di Luca Villa, Presidente Tribunale per i Minorenni di Genova e Ciro Cascone, Procuratore della Repubblica per i Minorenni di Milano

Sommario: 1.  il nuovo testo dell’art. 403 cod. civ. – 2. i presupposti applicativi. – 3. la procedimentalizzazione: le novità di rilievo – 4. la comunicazione al pm – 5. il ricorso del pm – 6. la convalida del tribunale – 7. comunicazioni e notifiche – 8. l’udienza – 9. conseguenze del mancato rispetto dei termini – 10. adempimenti di cancelleria – 11. rinvio alle norme sull’affidamento familiare –  12. il reclamo

1.      Il nuovo testo dell’art. 403 cod. civ.

Il comma 27 dell’art. 1 della legge n. 206/2021 (Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata, pubblicata sulla G.U. n. 292 del 9 dicembre 2021) interviene a riscrivere l’art. 403 cod. civ. (rubricato: Intervento della pubblica autorità a favore dei minori).

Questo il testo novellato:

  1. Quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o si trova esposto, nell’ambiente familiare, a grave pregiudizio e pericolo per la sua incolumità psicofisica e vi è dunque emergenza di provvedere, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell’infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione.
  2. La pubblica autorità che ha adottato il provvedimento emesso ai sensi del primo comma ne dà immediato avviso orale al pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni, nella cui circoscrizione il minore ha la sua residenza abituale; entro le ventiquattro ore successive al collocamento del minore in sicurezza, con l’allontanamento da uno o da entrambi i genitori o dai soggetti esercenti la responsabilità genitoriale, trasmette al pubblico ministero il provvedimento corredato di ogni documentazione utile e di sintetica relazione che descrive i motivi dell’intervento a tutela del minore.
  3. Il pubblico ministero, entro le successive settantadue ore, se non dispone la revoca del collocamento, chiede al tribunale per i minorenni la convalida del provvedimento; a tal fine può assumere sommarie informazioni e disporre eventuali accertamenti. Con il medesimo ricorso il pubblico ministero può formulare richieste ai sensi degli articoli 330 e seguenti. 
  4. Entro le successive quarantotto ore il tribunale per i minorenni, con decreto del presidente o del giudice da lui delegato, provvede sulla richiesta di convalida del provvedimento, nomina il curatore speciale del minore e il giudice relatore e fissa l’udienza di comparizione delle parti innanzi a questo entro il termine di quindici giorni. Il decreto è immediatamente comunicato al pubblico ministero e all’autorità che ha adottato il provvedimento a cura della cancelleria. Il ricorso e il decreto sono notificati entro quarantotto ore agli esercenti la responsabilità genitoriale e al curatore speciale a cura del pubblico ministero che a tal fine può avvalersi della polizia giudiziaria. 
  5. All’udienza il giudice relatore interroga liberamente le parti e può assumere informazioni; procede inoltre all’ascolto del minore direttamente e, ove ritenuto necessario, con l’ausilio di un esperto. Entro i quindici giorni successivi il tribunale per i minorenni, in composizione collegiale, pronuncia decreto con cui conferma, modifica o revoca il decreto di convalida, può adottare provvedimenti nell’interesse del minore e qualora siano state proposte istanze ai sensi degli articoli 330 e seguenti dà le disposizioni per l’ulteriore corso del procedimento. Il decreto è immediatamente comunicato alle parti a cura della cancelleria. 
  6. Entro il termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione del decreto il pubblico ministero, gli esercenti la responsabilità genitoriale e il curatore speciale possono proporre reclamo alla corte d’appello ai sensi dell’articolo 739 del codice di procedura civile. La corte d’appello provvede entro sessanta giorni dal deposito del reclamo.
  7. Il provvedimento emesso dalla pubblica autorità perde efficacia se la trasmissione degli atti da parte della pubblica autorità, la richiesta di convalida da parte del pubblico ministero e i decreti del tribunale per i minorenni non intervengono entro i termini previsti. In questo caso il tribunale per i minorenni adotta i provvedimenti temporanei e urgenti nell’interesse del minore.
  8. Qualora il minore sia collocato in comunità di tipo familiare, quale ipotesi residuale da applicare in ragione dell’accertata esclusione di possibili soluzioni alternative, si applicano le norme in tema di affidamento familiare. 

Ai sensi del successivo comma 37, le disposizioni del nuovo art. 403 si applicano ai procedimenti instaurati a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge, e dunque a partire dal 22 giugno 2022 (calcolando i 180 giorni dal 24 dicembre 2021, data di entrata in vigore della legge n. 206/2021). In questo caso, il differimento della vacatio legis appare necessaria affinchè sia i servizi sociali che gli uffici giudiziari (procure e tribunali minorili) possano organizzarsi con le nuove modalità e tempistiche, mentre i tribunali dovranno apportare le necessarie modifiche tabellari che, come noto, non entrano in vigore (riguardando il tema dell’assegnazione dei procedimenti) fino a quando non vengono approvate all’unanimità dai Consigli Giudiziari.

Il legislatore interviene per la prima volta sull’art. 403 (risalente al 1942), ritoccando, nel primo comma, la disposizione previgente, ed aggiungendo ulteriori sette commi, di cui sei dedicati agli aspetti procedurali, che rappresentavano il vero punto critico della disciplina originaria; del resto, la stessa magistratura minorile aveva più volte messo in luce che la mancanza di termini (sia per gli operatori dei servizi sociali e delle forze dell’ordine, sia per il PM minorile ed il tribunale) rischiava di comprimere oltre misura il diritto delle persone coinvolte.

2.      I presupposti applicativi.

Senza addentrarsi in ricostruzioni storiche sul testo precedente, si andranno ad evidenziare, nel prosieguo, gli aspetti più rilevanti ed innovativi del nuovo art. 403.

Al primo comma vengono chiariti i presupposti che giustificano l’intervento della pubblica autorità:

  1. minore moralmente o materialmente abbandonato, oppure esposto, nell’ambiente familiare, a grave pregiudizio e pericolo per la sua incolumità psicofisica;
  2. emergenza di provvedere.

