1.Introduzione: Il quadro normativo di riferimento. 2. “La partecipazione a distanza del Pubblico Ministero”. 3.“La Partecipazione a distanza del difensore” 4.“ La partecipazione da remoto del condannato detenuto in carcere, in misura alternativa, o libero sospeso ex art. 656 comma 5 c.p.p.” 5. “La violazione delle norme in tema di collegamento da remoto ”.
- Introduzione : il quadro normativo di riferimento
Si impone preliminarmente una breve disamina dello strumentario giuridico posto dal legislatore a disposizione degli operatori- ed in particolar modo dal legislatore del 2022- in tema di partecipazione a distanza alle udienze, ed a quelle di sorveglianza in particolare, una volta dato atto che , “in subiecta materia”, occorrerà avere particolare riguardo sia alle disposizioni normative disegnate “ad hoc” , che a quelle ritenute anche solo compatibili con la partecipazione a distanza alle udienze in camera di consiglio ( arg. Ex art. 45 bis disp. Att. C.p.p., nella sua attuale formulazione, fondamentalmente ispirata al criterio della compatibilità con la udienza in Camera di Consiglio, delle norme dettate precipuamente per la fase dibattimentale).
Viene allora subito in rilievo la norma fondamentale di cui all’art. 678 c.p.p., co. 1, 3 e 3.2, norma la quale costituisce lo snodo applicativo per la utilizzazione degli ulteriori strumenti normativi che il legislatore mette a disposizione, in particolare, del Tribunale e del Magistrato di Sorveglianza.
L’udienza di sorveglianza si svolge infatti e come noto, a norma dell’art. 666 c.p.p., e sulla base del modello procedimentale di massima dell’art. 127 c.p.p., fatta salva la partecipazione necessaria del P.M. e del difensore ( art. 678 co. 1, in relazione all’art. 666 co. 3 e 4 c.p.p.).
Infatti , già soltanto dalla lettura di tali norme, è dato cogliere importanti indicazioni di carattere generale, circa la partecipazione a distanza del detenuto o internato, il cui statuto varia a seconda che egli sia ristretto , all’interno ovvero all’esterno della circoscrizione del giudice che procede[1].
Tale assetto normativo, tuttavia, è completato nella sua struttura di base, da un’ altra importante norma-cerniera, alla quale si è già accennato, ovvero l’art. 45.bis disp. att. c.p.p. , norma la quale disciplina, in primis, la partecipazione a distanza nel procedimento in Camera di Consiglio sia in fase di cognizione che di esecuzione- e dunque con validità anche per il procedimento di sorveglianza- con rinvio alle disposizioni di cui all’art.146 bis co. 1, 1 bis, 1 ter e 1 quater, e, in quanto compatibile, alla disposizione di cui al comma 4.bis dello stesso articolo [2]; in secondo luogo, e sempre nei limiti della compatibilità, l’art. 45 bis citato , richiama le disposizioni di cui all’art. 133 ter c.p.p. di nuovo conio [3].
Occorre subito rilevare peraltro, prima di addentrarsi nello studio dello strumentario giuridico messo a disposizione dal legislatore, come l’art. 45 bis disp. Att. C.p.p., non operi alcun rinvio al comma 7 dell’art. 146 bis disp. Att., norma che, se nella sua prima parte è chiaramente calibrata sul dibattimento, opera poi però riferimento ad “ogni altro atto che implica l’osservazione “ della persona dell’imputato ,e, per quanto di interesse nella presente sede, del condannato, in un procedimento, come quello di sorveglianza , basato essenzialmente se non esclusivamente sulla osservazione personologica[4], di tal che l’omesso richiamo anche a tale comma 7 dell’art. 146 bis disp. Att. C.p.p., non appare, già in linea di principio, propriamente opportuno, poiché non tiene conto delle peculiarità della udienza di sorveglianza, arrestandosi evidentemente, alla superficiale constatazione che, in essa, manca una attività propriamente istruttoria.
Quanto al contenuto di massima dell’art. 133 ter c.p.p. di nuovo conio, nel rinviare nel dettaglio ai paragrafi che seguono, esso può, per il momento, così schematizzarsi.
Mentre infatti il primo comma della norma detta soltanto alcune regole di forma del provvedimento della A.G. procedente che disponga il compimento di un atto a distanza, ovvero la partecipazione di una o più parti a distanza, prescrivendo l’utilizzo del decreto motivato, il comma 2 descrive l’”ubi consistam” della partecipazione a distanza, chiarendo che essa consiste in un collegamento audio-video tra l’ufficio giudiziario ed il luogo in cui si trovano i protagonisti dell’atto o della udienza a distanza, i quali tutti debbono essere posti in grado, contestualmente e reciprocamente, di vedere ed ascoltare il proprio interlocutore ( comma 3 ).
I successivi quattro commi della norma ( 4,5, 6 e 7), poi, riguardano tutti i diversi luoghi dai quali ciascuno dei protagonisti del processo può o deve collegarsi , con la precisazione che la regola di base , è individuata dal comma 4, come reso palese dall’incipit “ salvo quanto disposto dai commi 5,6 e 7”: nella norma è stabilito infatti che, per regola, i collegamenti debbano avvenire in ogni caso, “ da altro ufficio giudiziario o da un ufficio di polizia giudiziaria individuato dalla autorità giudiziaria”, pur essendo tale luogo derogabile a richiesta di parte su autorizzazione della A.G. procedente ( comma 6) .
Il comma 8 dell’art. 133 ter di nuovo conio, infine, prescrive all’ausiliario del giudice che deve essere presente “ nel luogo in cui si trovano le persone che compiono l’atto o che partecipano alla udienza a distanza”, di attestarne la identità, e soprattutto di redigere verbale, nel quale, per prima cosa, andrà attestato il rispetto delle garanzie di cui al comma 3 ( reciproca visibilità ed ascolto), e quelle di cui al comma 7 ( possibilità dei difensori di essere sempre presenti nel luogo ove trovasi il cliente, ovvero di consultarsi con i rispettivi assistiti riservatamente )[5].
2. “ La partecipazione a distanza del Pubblico Ministero”.
Il Pubblico Ministero, come è noto, è il primo dei protagonisti che il codice di rito considera contraddittore necessario nello svolgimento della udienza di sorveglianza in Camera di Consiglio ( arg. ex art. 678 co. 1 e 666 co. 4 c.p.p.).
