di Filomena Capasso, Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in collaborazione con il Centro Studi “Nino Abbate” di Unità per la Costituzione
SOMMARIO: 1. Autore e vittima del reato nella evoluzione del pensiero relativo agli elementi dell’illecito penale, per addivenire al concetto di pena intesa anche come riparazione. – 2. La giustizia riparativa. Una disciplina organica con la delega del 23 settembre 2021 per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari. – 3. Gli strumenti della giustizia riparativa. La mediazione penale. – 4. La mediazione penale: una nuova concezione di politica criminale. – 5. La semilibertà e la detenzione domiciliare: da misure alternative tout court a pene sostitutive. – 6. La portata riparatoria del lavoro di pubblica utilità nei confronti della collettività e del singolo leso dal reato. – 7. Conclusioni. La delega in materia di giustizia riparativa: un’occasione da cogliere.
1. Autore e vittima del reato nella evoluzione del pensiero relativo agli elementi dell’illecito penale, per addivenire al concetto di pena intesa anche come riparazione
“Se derubi un altro, derubi te stesso” (Kant, La Metafisica dei Costumi).
In questa concezione filosofica classica del reato e della pena, si racchiude l’essenza della emarginazione della figura della vittima del reato, per lungo tempo, nella struttura dell’illecito penale.
In base ad una concezione eminentemente collettivistica del reato e della tutela del relativo bene giuridico, la figura della vittima del reato è stata infatti per lungo tempo posta in secondo piano, nelle costruzioni dottrinarie, legislative e giurisprudenziali, laddove solo il “bene giuridico” è stato il faro delle scelte di politica criminale con una conseguente marcata caratterizzazione in senso statale del concetto di pena (Albin Eser, Bene Giuridico e vittima del reato, 1997, cit., pag. 1065). Peraltro, già nella teoria del patto sociale elaborata da Locke, il reato viene inteso come offesa alla collettività, che supera e ingloba dunque, l’offesa della vittima in concreto.
Specchio nella pratica della evoluzione del pensiero filosofico tradizionale in tema di struttura del reato e sulle finalità della pena, sono state le scelte di politica criminale attuate fino a questo momento, che hanno visto al centro dell’attenzione quasi esclusivamente il bene giuridico tutelato e l’autore del reato, anche nei predicati di risocializzazione dello stesso, collocando l’offesa arrecata con la commissione di un illecito penalmente rilevante, nell’ambito della lesione di un bene giuridico, piuttosto che un diritto soggettivo.
Dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso, tuttavia, si è registrato un cambiamento di tendenza verso la riscoperta della vittima del reato nella struttura stessa dell’illecito, anche se insieme a questa rivalutazione si sono sollevati dubbi sul fatto che tale cambio di rotta nel pensiero filosofico tradizionale potesse essere veramente teso a migliorare le condizioni della persona lesa dal reato, in quanto si è osservato che i meccanismi di riparazione portano vantaggi al reo in termini di mitigazione del trattamento sanzionatorio, di gran lunga superiori a quelli riservati alla vittima.
Dalla nuova concezione del reato come illecito- che comporta sia l’offesa di un diritto collettivo che di un diritto soggettivo- consegue quella in base alla quale la sanzione ha non solo una finalità pubblicistica, general e special preventiva, rieducativa e retributiva ma può arrivare ad averne anche una di natura riparativa dell’interesse soggettivo leso con la commissione del delitto.
2. La giustizia riparativa. Una disciplina organica con la delega del 23 settembre 2021 per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari.
Fatta questa breve premessa filosofica sulla evoluzione della figura del ruolo della vittima del reato nella struttura dell’illecito penale nel pensiero occidentale, occorre inquadrare lo stato dell’arte con riferimento alla disciplina della giustizia riparativa nel nostro ordinamento, con precipua attenzione alla fase esecutiva del procedimento penale, in coerenza con gli obiettivi di questo studio.