La situazione di abbandono morale e materiale era già contenuta nel testo previgente, mentre viene aggiunta adesso l’esposizione a grave pregiudizio e pericolo per l’incolumità psicofisica, espressione sintetica (e sintomatica) che rimanda a situazioni di pericolo per un minore che, per la verità, già sotto il vigore della precedente normativa erano state casisticamente individuate.

La vera novità è forse la previsione dell’emergenza di provvedere, da momento che il testo precedente non ne faceva menzione, anche se lo si riteneva implicito nella norma, trattandosi di situazione di fatto che giustificava e legittimava l’intervento della pubblica autorità. Si potrebbe forse discutere sull’opportunità dell’uso del termine emergenza piuttosto che urgenza. Senza addentrarsi in un approfondimento che potrebbe rivelarsi, in questa sede, poco utile, e rifacendosi alla terminologia sanitaria (dove l’emergenza è una condizione che pone il paziente in imminente pericolo di vita e richiede un intervento immediato, mentre l’urgenza è una condizione che, in assenza di adeguata trattamento, può diventare critica), si può concludere che l’espressione usata dal legislatore non è sbagliata: per quanto urgenza ed emergenza siano termini che possono essere strettamente legati tra loro, e nella realtà a volte sovrapposti e confusi, può dirsi che l’urgenza esprime una necessità impellente o una condizione che, per determinati fattori, richiede di essere gestita con precedenza rispetto alle altre per evitare che la condizione stessa peggiori. L’emergenza, invece, può essere definita una circostanza negativa improvvisa, imprevista e inaspettata che può comportare conseguenze gravi se non gestita o contenuta immediatamente. Nei casi presi in considerazione dalla norma, dunque, ci si trova davanti ad una emergenza, che giustifica l’immediato intervento della pubblica autorità, e non una urgenza (che richiederebbe solo una priorità di intervento).

3.      La procedimentalizzazione: le novità di rilievo.

I commi successivi, come anticipato, delineano nel dettaglio la procedura, ancorandola a tempistiche certe. Il comma 2 dispone che la pubblica autorità che ha adottato il provvedimento di allontanamento informa oralmente il pubblico ministero minorile del luogo in cui il minore ha la residenza abituale, trasmettendogli poi gli atti entro le successive 24 ore.

Vengono fissati i seguenti principi (già, in qualche modo, elaborati su testo previgente, ma adesso formalizzati espressamente):

  1. emerge con chiarezza il concetto di “pubblica autorità”, che va identificata con l’autorità amministrativa, e non è possibile farvi rientrare anche il Pubblico Ministero (ordinario o minorile), per cui non è ammissibile un suo intervento diretto in tale contesto.

In realtà che l’espressione pubblica autorità si riferisse agli organi deputati alla protezione dell’infanzia e alle forze dell’ordine lo si ricavava, oltre che da argomenti storici (la norma riproduceva sostanzialmente l’art. 19 della l. 10.12.1925 n. 2227 sostituendo il riferimento ai patronati dell’OMNI con il più ampio concetto di Pubblica Autorità), soprattutto dall’art.  9 co. 1 della legge n. 184/83 (legge sull’adozione) nel quale vi è un riferimento esplicito a cosa intende il legislatore per “Pubblica autorità” nel settore della protezione dei minori. Si prevede infatti che chiunque «ha facoltà di segnalare all’autorità pubblica» le situazioni di abbandono. Quindi esplicita cosa si debba intendere per autorità pubblica indicando: «i pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio, gli esercenti un servizio di pubblica necessità» e li distingue dal pubblico ministero minorile che è invece il destinatario della segnalazione ed al quale si riconosce unicamente (senza alcun riferimento neppure implicito alla possibilità di emettere provvedimenti provvisori) il potere di assumere «le necessarie informazioni» prima di inoltrare le richieste al tribunale.

Vi è stata in passato qualche prassi isolata di segno contrario (con qualche Pm minorile o ordinario che disponeva direttamente allontanamenti di minori), ma d’ora in poi non vi sarà più alcuno spazio per tali iniziative.

  • Viene formalizzato il procedimento. Nella precedente disciplina veniva descritto un comportamento della Pubblica Amministrazione, ma non era previsto alcun provvedimento ed infatti nella prassi vi erano Autorità che redigevano un vero e proprio “provvedimento/ordinanza” ai sensi dell’art 403 cod. civ., mentre in altri casi vi era una segnalazione nella quale si riferiva che era stato effettuato un allontanamento e un collocamento di un minore al di fuori della propria famiglia. È evidente che in futuro dovrà sempre esservi un formale provvedimento motivato.
  • Si chiarisce che è allontanamento ex art. 403 cod. civ. non solo il collocamento del minore o dei minori con allontanamento dai genitori (o dall’unico genitore esercente la responsabilità genitoriale), ma anche l’allontanamento da uno solo di loro. Secondo alcuni orientamenti nell’ipotesi, tipica, del padre maltrattante, con collocamento del minore insieme alla madre in una casa rifugio, alcuni ritenevano che si fosse fuori dal perimetro di operatività dell’art. 403 cod. civ.  perché l’allontanamento avveniva in realtà su richiesta della madre, esercente la responsabilità genitoriale, e quindi non vi era abbandono morale o materiale. Orientamento sicuramente non condivisibile, perché, oltre alla necessità di integrare urgentemente il contraddittorio nei confronti dell’altro genitore dal quale comunque il minore era stato allontanato, rendendolo edotto dell’autorità giudiziaria procedente e del procedimento nel quale costituirsi, l’abbandono morale o materiale era solo una delle ipotesi che giustificavano l’intervento, la seconda era l’esposizione ad una situazione gravemente pregiudizievole per lo sviluppo psicofisico del minore (nel nuovo testo la norma è semplicemente aggiornata e più moderna nel linguaggio ma i presupposti sono analoghi alla previsione previgente).

