i cui fascicoli siano stati preventivamente studiati nell’ambito dell’ufficio per il processo), con possibilità pertanto di tenere (o proseguire) l’udienza anche nelle ore pomeridiane, vista la possibilità di declinare gli orari di servizio in maniera calibrata alle necessità dell’ufficio e anche in deroga alla disciplina ordinaria;

Redazione di bozze di provvedimenti, soprattutto di natura non particolarmente complessa e connotati da elevata serialità (i primi ambiti applicativi che vengono in mente, tali peraltro da incidere significativamente sul paniere CEPEJ dei procedimenti oggetto di monitoraggio PNRR, sono i procedimenti di archiviazione e per decreto penale di condanna negli uffici Gip e non pochi procedimenti in tema di protezione internazionale);

Costituzione e implementazione di banche dati della giurisprudenza di merito dell’ufficio (o persino di una o più sezioni), così da fungere da termometro di eventuali contrasti non ancora emersi e da individuare linee di tendenza delle questioni più ricorrenti, sia in un’ottica di pianificazione organizzativa, sia a beneficio dell’utenza esterna;

Costituzione e implementazione di un ufficio spoglio, sia a livello centrale in sede di prima iscrizione, sia nel caso nelle singole sezioni, per monitorare al meglio il numero e il peso dei singoli fascicoli, verificando i termini prescrizionali, individuando priorità di trattazione, questioni affini, etc.);

Analisi degli esiti delle impugnazioni proposte contro i provvedimenti dell’ufficio, massimizzando lo scambio di informazioni durante riunioni periodiche o con altri metodi comunicativi, anche a fini di coordinamento per elaborare soluzioni condivise;

Rilevazioni statistiche, anche ai fini del continuo monitoraggio formalmente richiesto dagli obblighi di rendicontazione agli organi eurounitari;

Rafforzamento della capacità amministrativa delle cancellerie, operando con le medesime mansioni e competenza dei funzionari giudiziari, per quanto riguarda sia il supporto all’attività giurisdizionale (comunicazioni e notifiche, anche mediante SNT; “scarico” dell’udienza, “pulizia” degli archivi eliminando le false pendenze, etc. – fermo restando il pieno accesso con ADN alla consolle, ai registri di cancelleria e a tutti gli altri applicativi dell’amministrazione, nonché, liberando per questioni di maggior spessore le risorse attualmente impegnate, la gestione dei corpi di reato o le pratiche di liquidazione di consulenti/periti, depositari, ausiliari, gratuito patrocinio), sia l’attività più propriamente diretta alla gestione del personale e ad altri incombenti amministrativi (controlli su presenze e assenze; evasione di richieste di permessi orari o giornalieri, ferie, buoni pasto, di aspettativa, etc.).

Come accennato, l’efficienza dell’ufficio è comunque un obiettivo con pieno diritto di cittadinanza nel PNRR. Quindi, sempre nel rigoroso rispetto degli stringenti target sopra illustrati, non appare aprioristicamente ultroneo l’impiego cum grano salis di una parte (evidentemente non maggioritaria, né comunque di notevole consistenza) delle numerose unità disponibili anche per la trattazione di materie non rientranti tra quelle rilevanti per il raggiungimento degli obiettivi, eppure fondamentali per la funzionalità generale dell’ufficio giudiziario e per i riflessi sul tessuto socio-economico del territorio in cui si opera (ad esempio, a supporto delle esecuzioni civili, singolari o concorsuali, del settore tutelare e dei procedimenti non contenziosi di separazione e di divorzio, delle esecuzioni  penali, delle liquidazioni). L’unica regola, potrebbe dirsi, è la ragionevolezza dell’intervento rispetto alle peculiarità del singolo ufficio e la capacità di incidere positivamente sull’efficienza della risposta giudiziaria.

In altre parole, e con una sintesi un po’ brutale, l’intero sistema è pensato per consentire ai giudici (la cui produttività non è mai stata messa in discussione) di lavorare in condizioni migliori, sgravandoli da incombenti bagatellari e fornendo a loro supporto una struttura di staff; non per farli lavorare di più. Il tutto sempre facendo riferimento non all’attività del singolo magistrato, ma all’efficienza del sistema nel suo complesso.

4. Una riflessione sul medio-lungo periodo.

 La temporaneità, lo si è visto, è caratteristica intrinseca del personale assegnato ai tribunali e alle corti dal progetto Capitale Umano: una dose da cavallo di risorse umane una tantum per liberare l’attività giudiziaria dalle scorie che ne frenano l’efficienza.