Nell’ordinamento italiano, dopo pochi interventi legislativi frammentati riguardanti la giustizia riparativa- specie nei settori del processo minorile e nei reati di competenza del giudice di pace, nonché con l’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova anche per gli adulti, introdotto con la norma di cui all’art. 168 bis c.p. e nella esecuzione della pena detentiva- con la legge delega del 23 settembre 2021 il Parlamento ha conferito al Governo la delega per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari.
La legge delega suddetta viene varata dopo l’occasione mancata, anche in materia di giustizia riparativa, rappresentata dal tentativo del precedente Governo Conte di introdurre una riforma del processo penale in tema di giustizia riparativa, compendiata nella bozza delle legge delega elaborata dal precedente ministro della giustizia Bonafede, avente come obiettivo l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le Corti d’Appello, mai divenuta legge.
Il lavoro di studio ed elaborazione già svolti non sono andati però completamente persi, in quanto la Commissione incaricata dal Ministro Cartabia di redigere un progetto di riforma del processo penale anche con riguardo alla giustizia riparativa, presieduta dal consigliere Giorgio Lattanzi, si è inserita in un cuneo di ideale continuità con il precedente percorso di elaborazione e studio, avendo preso come base per i propri lavori proprio quella bozza.
La previsione peraltro soddisfa quanto da tempo richiesto a livello sovranazionale: con la risoluzione del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite 2002/12, preceduta dal progetto preliminare contenuto nella risoluzione 2000/14, erano stati fissati al paragrafo 20 i Principi base circa l’uso dei programmi di Giustizia riparativa in diritto penale (Basic Principles on the Use of Restorative Justice Programmes in Criminal Matters), con il quale gli Stati erano stati invitati ad elaborare politiche criminali volte allo sviluppo della giustizia riparativa.
L’aspirazione di rispondere alle istanze sovranazionali con riferimento alla giustizia riparativa, oltre che di introdurre una disciplina organica della materia nel nostro ordinamento, viene anche messa in evidenza nella stessa formulazione letterale dell’art. 18 della suddetta legge, con il quale viene prescritto che i decreti legislativi delegati dovranno recare “una disciplina organica della giustizia riparativa quanto a nozione, principali programmi, criteri di accesso, garanzie, persone legittimate a partecipare, modalità di svolgimento dei programmi e valutazione dei suoi esiti, nell’interesse della vittima e dell’autore del reato”, nel rispetto della normativa europea (direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25/10/2012), nonché dei principi sanciti al livello internazionale.
L’intento della riforma è evidentemente quello di superare l’attuale assetto frammentario della disciplina della giustizia riparativa, caratterizzato da elementi di riparazione sparsi all’interno del nostro ordinamento, per arrivare alla elaborazione di un modello organico di giustizia riparativa, complementare a quello attualmente predominante di giustizia punitiva, che vede al centro del sistema la pena carceraria.
La parte della riforma relativa alla giustizia riparativa, come risulta dalla stessa rubrica della legge, appare dunque con tutta evidenza la parte più innovativa del progetto introdotto con la legge delega n. 123/2021, il fiore all’occhiello della riforma, con l’ambiziosa finalità di determinare un cambio di passo rispetto al populismo penale imperante negli ultimi anni (Eleonora A.A Dei– Cas pag. 3 Archivio penale 2021 n. 3).
La finalità di dare una sistemazione organica alla materia della giustizia riparativa nel nostro ordinamento, si coniuga con l’intento di scardinare l’idea della ineluttabilità del sistema penale carcerario e di recuperare centralità alla figura della vittima del reato, intento che trapela, tra l’altro, anche dalla definizione delineata in linea di principio nella legge delega del concetto di vittima stessa- da intendersi non solo come la persona che ha avuto una danno diretto dall’illecito penale- cd. vittima primaria– ma anche i familiari della persona deceduta in conseguenza del reato- cd. vittime secondarie (Mannozzi, La Giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale, p. 271).
3. Gli strumenti della giustizia riparativa. La mediazione penale.
Tra i principi della delega in commento, vi è quello di prevedere la possibilità di accesso ai programmi di giustizia riparativa in ogni stato e grado del procedimento penale e durante la esecuzione della pena.