Sebbene il primo comma, e quindi i presupposti applicativi siano sostanzialmente immutati, è nel secondo comma che si chiarisce il punto laddove si precisa l’applicabilità in caso di “allontanamento da uno o da entrambi i genitori o dai soggetti esercenti la responsabilità genitoriale”.  In tali casi, dunque, l’allontanamento della diade minorenne-genitore è l’unica misura (almeno astrattamente) idonea a tutelare e mettere in sicurezza il minorenne, e contestualmente comporta una pesante limitazione della responsabilità parentale dell’altro genitore, con necessità di rispettare procedura e tempistiche previste dall’art. 403.

Parrebbe, invece, restare fuori dal perimetro applicativo della fattispecie il collocamento in struttura comunitaria minorenne-genitore adottato a seguito di richiesta del genitore stesso, e motivata da ragioni di indigenza, trattandosi di intervento di natura assistenziale. Anche in questi casi, comunque, è necessaria una segnalazione al Pubblico Ministero minorile, che attiverà eventualmente i suoi poteri istruttori al fine di comprendere se vi sia una situazione di pregiudizio per il minorenne, e quindi la necessità di avanzare un ordinario ricorso ex artt. 330-333 cod. civ. al tribunale per i minorenni.

Un ultimo aspetto di possibile rilievo da esaminare riguarda il momento nel quale adottare un provvedimento di allontanamento ai sensi dell’art. 403. Le poche prese di posizione sul punto in passato hanno sempre sottolineato che un intervento del genere è ammissibile sono in fase pre-procedimentale e precontenziosa (la stessa giurisprudenza di legittimità sembra avallare tale soluzione, vedasi, ad esempio, Cass.20928/15 Rv. 637588, e Cass. 17648/07 Rv. 598780), trattandosi altrimenti di un provvedimento amministrativo assunto al di fuori del suo schema legale tipico. Per quanto in astratto tale lettura appaia ragionevole, bisogna sempre fare i conti con la realtà, in cui è capitato, talvolta, di assistere ad allontanamenti avvenuti anche in corso di causa (tale intendendosi sia procedimenti avanti il tribunale ordinario che procedimenti pendenti avanti al tribunale per i minorenni): è evidente che le situazioni di emergenza non sempre sono prevedibili, e possono verificarsi, pertanto, anche se vi è già un giudice investito della vicenda. Negare la possibilità di procedere ex art. 403 in casi del genere equivarrebbe a lasciare sfornito di effettiva tutela un minorenne esposto a grave pregiudizio o pericolo per la sua incolumità, per cui un intervento del genere è da ritenere sicuramente ammissibile anche se attuato quando già pende un procedimento a tutela davanti all’autorità giudiziaria (conformemente alla giurisprudenza di merito sviluppatasi finora).

4.      La comunicazione al PM.

La norma è delineata sul modello procedurale relativo alla convalida dell’arresto (o del T.S.O.), con la differenza, non di poco conto e che influisce sulla tempistica di alcuni passaggi, che il soggetto interessato, il genitore, non è sottoposto al controllo dell’autorità giudiziaria (come avviene nell’arresto) o sanitaria (come nel T.S.O.).

Analogamente a quanto previsto dall’art. 386, co. 1, cod. proc. pen., per le ipotesi di arresto in flagranza o fermo, la “pubblica autorità” deve dare “immediato avviso orale” al PM minorile ma, a differenza della p.g. che procede all’arresto, che avvisa il PM subito dopo aver proceduto all’arresto, ma normalmente prima di redigere il verbale di arresto (menzionato infatti dall’art. 386, co. 3, cod. proc. pen.), magari proprio per confrontarsi sui presupposti, in questo caso i Servizi sociali o la p.g. devono dare avviso del “provvedimento emesso”. È una differenza di rilievo, e che potrebbe porre qualche problema se, a seguito del confronto con il PM, quest’ultimo dovesse ritenere inopportuno il provvedimento adottato.

L’art 403, co. 2, impone una immediata trasmissione del provvedimento (nonché della “sintetica relazione” e di “ogni documentazione utile”), entro 24 ore che decorrono non dal “provvedimento”, ma dal “collocamento del minore in sicurezza”. Conoscendo le prassi di alcuni comuni, in particolare quelli di piccole dimensioni, è facile immaginare che sarà necessaria una riorganizzazione delle deleghe perché appare difficile che sia il Sindaco, in persona come avviene in molti comuni, a firmare l’ordinanza ex art 403. Non si ritiene, invece, che i servizi sociali incontreranno difficoltà nell’informalità della comunicazione. Si tratta di ridefinire le linee guida o i documenti analoghi, adeguandoli al dettato normativo, nella consapevolezza che i PM minorili sono anche PM di turno per gli arresti e come tali reperibili sul c.d. telefono di turno sulle 24 ore (la prassi dell’avviso telefonico è già in uso, peraltro, in alcune realtà, come, ad esempio, Milano).

Una ulteriore novità riguarda la competenza territoriale del Pubblico Ministero. Nelle prassi finora seguita viene avvisato il PM del luogo ove viene effettuato l’allontanamento, mentre la nuova disposizione dell’403, co. 2, fa invece riferimento al “pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni, nella cui circoscrizione il minore ha la sua residenza abituale”. Ipotizziamo una famiglia residente a Milano che si trova in vacanza a Rapallo: la prassi prevalente prevedeva la segnalazione al PM minorile di Genova che chiedeva la convalida e poi era il TM a emettere il provvedimento trasmettendo il fascicolo al PM di Milano. In alcuni casi invece la trasmissione avveniva immediatamente tra Procure poi era il PM di Milano, nell’esempio fatto, che chiedeva al Tribunale di adottare i provvedimenti opportuni. Ma se a Rapallo si verificava una situazione che determinava l’abbandono del minore (ad esempio, l’omicidio della madre da parte del padre) il PM, venuto a conoscenza della circostanza che non vi sono parenti in grado di occuparsi del minore, avrebbe dovuto chiedere l’apertura di una procedura di adottabilità. Ma in tali casi, per giurisprudenza consolidata, competente è il luogo dell’abbandono (cfr. Cass sez. 1, Ord. n. 13180 del 05/06/2006 – Rv. 591869; Cass Sez. 1, Sent. n. 5858 del 03/10/1986 – Rv. 448265) e quindi Genova.