Con ogni evidenza, l’addetto all’ufficio per il processo è un profilo professionale “ad alta volatilità” e resta fondatamente ipotizzabile che i migliori, i più ambiziosi, i più vivaci tra i nuovi assunti PNRR, alla scadenza del contratto (o persino prima), muovano verso altre esperienze, più confacenti ai loro obiettivi e alle loro potenzialità. In qualche modo, si tratta d’altronde di una palestra in cui si formerà il ceto giuridico italiano della generazione successiva alla nostra (la next generation, non a caso), un luogo di formazione – anche personale, oltre che scientifica, professionale, deontologica – in cui cresceranno assieme i magistrati, gli avvocati, i docenti, i dirigenti amministrativi dei prossimi decenni; cosa che, per fortuna o purtroppo, ci impone una (ulteriore) responsabilità, individuale e collettiva.

D’altronde, l’ufficio per il processo era un istituto già presente nell’ordinamento, ormai da quasi dieci anni, e in molte sedi aveva dato ottima prova di sé e che continuerà ad esistere durante l’intero orizzonte temporale del PNRR e, soprattutto, anche successivamente.

Il rischio che la macchina dell’ufficio per il processo, non più sostenuta da questo eccezionale carburante, possa nel prosieguo incepparsi parrebbe in qualche modo verosimile. Proprio per scongiurare questo rischio, la recente legge di riforma del processo penale (legge 27 settembre 2021, n. 134, in particolare nei suoi contenuti di legge-delega) e, con contenuto per molti versi analogo, anche il disegno di legge per la riforma civile definitivamente approvata dai due rami del Parlamento dettano chiari principi e criteri direttivi per disciplinare nel dettaglio un rinnovato ufficio del processo e, soprattutto, prevedono l’assegnazione di specifico personale amministrativo con contratto di lavoro a tempo indeterminato, in termini non risicati: mille unità per il settore penale e cinquecento per quello civile, già provviste di copertura finanziaria.

Con queste premesse, anche la temporaneità della presenza degli addetti assunti in ambito PNRR assume un significato molto diverso: non solo la pregressa esperienza degli uffici per il processo “ante PNRR” sarà fondamentale per la concreta costruzione degli uffici del processo “durante” e “post PNRR”, in una continua interazione intellettuale e organizzativa, ma non mancherà una tangibile continuità, anche soggettiva. Una sorta di passaggio di testimone tra chi è entrato, con un contratto a tempo determinato, nell’amministrazione giudiziaria e poi vi è rimasto, inquadrato nei ruoli all’esito dei successivi concorsi, e chi arriverà più tardi, potendo però contare su un sistema già sperimentato.

5. Qualche considerazione conclusiva.

Nelle pagine che precedono, sono state delineate sfide molto complicate, come appare chiaro anche all’osservatore meno avvertito, e sarebbe affermazione degna di un imbonitore di fiera pretendere che gli impegni assunti in sede di contrattazione con l’Unione europea (d’altronde, inevitabili e non rinviabili) siano di per sé soli in grado di risolvere le non poche e non irrilevanti criticità del sistema giustizia senza un enorme sforzo di consapevolezza e adattamento e poi un altrettanto cospicuo impegno concreto da parte di tutti gli attori coinvolti, a partire dai magistrati (non solo giudicanti).

È il prezzo richiesto alla magistratura, e ad ogni singolo magistrato. Anche alla “altra metà del cielo”, perché il coinvolgimento degli uffici di procura e la più fluida coordinazione tra requirenti e giudicanti sono un postulato imprescindibile per il buon esito delle linee di progetto Giustizia, a loro volta condizione indefettibile, per l’ottemperanza agli impegni assunti dal Paese nell’ambito dell’intero Piano per la ripresa e la resilienza. Nulla impedisce, d’altra parte, che questo coinvolgimento e questa coordinazione siano formalizzati anche mediante la costituzione di uffici per il processo trasversali in cui operino congiuntamente i due uffici giudiziari (penso non solo all’ovvio momento di confronto Gip/Gup, ma anche ai procedimenti civili in cui si prevede la partecipazione del pubblico ministero).

La mia convinzione personale, credo condivisa da molti di noi, ciascuno con il proprio vissuto e con la propria visione del mondo, è che in questo momento di transizione, strano e drammatico, mentre ancora l’Italia, l’Europa e il mondo sono flagellati dalla tempesta pandemica, sia necessario rimarcare la centralità del nostro ruolo nel governare un’innovazione imposta dai tempi e dalle contingenze, senza subirla passivamente, senza indietreggiare di un passo rispetto alla qualità tecnica della risposta giurisdizionale e alle garanzie di indipendenza per il singolo magistrato, senza neppure arroccarsi in una nobile ma sterile laudatio temporis acti, consapevoli della imprescindibilità di una giurisdizione efficiente e autorevole rispetto alla ripresa e alla crescita economica, sociale e morale del Paese.

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