Da una lettura sistematica delle norme che regolano la partecipazione a distanza , e che si sono elencate al paragrafo precedente, emerge immediatamente come al Pubblico Ministero- ovvero al PG., secondo quanto dispone l’art. 678 comma 3 c.p.p.- non vengono riservate particolari disposizioni destinate ad assumere carattere di specialità, tant’è che l’Ufficio di Procura non è mai menzionato – a differenza ad esempio del difensore, cui è dedicato per intero il comma 7 dell’art. 133 ter, ovvero il comma 4.bis dell’art. 146 bis delle disp. Att c.p.p. e così via- da nessuna delle norme di settore, segnale questo che non può non essere interpretato come sintomo di una chiara “voluntas legis”: per un verso, infatti, devesi ritenere che sia rinvenibile, nelle pieghe dell’ordinamento, una sorta di “favor” nei confronti della partecipazione in presenza alla udienza di Sorveglianza, dell’Ufficio del Pubblico Ministero nelle sue differenti articolazioni ( da ora in poi solo Pubblico Ministero).
Tanto è vero che, quando il legislatore del 2022 ha inteso facultare il Pubblico Ministero a partecipare da remoto, ciò ha espressamente sancito ( “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”), in una norma destinata ad assumere chiaro carattere di specialità: è infatti questo il caso del comma 2.ter dell’art. 4 bis O.P. di nuovo conio[6], nel suo primo e secondo periodo. La norma prevede infatti che alle udienze del Tribunale di Sorveglianza, per la concessione dei benefici di cui al comma 1 dell’art. 4 bis , possa partecipare il P.M. distrettuale protagonista del processo di primo grado, anche da remoto, ove radicato in altro distretto[7].
Per altro verso poi, ed a guisa di corollario, nei casi in cui l’organo d’accusa debba partecipare da remoto, saranno applicabili, nei suoi confronti , tutte le norme che, in linea generale e di principio, risultano applicabili agli altri soggetti processuali, in un ottica di assoluta parità.
La constatazione che precede, ha un suo rilievo in quanto, ad esempio, se per un verso non vi è dubbio che Il Pubblico Ministero , quando intenda partecipare a distanza ( per autorizzazione del giudice o per espressa disposizione di legge) , dovrà farlo in via di regola dal proprio ufficio giudiziario ( o da ufficio di polizia giudiziaria, arg. ex art. 133 ter comma 4 c.p.p.), per altro verso, tale soggetto processuale, non sembra potersi escludere, allo stato della legislazione, dal novero dei soggetti che, in linea generale e di principio, ove intenda collegarsi da un diverso luogo, debba richiedere la autorizzazione a tanto all’autorità giudiziaria procedente- “id est” , per quanto di interesse, al Tribunale di Sorveglianza procedente – a norma del comma 6 del citato art. 133 ter c.p., pur essendo evidente che detta evenienza (probabilmente destinata piuttosto a rappresentare un caso di scuola, ma di scarsa incidenza statistica nella prassi) debba poggiare su solide ed eccezionali motivazioni afferenti a documentate esigenze tecniche, di servizio o di sicurezza e ordine pubblico, tanto per esemplificare, dovendosi peraltro ritenere pure che detta autorizzazione possa e debba essere richiesta di volta in volta, senza che vi sia la possibilità di richiedere la emissione di provvedimenti autorizzatori di carattere generale, per un numero indefinito di udienze.
3. “La Partecipazione a distanza del difensore”.
Un ulteriore indefettibile protagonista della udienza di sorveglianza , è il difensore, al quale l’art. 133 ter di nuovo conio, ha dedicato l’intero comma 7, in aggiunta al quale, occorre considerare anche il comma 4 bis dell’art. 146 bis delle disp. Att. C.p.p., al quale opera rinvio, come sopra accennato ( sub parag. 1), l’art. 45 bis delle stesse disposizioni di attuazione, precipuamente formulato per estendere la normativa sul collegamento da remoto, alle udienze in Camera di Consiglio.
Ribadito allora “in primis” che di alcuna autorizzazione del giudice ai sensi del comma 6 dell’art. 133 ter c.p.p. necessita il difensore per collegarsi dal proprio ufficio, in quanto trattasi di facoltà riconosciutagli direttamente da una disposizione di legge, va osservato che, per effetto della disposizione di cui al comma 7, il difensore è subito posto dinanzi ad una alternativa esiziale, e che conserva un suo rilievo anche per le udienze di sorveglianza, oltre che per le udienze dibattimentali [8].
Procedendo con ordine , va infatti ricordato come il difensore possa collegarsi tanto dal proprio ufficio o da altro luogo, purchè idoneo, con l’onere di mera comunicazione di tanto alla autorità giudiziaria procedente, che ,in alternativa, essere presente nel luogo ove trovasi il proprio assistito, .
La non facile scelta , come è stato osservato in dottrina, già nel vigore ella previgente normativa, non risultava ( ed oggi non risulta, cfr. nota 8 del presente studio) scevra da conseguenze e ricadute in punto di garanzia dei diritti di difesa. Ciò soprattutto, è vero, nelle udienze dibattimentali celebrate a distanza, non perdendo però essa scelta, come si vedrà, il proprio rilievo, ove operata in rapporto alla partecipazione da remoto alle udienze in Camera di Consiglio , ed a quella di sorveglianza in particolare, ove tuttavia, deve ammettersi che le conseguenze di tale scelta, appaiono decisamente più sfumate.
Tale aspetto necessita tuttavia di un chiarimento, atteso che, ove l’asserito pregiudizio per i diritti di difesa si attenuasse grandemente, con riferimento alla udienza in Camera di Consiglio, si conseguirebbe la palmare dimostrazione della bontà assoluta del mezzo tecnico, quanto meno con riferimento alla udienza di sorveglianza in particolare, come a buona parte delle udienze destinate a svolgersi in tale forma, più in generale.
La risposta al quesito deve essere, a sommesso avviso di chi scrive, di segno positivo, proprio perché nella udienza di Sorveglianza manca una fase istruttoria in senso proprio..
Infatti, come già osservava accreditata dottrina ante-riforma Cartabia, con considerazioni tutt’ora valide, in caso di unico difensore, e di opzione in favore della presenza accanto al proprio assistito nell’aula remota, con riferimento alla udienza dibattimentale, a subire pregiudizio, potrebbero essere tutte quelle attività difensive, il cui successo resta, all’evidenza, affidato alla immediatezza del loro dispiegarsi, come accade, ad esempio, per la opposizione alle domande suggestive, ovvero in caso di contestazioni ex art. 500 c.p.p., e così via [9].