Sul punto si potrebbero profilare due orientamenti (difficoltà ad orientarsi dei servizi a parte): uno più ancorato al dettato normativo, ritenendo che comunque sulla convalida debba pronunciarsi l’autorità indicata dalla norma, ed un secondo che faccia prevalere il principio di concentrazione delle tutele e favorisca il radicamento di un unico procedimento.

Appare preferibile la seconda ipotesi – il principio di concentrazione delle tutele ormai sembra un criterio interpretativo dal quale non si può prescindere – ma si vedrà nel prosieguo che vi è un argomento sistematico contrario. La norma infatti prosegue prevedendo che il PM, se ritiene sussistenti i presupposti dell’allontanamento, chiede la convalida e con il ricorso “può” chiedere l’emissione di provvedimenti ex artt. “330 e seguenti”. Difficile ipotizzare un caso in cui il PM chieda di confermare un allontanamento, ma non senta la necessità di chiedere l’adozione di provvedimenti a tutela del minore allontanato, a meno che si ritenga la procedura di convalida potenzialmente autonoma rispetto, ad esempio, alla procedura di adottabilità pendente presso altra A.G., piuttosto che rispetto ad una procedura separativa pendente innanzi al Tribunale Ordinario. Perché, a ben vedere, si è sempre individuato il Tribunale per i Minorenni quale giudice dell’urgenza, naturalmente competente a provvedere sugli allontanamenti ex art 403 cod. civ., ma nessuna norma prevedeva tale competenza esclusiva. Come già sottolineato, l’art 403 previgente descriveva un agire delle autorità competenti alla protezione dell’infanzia, “sino a quando” non vi fosse qualcuno, in realtà il TM, ma anche il giudice della famiglia o il giudice tutelare a seconda dei casi, che provvedesse “in modo definitivo alla sua protezione

Il legislatore ha, invece, individuato ora nel Tribunale per i Minorenni il “Giudice dell’urgenza” e quello più attrezzato a provvedere anche se c’è un altro giudice che si sta occupando della vicenda (strano apprezzamento legislativo all’interno di una riforma che invece sembra, per altro, stigmatizzare i giudici minorili). Polemiche a parte, sarà interessante vedere quali orientamenti giurisprudenziali si svilupperanno in attesa del primo eventuale regolamento di competenza.

5.      Il ricorso del PM

Il comma 3 dell’art. 403 prevede che il PM richieda la convalida del provvedimento emesso dalla pubblica autorità entro 72 ore, non avendo alternativa se non la revoca: la norma prevede, infatti, espressamente che il procuratore avanza le sue richieste “se non dispone la revoca del collocamento”.

Sotto la vigenza della precedente formulazione dell’art. 403 ci si era chiesti se al PM potesse essere  riconosciuta la possibilità di revocare o modificare il provvedimento amministrativo: accanto un indirizzo minoritario che riteneva difficile negare un tale potere altrimenti si sarebbe ridotto il PM ad un mero passacarte (si pensi ad un provvedimento di allontanamento illegittimo o abnorme, davanti al quale la Procura potrebbe disporre il riaffidamento del minorenne ai genitori), giurisprudenza e dottrina prevalenti hanno sempre escluso una tale possibilità, dovendo il Procuratore della Repubblica limitarsi ad investire il tribunale per i minorenni perché si pronunci a tutela del minore, per le medesime ragioni in base alle quali si nega che egli abbia il potere autonomo di attivare l’istituto previsto dall’art. 403 c.c.: infatti, se si ritiene che il PM non sia legittimato ad azionare autonomamente l’istituto in questione, ne discenderebbe l’impossibilità di riconoscergli la facoltà di neutralizzarlo esercitando un potere analogo seppur di contenuto contrario.

La novella va in direzione opposta, riconoscendo espressamente in capo al PM il potere di revoca (ma non, sembra, di modifica) del provvedimento di allontanamento.

Il termine di 72 ore concesso al PM per le sue richieste appare ragionevole, idoneo al contempo per assumere “sommarie informazioni e disporre eventuali accertamenti” per “vestire” il ricorso di elementi necessari e ritenuti mancanti ma soprattutto per verificare, attraverso le acquisizioni successive, se il provvedimento non possa essere immediatamente revocato. Si pensi, per esempio, ad un accertamento di p.g. per verificare, ad esempio, se il padre maltrattante, e con problemi di dipendenza, non sia effettivamente disponibile ad allontanarsi dalla casa famigliare per recarsi da altri parenti o in comunità e così consentire il rientro dei figli a casa.

Già la prassi previgente ha evidenziato casi di assunzione di informazioni da parte del PM prima del ricorso, anche dalle stesse parti che si presentavano, di solito, spontaneamente. La norma ora non pone alcun perimetro alle “informazioni”, ferma restando la necessaria sommarietà dovendosi concludere il tutto entro 72 ore.

Un problema particolare potrebbe porsi nel caso di validità di eventuali nomine del difensore fatta davanti al PM, rispetto alla successiva fase davanti al Tribunale: è vero che in questa fase il difensore e le parti non hanno accesso al fascicolo della Procura, ma è pur vero che tutto ciò che entra in quel fascicolo viene riversato al Tribunale con il ricorso, e dunque anche la nomina dovrebbe conservare validità (come d’altra parte avviene in ambito penale nel similare procedimento per la convalida dell’arresto, che parimenti sconta una fase pre-cautelare da parte del PM).

Quel che non sembrerebbe poter fare il PM è una modifica del provvedimento adottato dalla pubblica autorità, trattandosi di ipotesi che la norma non contempla. Così come non è chiaro se la pubblica autorità, magari a seguito di un “saggio consiglio” del PM che ha assunto utili informazioni, possa modificare, in attesa del decreto del TM, il proprio precedente provvedimento. Si pensi, per esempio, all’ipotesi di autorizzare, a seguito di ulteriori informazioni, degli incontri protetti con i genitori, piuttosto che lo spostamento da una casa- famiglia ad una famiglia di parenti nel frattempo resisi disponibili. Anche qui è possibile che si creino orientamenti e prassi differenti.