Il forte rilievo impresso alla giustizia riparativa dal Legislatore è dunque evidenziato dalla previsione della possibilità di accedere a programmi di giustizia riparativa in ogni fase e grado del procedimento penale, ovvero, sin dal momento delle indagini preliminari, per poi poter aderire a tale scelta in ogni fase successiva del procedimento penale, fino al momento della esecuzione della pena.
Si amplia quindi notevolmente il concetto di giustizia riparativa, ricomprendendo in esso sia strumenti che in realtà rientrano nell’alveo di quelli premiali e con indubbia valenza deflattiva del procedimento penale ( come ad esempio la messa alla prova), sia strumenti effettivamente tesi a ricomporre la doppia frattura sociale verificatasi con la commissione di un reato, anche in fase esecutiva della pena, tra autore dell’illecito con la collettività intera e tra l’autore dell’illecito con la vittima del reato. Quando si parla di giustizia riparativa, infatti, è necessario distinguere la “pratiche ed i metodi della giustizia riparativa” dalle “sanzioni riparatorie” (Palazzo, Crisi del carcere e culture di riforma , Diritto penale Contemporaneo 4/2017, cit., pag. 10).
Le sanzioni riparatorie possono essere considerate come una risposta dell’ordinamento alla commissione di un reato, alternativa alla pena detentiva classicamente intesa, ovvero come pene autonome sostitutive o alternative alla detenzione, previste a livello edittale dal Legislatore.
Pur potendosi auspicare che il paradigma della giustizia riparativa conservi una duttilità anche dopo la esplicazione della delega e che non venga ingabbiato in elenchi tassativi, è indubbio che uno degli strumenti principali di tale paradigma, rientrante nella categoria delle pratiche e metodi della giustizia riparativa, espressamente menzionato dalla cd. riforma Cartabia e già molto sperimentato nei paesi anglosassoni, è quello della mediazione.
I criteri della delega in tema di mediazione, sono informati soggettivamente al principio della incoercibilità, nel senso che l’accesso al programma in questione può avvenire solo “sulla base del consenso libero e informato dell’autore e della vittima del reato e della positiva valutazione da parte dell’autorità giudiziaria dell’utilità del programma in relazione ai criteri di accesso”.
È da rimarcare che il successo della mediazione dipende dalla volontà delle parti di parteciparvi e che il consenso della vittima, in particolare- il cui presupposto, come per l’autore del reato, è una “completa, tempestiva ed effettiva informazione” – è indispensabile per evitare il verificarsi di fenomeni di vittimizzazione secondaria (Mannozzi, La Giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale, cit., pag. 271; Mannozzi- Lodigiani, La Giustizia riparativa. Formanti, parole e metodi, cit., pag. 362).
Il mediatore deve essere un terzo privo del potere di ius dicere, ovvero del potere decisionale e la formazione professionale dei soggetti preposti a tale compito appare funzionale a garantire che l’istituto trovi concreta operatività nella pratica.
Tale elemento poi, unito alla predisposizione di una adeguata organizzazione di servizi sul Territorio, garantirà un livello minimo essenziale omogeneo di operatività degli stessi, laddove disparità dovute a inefficienze organizzative e strutturali frustrerebbero a monte la funzionalità dell’istituto.
Si deve evidenziare che il dato che la delega sottragga la materia in esame alla (ricorrente) clausola di invarianza finanziaria, ma anzi destini allo scopo la somma di euro 4.438.524 annui, a decorrere dall’anno 2022 (come sottolineato da Palazzo, I profili di diritto sostanziale della riforma penale, cit. 14), lascia intravedere una concreta speranza che i principi e criteri enucleati dalla legge delega non verranno esautorati o addirittura esclusi negli atti delegati.