“Ex adverso”, prendendo posto nell’aula reale, durante il dibattimento, il difensore perderebbe la facoltà di contestuale interlocuzione con il proprio assistito posizionato nell’aula virtuale, con pregiudizio di tutte quelle attività difensive che necessitassero del supporto del cliente: l’esemplificazione riporta al caso del controesame di un teste a carico, incombenza nel corso della quale la distanza fisica tra difensore e assistito, preclude a quest’ultimo la possibilità di esaminare, insieme al difensore medesimo, un dettaglio da utilizzare ai fini della “cross examination”[10].
Ciò però non toglie che, quando si consideri la udienza di sorveglianza, il collegamento da remoto possa, per un verso, realizzare risparmi di tempo e risorse ( spesso legati al fenomeno del passato del c.d. “turismo giudiziario”), e , per altro verso, addirittura un incremento delle garanzie, nella consapevolezza che le garanzie difensive da salvaguardare siano, pur meno preponderanti, tuttavia presenti anche in tale udienza, come già accennato ( cfr. nota 4 del presente studio), con riferimento oltre che al diritto di autodifesa dell’interessato di rilievo costituzionale, anche al momento della osservazione personologica.
L’udienza di sorveglianza, infatti- ed è questa la tesi che si intende in definitiva sostenere- realizza un contraddittorio si orale, ma fondato su fonti documentali e scritte oltre che sulla osservazione personologica ( relazioni comportamentali, di sintesi, UEPE e così via), e la dialettica processuale, perciò, poco aggiunge al compendio istruttorio precostituito, senza che, peraltro, la attività difensiva si estrinsechi attraverso quelle che risultano essere le tipiche attività dibattimentali con riferimento alla prova costituenda, come sopra esemplificato [11], pur dovendo comunque essere garantito un nucleo di garanzie difensive anche in seno a tale udienza, fine però rispetto al quale il collegamento da remoto si presenta come strumento quanto mai idoneo allo scopo precipuo avuto di mira, molto più che per la fase dibattimentale.
Per chiudere sull’argomento, si impone un’ultima considerazione: il vocabolo “sostituto” di cui è menzione nell’attuale comma 7 dell’art. 133 ter, che ha sostituito e accorpato il vecchio comma 4 dell’art. 146 bis disp. Att., anche secondo la dottrina coeva ante-riforma, si doveva ( e dunque si deve oggi) intendere utilizzato in senso “atecnico”, svincolato dal concetto che si trova espresso nell’art. 102 c.p.p., il quale postula un legittimo impedimento del sostituito, e, per di più, un automatico trasferimento di diritti e doveri da quest’ultimo al primo [12].
Da ultimo ancora un auspicio.
L’art. 147 quater disp. Att. C.p.p., anch’esso di nuovo conio, come è noto, fa carico al Ministero della Giustizia di assicurare, nel caso di collegamento da remoto agli uffici giudiziari, che esso avvenga attraverso canali telematici “ idonei a garantire l’integrità e la sicurezza della trasmissione dei dati”, con un riferimento, neppure troppo velato, alla necessità che anche i difensori sono chiamati a dotarsi di mezzi tecnici che risultino “idonei” ( arg. ex art. 133 ter co. 7 c.p.p.), quante volte si colleghino dai rispettivi studi professionali, e ciò sotto un duplice profilo che ha riguardo non solo alla idoneità tecnica “stricto sensu” , ma soprattutto alla garanzia della “sicurezza”, che , per il difensore, si declina soprattutto come garanzia di segretezza e riservatezza della partecipazione da remoto ad atti o udienze, viepiù se e quando si verta in ipotesi di udienze che si svolgono nell’ambito “ovattato” di una Camera di Consiglio.
4. “ La partecipazione da remoto del condannato detenuto in carcere , in misura alternativa, o libero sospeso ex art. 656 comma 5 c.p.p.”.
Alla partecipazione a distanza alla udienza di sorveglianza del detenuto in carcere, il legislatore del 2022, ed anche quelli che lo hanno preceduto, hanno dedicato ampio spazio , formulando specifiche disposizioni normative.
In particolare , allo stato della legislazione, le norme di interesse da considerare per provare a delineare una casistica di massima della partecipazione da remoto del soggetto ristretto in Istituto di pena, sono costituite dal comma 5 dell’art. 133 ter , e dai primi 4 commi dell’art. 146 bis disp. Att., questi ultimi sopravvissuti all’opera di “restyling” della riforma Cartabia. Come è noto, i primi due commi del 146 bis disp. Att. C.p.p., delineano, quale regola di base, quella per cui i soggetti detenuti per i reati di cui al comma 1, ovvero gli ammessi a programma di protezione ex comma 1 bis, partecipano obbligatoriamente, sempre e di regola, a distanza, come i detenuti sottoposti a regime di 41 bis, per i quali ultimi non sono possibili deroghe ( comma 1.ter). Tuttavia il Tribunale o il magistrato di sorveglianza, sulla base di una valutazione di lata discrezionalità connessa alla semplice “necessarietà” della presenza in aula, possono disporre, d’ufficio o a istanza di parte, la presenza personale alle udienze, dei soggetti di cui ai commi 1 e 1 bis (sempre eccettuati i sottoposti al 41 bis, ex comma 1 ter secondo periodo).