Come già anticipato il Pubblico Ministero “può” chiedere al tribunale di adottare provvedimenti ex artt. “330 e seguenti”, e non vi è alcun riferimento alle procedure di adottabilità. Salve le ipotesi di concorrenza delle competenze cui si è fatto riferimento in precedenza, sembra irragionevole (e non si usa il termine a caso) un’interpretazione restrittiva. La disciplina del pregiudizio ai danni dei minori è unitaria, e se il PM con un unico ricorso chiede di accertare lo stato di abbandono sarà all’interno di tale procedimento che si procederà alla convalida ex art 403, e si adotteranno i provvedimenti provvisori ex art 330-333.

6.      La convalida del Tribunale

Inoltrato il ricorso al tribunale vi è una delle novità principali. Il nuovo articolo 403 prevede una competenza monocratica per la sola convalida, necessitata, evidentemente, dai tempi ristretti, 48 ore, e coerente con quanto previsto, per esempio, nel settore penale minorile, dove tutte le funzioni sono, come nel civile, collegiali, tranne le funzioni del GIP che, allo stesso modo, emette atti intrinsecamente urgenti (convalida di arresto ed emissione di misure coercitive).

In realtà esisteva già una competenza civile monocratica ed è necessario, come vedremo, richiamarla per una peculiare differenza. Ci si riferisce alla procedura di adottabilità ed al decreto che il Presidente, o il Giudice delegato, possono adottare in presenza di situazioni urgenti e con il quale, oltre ad una serie di avvisi, possono assumere i provvedimenti convenienti, fatta salva la necessità di una conferma collegiale entro 30 giorni (art. 10, co. 4 e 5, l. n. 184/83).

Ferma la collegialità e i tempi ristretti (48 ore), ferma la sommarietà dell’esame intrinseco e tipico di ogni provvedimento di convalida, la norma da un lato esclude che possa essere svolto qualsivoglia accertamento, dall’altro limita in maniera drastica il provvedimento: il Presidente o il giudice delegato (Giudice che non coincide necessariamente con il Giudice Relatore e rispetto alla cui individuazione i tribunali dovranno attrezzarsi con turni di reperibilità, dovendo coprire quanto meno la giornata del sabato) devono e possono   infatti:

  1. nominare il curatore speciale del minore;
  2. nominare il Giudice relatore;
  3. fissare l’istruttoria entro 15 giorni per la comparizione delle parti innanzi al Giudice relatore;
  4. “provvedere sulla convalida del provvedimento”.

Non si può non notare che non vi è alcun riferimento all’eventuale richiesta del PM di adottare provvedimenti ex art 330 e seguenti.  E se si deve nominare un tutore? Se fosse necessario affidare il minore all’ente perché si devono svolgere accertamenti urgenti superando l’eventuale dissenso dei genitori? Se fosse opportuno collocarlo presso parenti alla luce delle sommarie informazioni raccolte nel frattempo dal PM o autonomamente comunicate dal Servizio Sociale? Provvedimenti che il Presidente può emettere nelle procedure di adottabilità, mentre all’interno di una procedura de potestate l’ostacolo normativo non appare di poco momento. Anche il successivo comma 5 conferma tale interpretazione letterale con un solido argomento sistematico: si prevede, infatti, esplicitamente che solo all’esito dell’udienza nella quale vengono sentite le parti il Tribunale, questa volta collegiale, possa dare “le ulteriori disposizioni”, ma solo “qualora siano state proposte istanze ai sensi dell’art. 330 e seguenti”, e quindi con un evidente limite al potere dispositivo, in tal modo confermandosi l’ipotesi, che pareva inizialmente peregrina, e invece è qui ribadita, di un Pubblico Ministero che chiede la sola convalida.

Parimenti – ma è conseguenziale al divieto di emettere provvedimenti – non pare esservi la possibilità di disporre accertamenti, per esempio a cura del servizio sociale, in vista dell’udienza prevista per la comparizione dei genitori. Ma siccome i tribunali per i minorenni sono i “giudici dell’urgenza” e anche dotati di una certa fantasia interpretativa, è prevedibile che la soluzione, quanto meno nei casi in cui il PM abbia chiesto di adottare provvedimenti, sia quella di un giudice che monocraticamente convalida e nel primo giorno utile successivo un collegio che adotta i provvedimenti necessari. E va sottolineata la necessarietà di tali provvedimenti, perché l’alternativa è un minore che si trova, in una fase delicata della sua vita, in una sorta di limbo nel quale non si comprende chi eserciti la responsabilità genitoriale. Ed altrettanto vale nell’ipotesi del collocamento del minore con uno dei due genitori, che comunque sarebbe paralizzato da atteggiamenti ostruzionistici dell’altro/a dal quale è stato allontanato/a. E ciò, come si vedrà per un tempo non indifferente posto che, sommando tutti i tempi, si può arrivare a 34 giorni prima che sia emesso un provvedimento, e magari si rende necessario adottare scelte importanti (ad esempio un cambio della scuola, o un intervento sanitario, o una consulenza psicologica).

Un altro punto, forse di minor rilievo, riguarda le “parti” da convocare. Richiamato il testo del secondo comma, sembra che il riferimento sia agli esercenti la responsabilità genitoriale dai quali il minore è stato allontanato, e pertanto non necessariamente i genitori (si pensi, a titolo di esempio, ad un allontanamento dagli zii nominati tutori, o dagli adottivi ex art. 44 l. n. 184/83) e ciò è confermato dall’indicazione dei soggetti cui notificare il decreto.

7.      Comunicazioni e notifiche.

Emesso il decreto, lo stesso è infatti “comunicato” dalla cancelleria al Pubblico Ministero che procederà alla “notifica”, anche a mezzo di polizia giudiziaria ed entro 48 ore, agli “esercenti la responsabilità genitoriale”.