4. La mediazione penale: una nuova concezione di politica criminale.
Quello della mediazione penale si atteggia a strumento duttilissimo che può essere adoperato in ogni fase del procedimento penale (come anche quello della messa alla prova di cui all’art. 22 lett. a) della legge delega, nonché la causa di estinzione di alcune contravvenzioni di cui al successivo art. 23- da individuare concretamente in sede di attuazione della delega- condizionata al tempestivo adempimento di apposite prescrizioni ed al pagamento di una somma di denaro, da parte dell’imputato, con possibilità di lavoro di pubblica utilità in alternativa al pagamento di una somma di denaro; in tali casi il procedimento penale rimane sospeso dal momento della iscrizione della notizia di reato ex art. 335 c.p.p., fino al momento in cui il Pubblico Ministero riceve comunicazione dell’adempimento o dell’inadempimento delle prescrizioni e del pagamento della somma di denaro e la fissazione di un termine massimo per la comunicazione stessa).
Con particolare riferimento alla fase della esecuzione della pena, che, qualora la delega prenda effettiva forma con i decreti delegati, può avviarsi davvero a diventare la extrema ratio della politica criminale, la mediazione penale può costituire un efficace strumento da coniugare con le esigenze di risocializzazione della pena e con il perseguimento di obiettivi di prevenzione generale e speciale (Eusebi, Dibattiti sulle teorie della pena e “mediazione”, cit., pag. 81 e ss).
Se in base alla concezione tradizionale, nella fase della esecuzione della pena l’attenzione è stata sempre focalizzata sul condannato, con le aspirazioni della pena alla sua risocializzazione ovvero alla rieducazione del reo attraverso il percorso di espiazione, con l’attuazione dei principi della legge delega in parola, specie con la mediazione penale, l’evidenza in sede di esecuzione della pena si sposta anche sulla vittima del reato, la quale diviene protagonista nel percorso di riconciliazione del condannato, a seguito del conflitto generato nel tessuto sociale in seguito alla commissione del reato.
Con la giustizia riparativa attraverso l’istituto della mediazione penale, si potrebbe anzi addivenire ad una nuova concezione di risocializzazione del condannato, con una politica criminale che sia volta alla ricostituzione dei legami sociali spezzati dalla commissione del reato, laddove la versatilità dello strumento potrebbe garantire una tipizzazione del trattamento penitenziario da modellare non solo sulla storia personale del condannato, ma anche della vittima del reato.
Gli innegabili rischi di strumentalizzazione dell’istituto da parte del reo, il quale cioè potrebbe compiere la scelta di ricorrere a strumenti di giustizia riparativa- in generale- e alla mediazione penale in particolare, al fine di evitare trattamenti sanzionatori più severi o modalità della pena più gravose, possono essere ridimensionati ricorrendo a meccanismi di verifica in concreto dell’impatto degli istituti a livello empirico, come sui livelli di recidiva e di deflazione dei procedimenti penali.
5. La semilibertà e la detenzione domiciliare: da misure alternative tout court a pene sostitutive
Ancora con riguardo alla pena, la legge delega prevede un ventaglio di pene sostitutive delle pene detentive brevi di cui alla l. 689/1981, individuate nella semilibertà, la detenzione domiciliare, il lavoro di pubblica utilità, la pena pecuniaria.
La dirompente novità della cornice legislativa delineata con la legge delega in commento, sta nel fatto che viene sottratta centralità alla pena carceraria, in quanto la semilibertà e la detenzione domiciliare non potranno più essere catalogate tout court alla stregua di misure alternative alla detenzione (dalla cui disciplina la delega prevede di mutuare la disciplina sostanziale e processuale di cui alla legge n. 354/1975, in quanto compatibile), ma diventano pene sostitutive e potranno essere irrogate sempre prima del passaggio in carcere da parte del condannato, evitando così a monte l’innescarsi di processi di emarginazione dell’individuo detenuto che, oltre ad avere un impatto non positivo sulla recidiva, creano non pochi problemi di ordine sociale, familiare e lavorativo al condannato, nel momento del suo rientro nella società cd. libera, dopo aver espiato una pena carceraria.