Di contro, il comma 1 quater, “fuori dai casi previsti dai commi 1 e 1 bis”, elenca una serie di ipotesi nelle quali, a mezzo decreto, la A.G. procedente può , anche in questo caso discrezionalmente, autorizzare la categorie di detenuti non per reati ex art. 51 comma 3 bis e 407 comma 2 lett. a) n. 4 c.p.p., o sottoposti a programma di protezione, a partecipare a distanza. Tale norma, va evidentemente coordinata con il generale disposto del comma 5 dell’art. 133 ter c.p.p., con il quale si pone in apparente antinomia, dal momento che se tutti i detenuti si collegano dal luogo ove sono ristretti per regola generale ex art. 133 ter co. 5, non vi sarebbe stato alcun bisogno di individuare un certo novero di casi ( ragioni di sicurezza, complessità del dibattimento, necessità di evitare ritardi, testimonianza di soggetto ristretto) nei quali il giudice, con decreto motivato , dovesse disporre il collegamento da remoto. Ne consegue che, se non si vuol pervenire ad una sorta di “interpretatio abrogans” del comma in oggetto, la norma di cui all’art. 146 bis co. 1 quater disp. Att. C.p.p. debba essere necessariamente intendersi riferita a tutti quei casi in cui il detenuto, non versante ovviamente nelle situazioni di cui ai commi 1 e 1 bis, né sottoposto a regime di 41 bis, abbia fatto istanza ed abbia diritto di partecipare in aula e di persona alla udienza di sorveglianza [13]. In tali casi- e solo in tali casi- il giudice o il Tribunale di sorveglianza, in presenza delle ragioni individuate dalla norma, tra le quali sono destinate ad avere un particolare rilievo con riferimento alle peculiarità delle udienza di sorveglianza , le sole esigenze di sicurezza o di evitare ritardi nella trattazione dei procedimenti, potrà disporre coattivamente il collegamento da remoto del soggetto ristretto.
In buona sostanza, e rispetto ai casi dei commi 1 e 1 bis , i termini della questione si invertono: mentre in tali ipotesi si presume la pericolosità di tali soggetti desumendola dalla tipologia di reato commesso, e dunque li si obbliga, di regola, a collegarsi da remoto, nei residui casi, l’esigenza di sicurezza (unitamente a quella del ritardo nella trattazione), anche con riferimento ai problemi connessi ad una eventuale traduzione, va dal giudice di sorveglianza valutata caso per caso, così che possa discrezionalmente essere disposta per tali soggetti, non la presenza fisica come da loro eventualmente richiesto, ma quella da remoto, ove le esigenze di legge succitate siano ravvisate[14].
Venendo alla problematica della partecipazione da remoto alle udienze di sorveglianza del libero sospeso ex art. 656 comma 5 c.p.p., va innanzitutto rilevato che, in linea di principio, il numero dei liberi sospesi è destinato, negli anni, a ridursi considerevolmente , per effetto della novella di cui all’art. 20 bis del D.L 150/22, il quale ha introdotto il nuovo regime delle pene sostitutive delle pene detentive brevi [15], e dunque , gran parte di quelli che prima erano “liberi sospesi”, si presenteranno dinanzi al magistrato di sorveglianza o all’UEPE, già con una misura da eseguire[16], misura le cui prescrizioni andranno solo modificate o confermate.
A tale figura, tuttavia, il legislatore non ha dedicato la stessa attenzione riservata, come visto poc’anzi, ai detenuti, di tal che l’interprete deve provare necessariamente a determinare le modalità di partecipazione da remoto di tali soggetti alla udienza di sorveglianza, desumendole da norme di settore di carattere generale.
Ciò premesso, non vi è dubbio che, nei casi in cui vogliano partecipare da remoto e prestino a tanto il loro consenso ex art. 666/4 c.p.p., tali soggetti dovranno, in via di regola , collegarsi da altro ufficio giudiziario o da un ufficio di polizia giudiziaria a norma del comma 4 dell’art. 133 ter c.p.p., con onere semplicemente di notiziare di tanto la magistratura di sorveglianza competente che, effettuate le verifiche di legge sulla idoneità delle dotazioni tecniche a disposizione, dovrà necessariamente disporre in conformità alle richieste del libero sospeso.
Peraltro, quando quest’ultimo soggetto scelga di collegarsi da remoto, potrà certamente farlo anche dallo studio del proprio difensore , non ostandovi alcun divieto di legge.
In tal caso però, sarà onere del libero sospeso, munirsi della autorizzazione di cui al comma 6 dell’art. 133 ter c.p.p., in quanto il comma 7 di tale norma, prevede tale modalità per i soli difensori e non per gli assistiti che, in quanto tali, dovranno esser a ciò autorizzati dal giudice. E’ infine giocoforza ritenere che il giudice procedente, potrà e dovrà richiedere al difensore e al cliente di assicurare , nel collegamento, la disponibilità di strumenti tecnici idonei , allo stesso modo in cui si procede nei casi di cui al comma 4.
Ed in tal caso è altrettanto evidente che, l’unico rimedio a disposizione del Giudice di Sorveglianza , nel caso in cui il luogo prescelto dal libero sospeso non offra, presso il suo difensore, le necessarie garanzie, tecniche e non, è quello previsto ancora una volta dal comma 6 dell’art. 133 ter, norma che potrà e dovrà legittimare il rigetto della richiesta di autorizzazione “ex post”, rendendo obbligatorio peraltro e ad un tempo, un più ampio e dettagliato onere di informazione della autorità procedente in capo all’interessato “ex ante”. Costui, infatti, onde consentire alla Magistratura di Sorveglianza il prescritto controllo sulla idoneità dei mezzi tecnici, dovrà specificare, nella richiesta di autorizzazione, anche di quali mezzi intenda precipuamente avvalersi , indicando in particolare i “software” che egli intenda utilizzare, ovvero le apparecchiature informatiche che, a suo avviso, meglio si prestano a soddisfare la completa, contestuale e reciproca visibilità ed ascolto. E’ infatti evidente che in tali casi, analogamente peraltro a quanto avviene per il detenuto domiciliare che intenda partecipare da remoto, come meglio si vedrà appresso, il controllo prodromico alla autorizzazione, e che deve obbligatoriamente essere posto in essere dalla autorità procedente, deve risultare molto più approfondito di quanto esso non risulti nei casi di collegamenti effettuati ( d’ordinario, verrebbe da dire) dai luoghi di cui al comma 4 dell’art. 133 ter c.p.p.
Dette considerazioni poi, debbono ovviamente essere anche ritenute valide nel caso in cui il libero sospeso si colleghi, in compagnia del proprio difensore, dal proprio domicilio anziché dallo studio di costui, con la precisazione che la attività prodromica di controllo che la Magistratura di Sorveglianza dovrà attuare, dovrà essere ancor più minuziosa e penetrante che nei casi precedenti, prima che il collegamento possa essere autorizzato[17].
In tale ultimo caso, poi, resta aperto il problema della individuazione del soggetto che dovrà procedere agli adempimenti di garanzia di cui al comma 8 dell’art. 133 ter citato, individuazione che però potrà avvenire , ad opera della A.G. procedente, nelle stesse forme in cui ciò avviene per i luoghi di cui al comma 4, come reso palese dall’incipit del comma 8 “Nei casi di cui ai commi 4 e 5 e, ove l’autorità giudiziaria non disponga diversamente, nel caso di cui al comma 6…”.