Potrebbe destare perplessità il fatto che non sia il Tribunale ad effettuare le notifiche, prevedendosi la comunicazione ad una sola delle parti, il Pubblico Ministero, in ciò potendosi ravvisare dei tratti del rito inquisitorio e una violazione dell’art. 111 Cost e del principio della parità delle parti. La norma invece non solo è opportuna, ma è coerente con il sistema processuale civile, con notifiche a cura delle parti. Anche nell’analogo procedimento cautelare ex art. 342-bis cod. civ., relativo agli ordini di protezione, la notifica alla controparte del provvedimento urgente emesso inaudita altera parte non è effettuata dal Tribunale, ma è adempimento della parte privata ricorrente (art. 736-bis cod. proc. civ.).

Inoltre, è opportuno proprio perché il PM può disporre più facilmente della Polizia Giudiziaria e avrà cura, nelle interlocuzioni informali connesse allo “immediato avviso”, incaricare la pubblica autorità di procurarsi ogni contatto e recapito utile per tale successivo adempimento. La disposizione in questione, peraltro, riveste una fondamentale importanza dal momento che riconosce formalmente, per la prima volta, la possibilità di utilizzare, in via generale, la polizia giudiziaria per le notifiche di atti dei procedimenti civili (in alcune prassi locali era stata già sperimentata tale modalità, ma faticosamente, non essendovi un base normativa che la sorreggesse).

Può invece destare qualche perplessità il fatto che, così come è previsto dall’art 736-bis cod. proc. civ., come anche nella procedura di riesame ex art. 309 cod. proc. pen., non siano previsti dei termini liberi tra la notifica della convalida e la data dell’udienza. Magari non gli 8 giorni previsti dall’art 736-bis, che avrebbero rischiato di rendere complesse e incerte le notifiche, ma almeno un intervallo di 3-5 giorni per consentire al genitore di reperire e confrontarsi con un legale prima dell’udienza sarebbe stata opzione maggiormente garantista. Sotto questo profilo eventuali direttive delle Procure minorili che invitino anticipatamente i genitori ad eleggere un domicilio presso un difensore potrebbero da un lato agevolare i successivi adempimenti del PM e dall’altro offrire una maggior tutela agli interessati. Anche qui i Tribunali per i minorenni possono vantare ormai decennali prassi virtuose e creative visto che nei decreti di convocazione nei procedimenti de potestate sono assai diffusi, sebbene non previsti da alcuna norma, gli inviti a nominare un difensore e le indicazioni per accedere al patrocinio a spese dello Stato.

8.      L’udienza.

Il comma 5 disciplina l’udienza. Nella stessa improvvisamente compare il minore. Nel comma 4 si legge, infatti, che il Presidente fissa l’udienza per la comparizione delle parti, e istintivamente si pensa ai genitori. Ma poi ci si ricorda che la Corte Costituzionale e in seguito la Corte di Cassazione (da ultimo Cass Sez. 1, Ord. n. 38719 del 06/12/2021 – Rv. 663115) hanno detto che il minore è parte, e nei procedimenti de potestate è “parte formale”, e quindi l’incongruenza è superata. Superata ma con una possibile obiezione: se è “parte formale” che deve essere convocata, allora il limite dei 12 anni e della capacità di discernimento viene meno. Quindi, con interpretazione letterale, il Presidente dovrebbe convocare anche il neonato, ma all’udienza, poi, ascolta solo i minori capaci di discernimento.

Tornando all’udienza, si prevede che l’ascolto del minore debba essere svolto “direttamente” dal giudice relatore, al limite con l’ausilio di un esperto (un giudice onorario). L’idea dell’ascolto del minore direttamente da parte del Giudice relatore (e quindi da un Giudice togato) è un punto fermo dell’intera riforma, fortemente voluto da alcune associazioni forensi, non tutte, e non è questa la sede per discutere tale aspetto. Sia consentita, però, su questo punto, una considerazione: i giudici minorili sono abituati ad ascoltare i minori infradodicenni (in molti casi, dai 6/7 anni vengono ritenuti, in assenza di elementi contrari, capaci di discernimenti e se utile soprattutto al minore, se ne dispone l’ascolto), e spesso hanno ormai acquisito anche una certa capacità di condurre un ascolto empatico. Tante volte, però, si è sperimentato, ad esempio, che l’ascolto da parte di un giudice uomo di una bambina che ha subito un abuso possa costituire una barriera psicologica, e così, al contrario, è difficile per certi ragazzini parlare con un giudice donna di aspetti intimi della propria vita. Il fatto di avere necessariamente nel collegio, attraverso la componente onoraria, un esperto in pedagogica/psicologia sia di sesso maschile, che di sesso femminile, ha sempre consentito di risolvere questi aspetti che non sono affatto secondari. Ciò premesso, il punto critico è la necessità dell’ascolto in questo momento processuale. In particolare si osserva:

  1. con tempi così contingentati può essere complicato fissare in tempi diversi l’ascolto del minore rispetto all’audizione dei genitori mentre, se si è reso necessario il suo allontanamento, è fondamentale che minore e genitori non si incontrino nei corridoi del Tribunale. Per tale ascolto risulta complicato seguire la scansione – adottata da alcuni TM – nella quale per rispettare l’articolo 336, co. 2, cod. civ., si concede un termine per indicare gli “argomenti e temi di approfondimento” da affrontare con il minore. Inevitabilmente l’ascolto del minore seguirà quello dei genitori e sarà nell’udienza nella quale si sentiranno i genitori che si chiederanno i temi da approfondire nel successivo ascolto.
  2. Un buon ascolto presuppone una adeguata conoscenza della situazione del minore da parte del giudice attraverso osservazioni neutrali e professionali e non attraverso la sola rappresentazione dei genitori. A così breve distanza si rischia di avere un’osservazione superficiale. Inoltre se è stato collocato in una casa-famiglia è l’osservazione di operatori che normalmente hanno una buona competenza educativa e pedagogica, ma non psicologica e di psicologia infantile, se invece è presso altri parenti neppure quella. Per un minore è molto importante che il giudice dimostri di conoscerlo e che non sembri andare a tentoni per cercare di conoscerlo.
  3. È prevista la nomina del curatore. Per quanto le prassi e gli orientamenti sul punto non siano uniformi, si ritiene necessario che il curatore partecipi all’ascolto, anche se non deve essere l’udienza il luogo dove il minore conosce per la prima volta il curatore. Il minore deve già conoscere il curatore, che deve spiegargli il suo ruolo e lo scopo dell’udienza, e spesso sono necessari più di un incontro per far comprendere al minore il complesso ruolo del curatore (è più semplice far capire al minore qual è il compito del giudice: “è quello che decide”).
  4. Il minore ha appena subito il trauma dell’allontanamento. Ha iniziato a parlare con gli assistenti sociali, con gli operatori della comunità o la coppia che gestisce la casa-famiglia e viene convocato in un luogo dove magari potrebbe vedere i genitori. Deve ancora capire cosa gli sta ruotando intorno e formarsi una opinione su quale sia il suo interesse, e il legislatore presume che in due settimane questo minore sia capace di discernimento, nel senso che sia in grado di comprendere cosa sia successo ed esprimere la sua opinione e la sua volontà. In altri casi (per esempio le vittime d’abuso o maltrattamenti, che magari a breve tempo dovranno essere sentite in incidente probatorio) l’ascolto è vivamente sconsigliato, per evitare i plurimi ascolti e l’inquinamento della raccolta delle prove nel procedimento penale. Alla luce di tali riflessioni si ritiene improbabile che venga disposto l’ascolto dei minori infradodicenni, ritenuti incapaci di discernimento, ed in alcuni casi, quando vi è un procedimento penale per reati ai danni del minore, il giudice molto probabilmente riterrà inopportuno l’ascolto in quanto “in contrasto con l’interesse del minore” (art 336-bis cod. civ.).