Tali pene costituiscono una categoria sanzionatoria autonoma che non implica alcun passaggio in carcere- a meno che non si verifichi un evento patologico determinato dalla violazione delle relative prescrizioni da parte del condannato- dal momento della previsione edittale, alla irrogazione da parte del giudice, fino ad arrivare al momento della loro esecuzione.
Tali sanzioni penali evitano a monte- e quindi sempre- il passaggio in carcere, a differenza delle misure alternative alla detenzione, che presuppongono invece la centralità del sistema carcerario e che demandano al giudice di sorveglianza il compito di decidere in sede esecutiva se un condannato può uscire dal circuito carcerario o non deve entrarvi.
La disciplina organica delle misure alternative alla detenzione- affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare, semilibertà- introdotta con la l. n. 354/1975, ha rappresentato forse l’unica riforma organica della materia penitenziaria fino a questo momento, che ha assicurato un adeguamento costituzionale del nostro sistema penale. Fondate in linea di principio sulla esigenza rieducativa della pena, le misure alternative hanno finito in pratica per essere degli strumenti di tenuta dell’attuale sistema penale incentrato sul carcere, demandando in sede esecutiva al magistrato di sorveglianza le decisioni relative allo sfollamento degli istituti penitenziari.
I risultati statistici e delle diverse ricerche che consentono di affermare che la espiazione della pena detentiva in misura alternativa, oltre ad avere una efficacia deflattiva sulla popolazione carceraria, hanno soprattutto una incidenza a ribasso sul pericolo di recidiva, consentono di formulare una previsione ottimistica anche sull’impatto ulteriore che le pene sostitutive potranno avere sulla recidiva e sul problema del sovraffollamento carcerario ( cfr. Daniela Ronco, In alternativa. Numeri, tipologie e funzioni delle misure alternative, Torna il Carcere XIII rapporto Antigone, maggio 2017).
La semilibertà e la detenzione domiciliare, dunque, potranno essere applicate non più in via esclusiva dal Tribunale di Sorveglianza in sede di esecuzione della pena, ma anche dallo stesso giudice di merito direttamente, all’esito del giudizio di cognizione, in sostituzione di una pena detentiva breve, quando egli ritenga che esse possano contribuire alla rieducazione del condannato e siano idonee a contenere il pericolo di recidiva, anche attraverso opportune prescrizioni.
Con la attuazione della delega quindi, il ricorso a pene edittali non carcerarie finirà per articolare il sistema penale su due piani, carcerario e non: quello delle pene detentive e quello delle pene alternative.
Vale la pena sottolineare che la previsione di prescrizioni da adempiere a carico del condannato, da parte dell’organo giudicante che irroga la sanzione penale nella forma della semilibertà o della detenzione domiciliare, può servire a coniugare nella fase esecutiva della pena, le esigenze di recupero sociale del condannato con quelle di riparazione del danno subito dalla vittima del reato.
In base alla sensibilità dell’operatore giuridico, la imposizione di opportune prescrizioni, da modulare a seconda dei casi concreti, potrà valorizzare la dimensione riparatoria della pena nella direzione del ristoro del danno subito dalla persona offesa dal reato, con prestazioni restitutorie o che prevedano addirittura un facere del condannato in suo favore.
Ulteriore conferma dell’intento del Legislatore di scardinare la concezione della pena detentiva come pena- fulcro dell’intero ordinamento penitenziario, inoltre, è data dalla norma di cui all’art. 17 lett. e) della legge in commento, in cui si conferisce al Governo la delega a disciplinare la possibilità che il giudice di merito, nel pronunciare la sentenza di condanna o di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., possa sostituire la pena detentiva fino a quattro anni con la pena della semilibertà o della detenzione; o, ancora, possa sostituirla anche con il lavoro di pubblica utilità, quando ritenga di doverla determinare nel limite di tre anni e/o con la pena pecuniaria, quando ritenga di dover irrogare una pena detentiva nel limite edittale di un anno.