Piuttosto desta ancora problemi di non poco momento, la espressione , racchiusa da due virgole :” …ove l’autorità giudiziaria non disponga diversamente . . .”.
Tale inciso, nel suo tenore letterale, sembrerebbe lasciare il giudice libero di NON individuare alcun ausiliario ai sensi del comma 8, nel momento in cui il collegamento da remoto non avvenga nei luoghi di cui ai commi 4 e 5. In tal caso peraltro, onde evitare evidenti cadute del sistema delle garanzie o evitare di legittimare comportamenti poco chiari, unica strada pare essere quella della verbalizzazione presso l’ufficio giudiziario da cui si collega il giudice con il suo ausiliario, delle dichiarazioni dei soggetti che si trovano nell’aula virtuale – studio del difensore o altro che sia- in modo che dette dichiarazioni, rese dai soggetti ivi presenti, in merito alla identità del libero sospeso, ed al rispetto delle garanzie della contestuale e reciproca visibilità ed ascolto in particolare , acquisiscano valore sotto il profilo di auto-assunzione di responsabilità, anche penali, da parte dei dichiaranti.
Nel caso in cui, peraltro, la scelta del Giudice si orienti positivamente nel senso di ritenere necessaria la presenza di un ausiliario presso lo studio del difensore o la privata dimora dell’interessato ( o anche presso l’ufficio di polizia giudiziaria presso il quale siano convenuti pure l’interessato ed il suo difensore), dovrebbe ritenersi che, non solo la verbalizzazione non potrà, in quella sede, essere effettuata in forma riassuntiva[18], ma ci si dovrà porre il problema del verbale di udienza sottoscritto unicamente dall’ausiliario, e, solo successivamente, dal giudice presente da remoto[19].
Il problema, per vero, è stato fortunatamente più volte affrontato dalla giurisprudenza di Legittimità, e risolto nel senso di ritenere che la nullità del verbale, derivi soltanto dalla omessa sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha redatto ( ma non del giudice), ovvero quando permane incertezza assoluta sulla identità delle persone che hanno preso parte alla udienza[20].
Non può poi sottacersi che la tesi della validità del verbale sottoscritto dal solo ausiliario e senza incertezze sulla identità dei protagonisti della udienza, è soluzione a questo punto, pur implicitamente ma chiaramente, recepita anche “de iure condito” dallo stesso sistema delineato dall’art. 133 ter c.p., il quale, con la citata formulazione del comma 8, non fa altro che asseverare la tesi sostenuta, poiché dà per scontata la evenienza che il giudice e il suo ausiliario, possano trovarsi l’uno nell’aula di udienza reale, e l’altro in quella remota e virtuale.
Si tratta evidentemente di soluzioni , quella riguardanti i rapporti tra verbalizzazione e udienza da remoto, che , allo stato, possono solo ipotizzarsi come valide, nella consapevolezza che ogni ulteriore sviluppo e approfondimento, deve rimanere necessariamente affidato alla prassi delle aule di giustizia, laddove evidenti ragioni di sintesi impongono, nella presente sede, di procedere oltre [21].
Venendo così alla problematica della partecipazione a distanza alla udienza di sorveglianza dei soggetti in misura alternativa, deve in primo luogo ribadirsi , esordendo proprio dal caso del detenuto domiciliare che si colleghi da remoto, che, ferma la validità di quanto appena esposto circa il collegamento del libero sospeso dai luoghi diversi da quelli di cui al comma 4 dell’art. 133 ter c.p.p., non infrequente potrebbe nella prassi risultare anche l’evenienza per cui, per economia di mezzi e ragioni di sicurezza legati anche al rispetto delle prescrizioni, il detenuto domiciliare richieda di collegarsi dal proprio domicilio, ove debba raggiungerlo il difensore e, in ipotesi, anche l’ausiliario del giudice, ove quest’ultimo disponga in tal senso. Invero, non solo nessuna norma osta a che il difensore si porti presso il domicilio dell’assistito previa autorizzazione ovviamente della A.G. procedente e previamente informata nei termini di cui si è detto a proposito del libero sospeso , ma anzi il comma 7 dell’art. 133 ter, si preoccupa di ribadire che debba essere “comunque” assicurato il diritto del difensore di essere presente nel luogo ove trovasi l’assistito . Tale argomento testuale, unitamente alla ampia formulazione del comma 6 della norma , che discorre in linea generalissima di “persone” che compiono l’atto o partecipano alla udienza da remoto, induce a ritenere che la evenienza prospettata, non rimarrà affatto una ipotesi di scuola, a condizione però che, come chiarito per il libero sospeso, non si verifichi né una caduta delle garanzie difensive, né si commettano abusi in assenza” in loco”, dell’ausiliario che, ai sensi del comma 8 dell’art. 133 ter c.p., potrà anche non essere presente nel domicilio privato del libero sospeso, o del detenuto domiciliare, così come, a questo punto di ogni altro soggetto, sottoposto a misura alternativa, anche più ampia, e che gli consenta maggiori libertà di movimento.
Il pensiero, evidentemente, va alle figure dell’affidato in prova ex art. 47 O.P., ed al semilibero, ex art. 50 O.P., le quali possono presentare problematiche del tutto analoghe a quelle fin qui analizzate.
Ovviamente, in tali casi, molto dipenderà da quanto siano restrittive le prescrizioni imposte a tali soggetti con riferimento alla libertà di locomozione, di tal che appare molto difficile individuare anche solo una casistica approssimativa, come fatto nei casi precedentemente esaminati. Certo è che , anche per tali soggetti, la regola generale, sarà quella dettata dal comma 4 dell’art. 133 ter, derogabile senza particolari e stringenti preclusioni, con il procedimento autorizzatorio previsto dal comma 6 e più volte analizzato a proposito di altri soggetti protagonisti della udienza da remoto dinanzi alla Magistratura di Sorveglianza.