In sintesi è una norma che non si pone il tema della vittimizzazione secondaria, prevedendo un ascolto che rischierà di essere un mero passaggio formale solo per evitare eventuali eccezioni.

Come già evidenziato, la norma, dopo aver attribuito la competenza funzionale sulla convalida al Tribunale per i Minorenni, nulla dice circa l’eventuale pendenza di altra procedura, e si è già fatta l’ipotesi del giudice della famiglia e della procedura di adottabilità, così come si è già anticipato che i provvedimenti da emettere entro 15 giorni dall’udienza possono essere emessi solo “qualora siano state proposte istanze”.

Conformemente alla nuova disciplina dell’art. 38 disp. att. cod. civ., si può ipotizzare che il TM, in assenza di richieste, provveda unicamente alla convalida rimettendo al tribunale ordinario ogni ulteriore provvedimento, soluzione che lascia insoddisfatti qualora si dovesse ritenere necessaria una modifica del collocamento, o necessaria una limitazione della responsabilità genitoriale che magari, per fare un esempio comprensibile, nella fase presidenziale, si era disposta come condivisa tra i genitori e quindi lasciando i genitori nell’incertezza su “chi fa che cosa”.

9.      Conseguenze del mancato rispetto dei termini.

Il mancato rispetto dei tempi processuali comporta l’inefficacia dell’allontanamento, ma non con riferimento a tutte le scansioni. Il comma 7 prevede la perdita di efficacia per 4 ipotesi:

  1. il mancato rispetto delle 24 ore per la trasmissione del provvedimento dalla Pubblica Autorità al Pubblico Ministero;
  2. la mancata richiesta da parte del PM al TM entro le 72 ore;
  3. la mancata convalida entro le 48 ore;
  4. l’emissione del decreto all’esito dell’udienza entro i 15 giorni dalla stessa.

Pertanto, non sono causa di inefficacia:

  1. il mancato rispetto del termine della notifica della convalida entro 48 ore;
  2. lo svolgimento dell’udienza oltre il 15° giorno.

Appare ragionevole la prima ipotesi, trattandosi di termine particolarmente breve, non essendo sempre agevole reperire gli interessati, non trovandosi gli stessi (a differenza di quel che accade nel caso di misure precautelari nel processo penale) a disposizione dell’autorità giudiziaria.

Meno condivisibile, invece, si presenta la seconda ipotesi. Un conto sarebbe stato prevedere, un po’ come accade nell’ipotesi di riesame ex art. 309 cod. proc. pen., che la decisione debba essere emessa entro 15 giorni dall’udienza e comunque entro 30 giorni dalla convalida. Una formulazione in tal senso avrebbe comunque consentito dei tempi certi. Se invece il Tribunale dovesse fissare l’udienza al 20° giorno, oppure dovesse disporre un rinvio con prosecuzione dell’udienza oltre il 15° giorno (magari su richiesta della stessa difesa che chiede di poter esaminare meglio gli atti), riteniamo che è solo dal termine dell’udienza che decorrerà il termine a pena di inefficacia con possibile superamento del termine di 30 giorni in linea astratta previsto come termine massimo dal legislatore.

L’ultimo periodo del comma 7 prevede, opportunamente, che in caso di perdita di efficacia, il “Tribunale per i minorenni adotta i provvedimenti temporanei e urgenti nell’interesse del minore”. Evidente l’intento del legislatore: evitare che all’inefficacia consegua la restituzione del minore in una situazione gravemente pregiudizievole. Come già sottolineato è solo il Tribunale che può emettere questo provvedimento. Ci si deve domandare, peraltro, quale sia la soluzione più ragionevole nelle seguenti ipotesi:

  1. il Pubblico Ministero si accorge che la Pubblica Autorità ha trasmesso il provvedimento oltre le 24 ore;
  2. il Presidente (o il giudice delegato), quale giudice della convalida, si accorge che il PM ha superato il termine delle 72 ore o che il servizio non ha trasmesso la richiesta nelle 24 ore.

Più agevole appare la soluzione di questa seconda ipotesi: il Presidente non convaliderà l’allontanamento, e solleciterà il Giudice relatore a portare con urgenza il procedimento in camera di consiglio per emettere un provvedimento collegiale urgente. L’effetto paradossale è che a questo punto siamo fuori dal perimetro procedurale dell’art. 403 e il Giudice relatore potrà gestire i tempi con le modalità previgenti.