Lo scopo di garantire una adeguata corrispondenza tra bene giuridico offeso e misura della pena – in termini di omogeneità e di proporzionalità della risposta sanzionatoria alla violazione – viene garantito dal Legislatore, dunque, attraverso la conversione di una pena carceraria individuata fino ad una certa misura (nella specie: fino a tre o fino a quattro anni), in una pena sostitutiva. In base alla tipologia delle pene sostitutive ed i limiti edittali delle pene detentiva che potranno sostituire, si può prevedere quindi che il loro campo di applicazione riguarderà la fascia di reati di gravità medio- bassa.
Valenza fortemente riparatoria va inoltre riconosciuta alla previsione in base alla quale, in sede di emanazione di decreto penale di condanna, sia la pena detentiva che quella pecuniaria, possono essere sostituite dal giudice con quella del lavoro di pubblica utilità, sempreché il condannato non si opponga.
Si deve sottolineare che la previsione esplicita del lavoro di pubblica utilità- che consiste nella prestazione di un’attività non retribuita in favore della collettività per un tempo determinato- come sanzione sostitutiva di pene detentive brevi, contenuta nella legge delega, dà una valenza generale a tale pena che in precedenza aveva trovato una limitata applicazione ai casi di violazione alle norme del codice della strada, con riguardo quindi ai reati di competenza del giudice di pace.
6. La portata riparatoria del lavoro di pubblica utilità nei confronti della collettività e del singolo leso dal reato.
Nel lavoro di pubblica utilità, la valenza riparatoria di tale pena si esplica non solo nei confronti della vittima del reato, ma nei riguardi della collettività intera, laddove le concrete prescrizioni imposte in sede esecutiva possono valere a modulare efficacemente la condotta del condannato a fini di riparazione del danno, sia in direzione collettivistica che soggettivistica.
Lo svolgimento di lavoro di pubblica utilità può dunque essere accompagnato dal risarcimento del danno o da forme di ristoro alternative, oltre alla osservanza di una serie di obblighi relativi alla dimora, alla libertà di spostamento, divieto di frequentare soggetti pregiudicati etc., e si svolge nell’ambito di un programma di trattamento sotto la supervisione dell’Ufficio per la Esecuzione Penale Esterna.
Con l’istituto della messa in prova, l’imputato viene ammesso sostanzialmente a svolgere un programma di trattamento simile a quello da attuare con il lavoro di pubblica utilità, ma prima della pronuncia della sentenza e sempre sotto la vigilanza dell’Ufficio per la Esecuzione Penale Esterna. Vale la pena di evidenziare comunque che tale istituto durante il giudizio non ha alcuna valenza sanzionatoria, potendosi far rientrare lo stesso piuttosto tra le “pratiche riparatorie”, in quanto si inserisce nella fase della indagini preliminari o in quella del giudizio di cognizione, previa sospensione della stessa e si traduce in programmi a vocazione rieducativa/trattamentale, con qualche innegabile collisione con il principio di innocenza (Cerretto-Mazzuccato, Mediazione e giustizia riparativa tra Consiglio d’Europa e O,N.U. cit., pag. 775; Mannozzi, La Giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale, cit., pag. 389).
Così come nel giudizio di sorveglianza viene demandata l’indagine socio familiare sul condannato agli uffici per la esecuzione penale esterna, ai fini della valutazione delle istanze di misure alternative alla detenzione, parallelamente la delega prevede il coinvolgimento di tali uffici nell’espletamento della medesima indagine nel giudizio di cognizione ai fini della eventuale irrogazione di una pena sostitutiva. Infatti, affinché il giudice della cognizione possa applicare la semilibertà e la detenzione domiciliare come sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi nel giudizio di merito, è essenziale il patrimonio conoscitivo apportatogli con la indagine sulla storia familiare e il contesto sociale del condannato- oltre che con le informazioni di polizia sulla pericolosità dello stesso. In base al compendio istruttorio raccolto, riguardante la storia socio familiare del condannato nonché le informazioni di polizia relative ai suoi precedenti, il giudice di merito potrà anche formare un giudizio negativo circa la adeguatezza della pena sostitutiva al contenimento del pericolo di recidiva o al reinserimento sociale del condannato, con conseguente irrogazione della pena detentiva.