Non potrà poi obliterarsi che la materia affrontata, soprattutto per quanto attiene ai liberi sospesi ed ai soggetti in misura alternativa, mal si presta ad un preciso inquadramento casistico, in quanto un ruolo determinante sarà pur sempre giocato dal consenso[22] dell’interessato, al quale il comma 4 dell’art. 666 c.p.p. e l’art. 678 comma 3.2 c.p.p., riservano un ruolo in ultima analisi determinante, nel rispetto, peraltro, di precise indicazioni generali in tal senso da parte della legge delega; ciò e tanto più vero, se si riflette che la tematica del consenso intercetta, nello specifico settore di interesse, la ulteriore ( troppo ampia, ad avviso di chi scrive) libertà di determinazione lasciata all’interessato, con riferimento alla scelta dei luoghi dai quali collegarsi da remoto, come meglio esplicitato nel corso del presente studio ( scelta che, evidentemente, è tematica differente da quella del consenso , e che avrebbe meritato maggiore attenzione da parte del legislatore).
5. “ La violazione delle norme in tema di collegamento da remoto ”.
Dall’ordito normativo sino ad ora esaminato, emerge in modo palese come la principale preoccupazione del legislatore del 2022, sia stata quella di presidiare- stante il principio di tassatività delle nullità- quello che costituisce il nucleo della garanzia del giusto processo, in caso di partecipazione da remoto.
Ed infatti, l’unico caso in cui si discorre espressamente di nullità, è costituito dal comma 3 dell’art. 133 ter di nuovo conio, con riferimento al rispetto di quelli che possono essere ritenuti i requisiti cardine del sistema della partecipazione a distanza alla udienza in generale, ed a quella di Sorveglianza in particolare.
Il riferimento è evidentemente al comma 3 dell’art. 133 ter c.p.p., il quale opera riferimento, a pena di nullità appunto, alla effettiva partecipazione delle parti alla udienza, partecipazione però che, per essere tale, deve garantire :”…la contestuale effettiva e reciproca visibilità delle persone nei diversi luoghi, e la possibilità per ciascuna di esse, di udire quanto viene detto dalle altre.”
Per la verità, il riferimento alla “contestualità” ed alla “effettività”, era già presente nel previgente testo dell’art. 146 bis disp. Att. C.p.p. comma 3. Da sempre infatti, la dottrina più accreditata, ha ritenuto che il requisito della “contestualità”, sia deputato a presidiare la unicità del processo, vietando differimenti temporali nei collegamenti, di tal che tutto ciò che avviene nell’aula virtuale, debba essere distintamente e immediatamente percepito in quella virtuale[23]. IL requisito alla “effettività”, inoltre, implica la garanzia del corretto funzionamento dei mezzi tecnici attraverso i quali viene disposto il collegamento a distanza[24].
Peraltro la dottrina, ha da tempo scartato la ipotesi della nullità assoluta, pure sostenuta , in passato, da una parte minoritaria di giurisprudenza [25].
Scartate dunque le ipotesi di cui all’art. 179 comma 1 c.p.p., non potendo all’evidenza derivare dalla violazione della citata disposizioni di legge, né una omessa citazione dell’imputato e neppure una assenza del difensore, la dottrina ha ricondotto le possibili violazione, nell’ambito delle nullità a regime intermedio, sotto il profilo della illegittima compressione dei diritti di difesa e del diritto alla difesa tecnica, ai sensi del combinato disposto degli artt. 178 lett. c) e 180 c.p.p.[26]
Va però al riguardo precisato che, mentre la dottrina si è da sempre attestata sulla configurabilità di tale tipo di nullità, anche in caso di violazioni meramente formali del principio del contraddittorio, messo a rischio dalla mancanza di contestualità ed effettività della reciproca possibilità di visibilità ed ascolto, la giurisprudenza di legittimità si è , da sempre , attestata , affinchè nullità sia ravvisabile, sulla necessità di una concreta e specifica lesione dei diritti di difesa[27] .
Si tratta in realtà di un principio di fondo, per mezzo del quale la giurisprudenza di legittimità, ha affrontato la casistica più varia, come ad esempio accaduto, nel caso particolare pure prospettatosi , della omessa comunicazione al difensore del trasferimento del proprio assistito detenuto , del quale sia stata disposta la partecipazione al dibattimento a distanza. Ebbene, secondo la Suprema Corte, tale omissione, non concernendo la assistenza del difensore, bensì la mera presenza dello stesso nel luogo ove si trova l’imputato, non determina alcuna nullità, fino a quando il difensore medesimo non abbia, in concreto, e nel formulare la relativa eccezione, esternato il motivo specifico per il quale egli abbia ritenuto compromesso il diritto di difesa.[28]
Pur avendo tale argomento meritato più diffusa trattazione, occorre , per ragioni di sintesi, procedere oltre, almeno un ulteriore cenno però dovendo essere dedicato alla ipotesi di omissione dell’avviso per il tramite del quale il difensore è reso edotto dello svolgimento della udienza da remoto.
Ebbene , operando ancora una volta puntuale applicazione del principio della concreta lesione del diritto di difesa, la S.C. ha ritenuto nella fattispecie che tale eccezione non è sollevabile dal difensore per difetto di uno specifico interesse, quando non sia stata manifestata la precisa volontà che, il difensore medesimo o un suo sostituto, partecipino all’udienza recandosi nel luogo ove è ristretto l’assistito[29].
Allo stesso modo, la inosservanza del termine di dieci giorni di cui all’art. 127 c.p.p., per la comunicazione del collegamento a distanza alle parti ed ai difensori, è stato ritenuto non determinare nullità ma mera irregolarità, purchè la effettiva partecipazione fosse stata ugualmente garantita, avendo gli Ermellini, in questo caso, ritenuto che il comma 4 dell’art. 146 bis disp. Att. C.p.p. nella precedente formulazione- ed oggi il comma 7 dell’art. 133 ter c.p.p.- considerassero del tutto equipollenti, ai fini del corretto espletamento del mandato difensivo, la possibilità per il difensore di sedere accanto al proprio assistito nel luogo di detenzione, ovvero , in alternativa, di comunicare con lui riservatamente dall’aula di giustizia[30].
Peraltro, per concludere sul punto, dalla applicazione dei principi enunziati, dovrebbe derivare la conseguenza , con riferimento alla vasta gamma dei malfunzionamenti tecnici potenzialmente verificabili, che , in linea generalissima, l’invalidità dovrebbe derivare soltanto da difetti tali da pregiudicare concretamente e considerevolmente l’esercizio del diritto di difesa, come ad esempio nel caso di mancanza di connessione, anche temporanea, dal punto remoto , durante lo svolgimento della udienza, mentre dovrebbero restare prive di rilievo minime disfunzioni tecniche, come l’assenza di collegamento per brevi istanti, o durante i tempi morti della udienza .