Più complessa, invece, la prima ipotesi: al momento se ne individuano solo due, e sarà la prassi ad indicare quella più efficace e rispettosa dello spirito della norma:

  1. il PM non può far altro che constatare il superamento del termine e inoltrare un ricorso, non per la convalida, anzi, chiederà espressamente la non convalida, e chiederà l’emissione di un provvedimento, a questo punto collegiale, urgente, e così si ritorna al paradosso prima prospettato di una procedura che, di fatto, elude le scansioni temporali di cui all’art 403.
  2. Il PM comunica il ritardo alla Pubblica Autorità, la quale emette un nuovo provvedimento facendo iniziare ex novo il procedimento disciplinato dall’art. 403. Soluzione decisamente meno ortodossa e apparentemente elusiva del dettato normativo, ma che, alla fine, si risolve in un vantaggio per le parti coinvolte perché la successiva procedura è, seppur tardivamente iniziata, presidiata da tutte le garanzie procedimentali delineate dall’art. 403.

Inoltre, tale soluzione ha il non secondario vantaggio di mettere nelle condizioni il Servizio Sociale di non vedersi innanzi ad un drammatico dilemma: a) rendersi responsabile di un’omissione di atti di ufficio perché non si restituisce il minore quale conseguenza della perdita di efficacia del primo allontanamento; b) rendersi responsabile del reato di abbandono di minore avendolo rimesso in una condizione che pochi giorni prima era stata descritta in termini di grave pregiudizio e/o abbandono.

10.  Adempimenti di cancelleria.

Apparentemente marginale, ma non per le cancellerie dei Tribunali per i Minorenni (come noto sofferenti per le gravi carenze d’organico e prive del Processo civile telematico), e per la novità rispetto agli orientamenti vigenti, quanto previsto dalla norma per gli adempimenti di cancelleria successivi all’emissione del decreto all’esito dell’udienza.

Come si è visto il decreto di convalida è comunicato al PM che provvede alla notifica agli esercenti la responsabilità genitoriale. Il PM quindi, anche avvalendosi della p.g. dovrà cercare i genitori, a meno che nel frattempo si siano costituiti con un difensore con conseguente elezione di domicilio ex lege (la norma non dice che la notifica deve essere effettuata personalmente), e notificare il decreto.

Il decreto emesso all’esito dell’udienza invece è “comunicato alle parti a cura della cancelleria”. Dalla lettura sistematica della norma emerge l’evidente differenza tra le due forme di conoscenza contenute all’interno dello stesso articolo: il riferimento alle “parti” invece che agli esercenti la responsabilità, la disciplina delle comunicazioni di cancelleria rispetto alle notificazioni. Sono tutti elementi che rendono ineludibile una interpretazione per la quale tale decreto è comunicato telematicamente alle sole parti che si siano costituite a mezzo difensore. Se pertanto i genitori, come spesso accade davanti al TM, non si costituiscono con difensore, non saranno destinatari della comunicazione. Per attenuare gli effetti di tale novità normativa sarà opportuno che nei decreti di convalida e fissazione dell’udienza gli avvisi alle parti siano integrati dall’informazione sugli effetti della mancata nomina di un difensore quanto alla conoscenza del successivo provvedimento.

11.  Rinvio alle norme sull’affidamento familiare.

Con il comma 8 il legislatore fornisce un chiarimento in realtà estraneo dell’oggetto dell’articolo 403, e che in ogni caso sarebbe stato opportuno inserire sistematicamente e raccordare con l’articolo 5 della legge n. 184/83. Si prevede infatti che se il minore è “collocato in comunità di tipo familiare, quale ipotesi residuale da applicare in ragione dell’accertata esclusione di possibili soluzioni alternative, si applicano le norme in tema di affidamento familiare”. Peccato che l’articolo 5 citato, al comma 3, prevede analogamente che “Le norme di cui ai commi 1 e 2”, e quindi quelle sull’affido famigliare, “si applicano, in quanto compatibili, nel caso di minori ospitati presso una comunità di tipo familiare o che si trovino presso un istituto di assistenza pubblico o privato”.

La differenza è che l’art. 5 fa riferimento anche agli istituti di assistenza pubblica o privata, mentre l’art. 403 dimentica e trascura almeno tre ipotesi tutt’altro che infrequenti:

  1. le case rifugio per madri e minori;
  2. il collocamento degli adolescenti in comunità educative;
  3. il collocamento dei preadolescenti e adolescenti in comunità terapeutiche.

Anche con rifermento alla extrema ratio quale criterio che deve guidare la scelta dell’intervento dell’autorità giudiziaria minorile, nulla di nuovo perché la norma si risolve in una parafrasi ed una ulteriore specificazione di quanto già previsto dagli articoli 2, co. 2, 3 e 3-bis della legge sull’adozione (nel comma 3-bis è previsto che i “provvedimenti adottati ai sensi dei commi 2 e 3 devono indicare espressamente le ragioni per le quali non si ritiene possibile la permanenza nel nucleo familiare originario e le ragioni per le quali non sia possibile procedere ad un affidamento ad una famiglia”).

12.  Il reclamo.

Il comma 6 disciplina, infine, il reclamo in Corte d’Appello. Non si ritiene vessatorio il termine di 10 giorni, trattandosi del medesimo termine previsto in generale dagli artt. 739 e 740 per il reclamo delle parti e del PM avverso i decreti del Tribunale per i minorenni.

Interessante che sia previsto un termine di 60 giorni dal deposito del reclamo, evidentemente ordinatorio, entro il quale deve intervenire la decisione della Corte d’Appello. L’entità del termine dovrebbe indirizzare le Corti d’appello nell’interpretazione della natura di tale reclamo ed in particolare sulla possibilità di svolgere, come ritenuto da alcune Corti nel trattare il reclamo dei decreti provvisori, attività istruttorie. Come si è visto, nel procedimento di convalida l’unica attività istruttoria è l’audizione delle parti mentre in tale fase cautelare non è prevista alcuna ulteriore attività istruttoria. Ragioni di ordine sistematico renderebbero paradossale una diversa strutturazione della fase di reclamo che dovrà attenersi, si ritiene, allo stato degli atti conosciuti dal tribunale e non articolarsi con un giudizio parallelo portando la Corte d’appello a decidere in base ad elementi diversi.

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