Una netta valenza riparatoria nei confronti della vittima del reato è poi da rinvenire nella previsione in base alla quale, in caso di decreto penale di condanna o di sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità accompagnato dal risarcimento del danno o dalla eliminazione delle conseguenze dannose del reato (ove possibili), comporta la revoca della confisca che sia stata eventualmente disposta.
L’innegabile effetto positivo per il condannato, consistente nella revoca della confisca eventualmente disposta ai suoi danni, è strettamente connesso al ristoro dei danni ed alla eliminazione delle conseguenze dannose del reato da parte dello stesso, con indubbio beneficio anche per la vittima del reato, almeno in tale ipotesi residuale connessa alla confisca.
Il giudizio sulla valida espiazione delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi viene poi ricollegata dal Legislatore alla regolare esecuzione delle stesse, assumendo rilievo speculare la eventuale inosservanza grave o reiterata delle relative prescrizioni.
Tale inosservanza comporta la revoca della sanzione sostitutiva e- per la parte residua- la conversione nella pena detentiva sostituita o in un’altra pena sostitutiva.
Qualora le prescrizioni imposte riguardino forme di riparazione del danno nei confronti della vittima del reato, al mancato ristoro nei confronti di quest’ultimo, dovuto ad un comportamento volontario del condannato, conseguirà quindi la grave sanzione della revoca della sanzione sostitutiva e la conversione della stessa in pena detentiva.
In questi casi dunque, il comportamento del condannato, volto a eseguire puntualmente la pena così come irrogata, ovvero con tutte le modalità prescrittive eventualmente (ed opportunamente) imposte dal giudice anche in un’ottica riparatoria, viene agganciato anche alla figura della vittima e al relativo interesse individuale- ovviamente parte di quello generale- la quale acquista una centralità mai avuta precedentemente nella costruzione dell’illecito penale e nel suo successivo dispiegarsi nella fase di esecuzione della pena.
7. Conclusioni. La delega in materia di giustizia riparativa: un’occasione da cogliere.
Dopo il fallimento del progetto di riforma “Bonafede”, la legge delega del 23 settembre 2021 per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari, costituisce una imperdibile nuova occasione, per sperimentare una innovativa politica criminale, che si dispieghi non solo in un’ottica retributiva e rieducativa del condannato, ma che miri altresì alla ricostituzione dei legami sociali spezzati con la commissione del reato.
La giustizia riparativa deve trovare affermazione come modello alternativo ma non sostitutivo della giustizia punitiva, dunque.
La crisi del modello tradizionale penale fondato sul carcere impone di tentare nuove strade di politica criminale. E’ indubbio infatti che la pena carceraria è afflitta da numerose ragioni di crisi: il sovraffollamento delle prigioni, che pone problemi di ordine umanitario che non appaiono risolvibili semplicisticamente con la costruzione di ulteriori edifici da adibire a istituti penitenziari; il risultato statisticamente modesto della effettiva rieducazione dei condannati durante il percorso di espiazione in carcere; l’abbrutimento dei detenuti conseguente alla negazione della affettività in carcere in molte sue espressioni, compresa quella della sessualità.
Si pongono inoltre interrogativi sulla efficienza della pena carceraria, ovvero della sua effettiva utilità in termini di rieducazione e di recidiva, in quanto dati empirici dimostrano che il circuito carcerario finisce per alimentare se stesso, producendo altra criminalità, nonché sulla effettività della pena detentiva, dato che “solo una parte delle pene minacciate a gran voce dal Legislatore” sono destinate a trovare una reale esecuzione, per la operatività di meccanismi giuridici quali la prescrizione delle pene e/o le misure alternative (Palazzo, Crisi del carcere e culture di riforma , Diritto penale Contemporaneo 4/2017, cit., pag. 6).