[1] Si noti infatti, a riprova dello stretto collegamento esistente tra i modelli procedimentali di cui all’art. 666 c.p.p. e quello di cui all’art. 127 c.p.p., come il legislatore del 2022, abbia avvertito l’esigenza di riscrivere in modo speculare sia il comma 4 della prima norma , che il comma 3 della seconda, re-introducendo, in entrambi i casi , la possibilità, per il soggetto ristretto al di fuori del circondario del giudice che procede, ove costui non intenda partecipare da remoto alla udienza di Sorveglianza , di essere sentito, prima della udienza, dal magistrato di sorveglianza del luogo ove egli è detenuto.
[2] La norma di cui all’art. 146 bis disp. Att. C.p.p., ha subito una importante opera di “restyling” ad opera dell’art. 98 del D.L. 150/22, il quale ha abrogato i commi da 2 a 6,e, rimodellandoli, li ha inseriti nella norma di carattere generale, di cui all’art. 133 ter di nuovo conio, unitamente al-pure abrogato- comma 4 dell’art. 147 bis disp. Att. C.p.p.. Tuttavia, anche in epoca ante-riforma, la dottrina propendeva per ritenere che la partecipazione a distanza nelle ipotesi di cui all’art. 146 bis disp. Att. (sopravvissute oggi all’opera di riscrittura), si fondassero alcune su di una presunzione di pericolosità ed avessero così carattere obbligatorio ( come nel caso di cui ai commi 1 e 1 bis della norma), ed altre fossero a carattere facoltativo, fondate sull’apprezzamento in concreto delle esigenze da soddisfare ( come nel caso di ragioni di sicurezza o particolare complessità). Amplius, si veda al riguardo Franco DELLA CASA-Glauco GIOSTRA “ Manuale di diritto penitenziario”- Seconda edizione- Torino-Giappichelli 2021.
[3] Come è noto, l’art.8 comma 1 del D.Lvo 150/22, ha introdotto un- interamente nuovo- titolo II-bis, all’interno del libro II del c.p.p., formato da due sole norme, l’art. 133 bis che definisce l’ambito applicativo delle norme sulla partecipazione a distanza, e specifica il carattere generale ma sussidiario, del successivo art. 133 ter, che si applica a tutti i casi di partecipazione a distanza, “ salvo che sia diversamente previsto”.
[4] “La rilevanza del tema si coglie alla luce della impronta che caratterizza gli interventi in chiave di funzionalità rieducativa della pena: incentrati su valutazioni personologiche, postulano dirette forme relazionali tra il giudice ed il condannato. A tali esigenze conoscitive si sommano le ragioni legate alla garanzia della autodifesa ,la cui inviolabilità trova copertura nell’art. 24 co. 2 Cost.”, Così Franco DELLA CASA-Glauco GIOSTRA “ Manuale di diritto penitenziario” cit., pag. 287.
[5] La attuale formulazione dell’art. 133 ter c.p.p., in punto di riscrittura delle fondamentali garanzie della udienza a distanza, risente fortemente dei principi propugnati da Corte Cost. nr. 342/99, secondo la quale :” ciò che occorre, sul piano costituzionale, è che sia garantita l’effettiva partecipazione personale e consapevole dell’imputato al dibattimento, e dunque che i mezzi tecnici, nel caso della partecipazione a distanza, siano del tutto idonei a realizzare quella partecipazione”. Nella scia della nostra Corte Costituzionale si è poi collocata anche la giurisprudenza della Cedu, potendosi in questa sede ricordare Corte Edu, Sez. III, 5 ottobre 2006, Marcello Viola c/o Italia, nella quale i giudici sovranazionali hanno condivisibilmente sostenuto come non sia la videoconferenza in sé, quanto piuttosto le modalità operative del suo funzionamento , che possono ledere il diritto al giusto ed equo processo.
[6] Come introdotto , nel suo primo periodo, dal D.L. 162/22, e nel suo secondo periodo, in sede di conversione , dalla legge 199/22. L’intero comma 2.ter, risulta ad oggi il seguente: “ Alle udienze del Tribunale di Sorveglianza che abbiano ad oggetto la concessione dei benefici di cui al comma 1 ai condannati per i reati di cui all’art. 51, commi 3 bis e 3 quater del codice di procedura penale, le funzioni di pubblico ministero possono essere svolte dal pubblico ministero presso il Tribunale del capoluogo del Distretto ove è stata pronunziata la sentenza di primo grado. In tal caso, se ha sede in un distretto diverso, il pubblico ministero può partecipare all’udienza mediante collegamento a distanza”
[7] E’ chiara in tal caso, anche la intenzione del legislatore di recuperare in ogni modo possibile, l’insostituibile patrimonio conoscitivo del Pubblico Ministero che ha celebrato il processo di cognizione di primo grado, soprattutto per quanto concerne la conoscenza della attualità dei collegamenti con associazioni criminali, dal momento che i delitti di cui all’art. 51 co. 3 bis e 3 quater c.p.p., rispecchiano, in netta prevalenza, una serie di reati associativi di vario genere.
[8] Nel caso in cui il difensore intendesse non scegliere, è chiaro che i costi per l’assistito si duplicheranno, circostanza questa che aveva in passato sollevato dubbi di compatibilità con il principio di uguaglianza ed il diritto di difesa, sino a sfociare nella possibilità, nel settore del patrocinio per i non abbienti, di effettuare una doppia nomina, come riconosciuto oggi dal combinato disposto degli artt. 91 e 100 del DPR 115/02, ai soli limitati fini del compimento di atti a distanza; in tal senso, in dottrina, si veda ad es. M.Bargis, “La teleconferenza”, in E. Zappalà ( a cura di)” L’esame e la partecipazione a distanza nei processi di criminalità organizzata, Milano 1999, pag. 42.