Pur dovendosi ammettere che il carcere, con tutte le sue implicazioni di segregazione dell’individuo dalla società collettiva, deve continuare ad essere uno strumento necessario per alcune categorie di reati di particolare allarme sociale, è anche necessario cominciare a pensare seriamente ad un sistema sanzionatorio alternativo, ovvero complementare a quello che impernia tutto il sistema penale, invece, su quello detentivo, da modulare in particolare, con riferimento ai reati di medio-bassa gravità.
La riforma Cartabia rappresenta dunque, se attuata con i decreti delegati, un possibile effettivo cambio di passo nella politica criminale del nostro ordinamento, con la previsione di un sistema penale alternativo a quello tradizionale.
La crisi della pena carceraria, unitamente alla positiva esperienza ed applicazione degli istituti di giustizia riparativa nella pratica degli altri Paesi, specie quelli di lingua anglosassone, unita ai modesti risultati della politica criminale basata sulla pena detentiva, sperimentata nel nostro ordinamento fino a questo momento- in termini di effettiva risocializzazione del reo e di abbattimento del pericolo della recidiva- deve spingere a tentare questa nuova strada.
La giustizia riparativa, come si è visto, è un concetto articolato che comprende vari strumenti che possono operare in diverse fasi del procedimento penale e che può tendere- nella fase della esecuzione della pena- ad un recupero del condannato in un’ottica riparatoria e restitutoria verso la società e verso la vittima del reato, ma anche avere una funzione di prevenzione generale e speciale, attraverso un ventaglio articolato di strategie che in concreto possono prevedere interventi di tipo penale ed extrapenale.
Con la giustizia riparativa, la funzione retributiva della pena che aveva perso la sua centralità nel pensiero filosofico tradizionale già con la introduzione del principio di cui all’art. 27 Cost., viene ulteriormente indebolita per far spazio a forme di politica criminale che non si basano più sulla intimidazione, ma sul consenso.
La introduzione di una disciplina organica di giustizia riparativa, aprirebbe la strada all’ambizioso obiettivo di realizzare una rivoluzione innanzitutto culturale, che vede nelle istanze vendicative della giustizia retributiva, connesse ad una dilagante moralizzazione sociale, il continuo inasprimento delle pene detentive. Il passaggio sarebbe quindi verso un sistema penale che non vede più come pena principale quella carceraria, e che – come evidenziato – la pratica ha dimostrato essere poco incisiva sulla riduzione del pericolo di recidiva e sulla effettiva risocializzazione del condannato, ma verso un sistema basato anche su sanzioni alternative e su meccanismi riparatori che possano incidere sulla stessa struttura dell’illecito penale, portando alla sua degradazione o estinzione in caso di successo della pratica riparatoria.
Inutile negare che la strada verso la costruzione di un paradigma alternativo alla giustizia punitiva è impervia. Ne sono testimonianza i vari tentativi falliti in questa direzione.
Ci si riferisce alla bozza di legge delega Bonafede sopra menzionata, ma anche dal disegno di legge del ministro Paola Severino in tema di detenzione domiciliare come pena edittale autonoma; nonché alla commissione studio istituita dal ministro Anna Maria Cancellieri per la revisione del sistema sanzionatorio complessivo e la legge delega n. 67/2014 contenente- tra le varie innovazioni- anche la delega per la introduzione della detenzione domiciliare come nuova pena edittale, delega che però non fu esercitata, probabilmente per il timore di reazioni socialmente ostili e quindi politicamente pericolose.
L’obiettivo della legge delega n. 123/2021 è ancora più ambizioso dei tentativi falliti sopra menzionati, in quanto afferente non solo l’aspetto della introduzione di pene alternative alla detenzione per reati di gravità medio-bassa, ma l’intera disciplina della giustizia riparativa nel nostro ordinamento, come paradigma alternativo e complementare a quello tradizionale, da sperimentare in ogni fase del procedimento penale.
Il dispiegamento della delega testimonierà se il momento storico è maturo affinché le generalizzate istanze retributive cedano il passo a questa forma di giustizia propria di una società più progredita e razionale.