[9] Il timore è, ad esempio, manifestato da M.FERRAIOLI, “Introduzione” , in AA.VV.” Nuove strategie processuali per imputati pericolosi e imputati collaboranti, commento alla legge 7 gennaio 1998 nr. 11 ( cd. Legge sulla videoconferenza), Milano 1998, pagg. 8 e 9
[10] L’esempio riportato è tratto da G.DI CHIARA << “ Come s’uno schermo” , Partecipazione a distanza, efficienza , garanzie, upgrade tecnologici, in AA.VV. Imputazione e prova nel dibattimento tra regole e prassi, Atti del Congresso di Campobasso, 13-14 ottobre 2017, Milano 2018, pagg. 142-143
[11] Su posizioni convergenti, si veda G. FIDELBO, << processo “scritto” e limiti all’oralità in Cassazione”>>, nella Rivista Sistema Penale, 23 Marzo 2021, p. 5 e ss., ove le considerazioni effettuate nel testo, sono dall’autore riferite al giudizio di Cassazione, anch’esso connotato da contraddittorio spiccatamente cartolare.
[12] D.CURTOTTI NAPPI, “ I collegamenti audiovisivi nel processo penale”, Milano 2006, pag.182.
[13] Si può pensare alla ipotesi frequente, per esempio, del detenuto ristretto in uno degli Istituti del Distretto cui appartiene il Tribunale di Sorveglianza che procede, e che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 678 e 666 comma 4 c.p.p., non abbia prestato il proprio consenso al collegamento a distanza. Ebbene costui potrà vedersi obbligato, per effetto del decreto motivato sulla base delle particolari esigenze previste dalla legge, a collegarsi a distanza e da remoto, dall’Istituto di pena, pur avendo diritto a presenziare e avendone fatto richiesta.
[14] La regola aurea applicabile ai ristretti in Istituto di pena, che dunque tiene conto del coordinamento di tutte le disposizioni di settore menzionate nel testo, in conclusione, può così compendiarsi: I soggetti ristretti si collegano tutti dal luogo ove si trovano in linea di principio e in via di regola, ai sensi del comma 5 dell’art. 133 ter c.p.p.; mentre però coloro che si trovano ristretti per le cause di cui ai commi 1 e 1 bis dell’art. 146 bis disp. Att. C.p.p., sono obbligati a collegarsi da remoto, non potendo operare la scelta di cui all’art. 666/4 c.p.p., e fatti salvi eventuali provvedimenti derogatori della A.G. procedente latamente discrezionali, tutti gli altri si collegano da remoto solo se prestano il loro consenso, in caso contrario dovendosene disporre la traduzione in udienza ( ovvero la audizione “in persona” da parte del magistrato di sorveglianza del luogo di detenzione), e pur potendo però, tali categorie di detenuti, vedersi opporre ragioni di sicurezza e di durata dei processi, ostative alla loro presenza fisica in aula, venendo così obbligati , dal decreto motivato della A.G. procedente, a collegarsi da remoto.
[15] Le pene sostitutive di bene detentive brevi sono:1) semilibertà e detenzione domiciliare sostitutive in caso di condanna a pene dell’arresto o reclusione non superiori a quattro anni; 2) Il lavoro di pubblica utilità sostitutivo per condanne alla reclusione o all’arresto non superiori a tre anni; 3) la pena pecuniaria sostitutiva, per condanne alla reclusione o all’arresto non superiori ad un anno.
[16] I nuovi art. 62 e 63 della L. 689/81, come introdotti dall’art. 71 comma 1 lett. m) ed l) D.L. 150/22 prevedono infatti che il magistrato di sorveglianza confermi o modifichi le prescrizioni inerenti la esecuzione della pena sostitutiva della semilibertà o della detenzione domiciliare, e che l’UEPE sovrintenda alla esecuzione del lavoro di pubblica utilità, come disposto dal giudice della cognizione.
[17] Detta attività di controllo prodromica alla autorizzazione, infine, potrà giovarsi del contraddittorio tra le parti, che vanno obbligatoriamente- ma non in senso vincolante- sentite dal giudice che procede, prima ed in funzione del provvedimento autorizzatorio. Ovviamente l’obbligo di audizione può diversamente atteggiarsi a seconda che le parti vengano interpellate in udienza, ove, ad esempio vi siano processi che esordiscano con la presenza delle parti stesse, e proseguano da remoto quando non esauriti in un’unica udienza, rispetto a quando il processo inizi e termini con la presenza da remoto. In tale ultimo caso, peraltro, sarebbe opportuno che l’avviso di fissazione della prima udienza, contenga anche l’invito alle parti, specie private, a far conoscere non solo da dove , ma anche con quali mezzi ( software e Hardware) intendano collegarsi.
[18] Come è noto, la Corte Costituzionale, con sentenza del 3 dicembre 1990 nr. 529, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 9 dell’art. 666 c.p.p., richiamato dall’art. 678 c.p.p. per la udienza di sorveglianza, nella parte in cui detto comma, dopo la parola “redatto” riporta l’avverbio “soltanto”, anziché “di regola”. Ebbene, il rinvio del comma 8 dell’art. 133 ter all’art. 136 c.p.p., dovrebbe considerarsi non solo norma posteriore, ma anche speciale rispetto a quella di cui al comma 9 dell’art. 666 c.p.p., che rinvia a sua volta all’art. 140 stesso codice. La conseguenza che ne dovrebbe discendere è che, la verbalizzazione “di regola” riassuntiva in udienza di sorveglianza ,in caso di collegamento da remoto dell’ausiliario separatamente dal giudice, dovrebbe avvenire in forma integrale.
[19] E’ evidente che la problematica, pur trattandosene per comodità espositiva in questo punto del presente studio, è comune a tutte le ipotesi in cui l’ausiliario si separi dal giudice, per raggiungere luoghi diversi dall’ufficio giudiziario, quando consentito o imposto dall’art. 133 ter c.p.p., o dalla normativa di settore.
[20] Si veda in tal senso, oltre alla storica Sezioni Unite nr. 41461 del 19/7/2012, nel cui solco si è posta tutta la giurisprudenza successiva, anche Sez. 5 nr. 1740 del 7/10/2010 e Sez. 3, nr. 43803 del 29/10/2008, in tema proprio di mancata sottoscrizione del verbale di udienza da parte del giudice, non determinante nullità alcuna. Secondo Sezioni Unite cit, inoltre, affinchè vi sia incertezza assoluta sulle persone intervenute, è necessario che l’identità del soggetto partecipante all’atto, non solo non sia documentata nella parte del verbale specificamente destinata a tale attestazione, ma altresì che non sia neppure desumibili da altri dati contenuti nello stesso, né da altri atti processuali in esso richiamati, o ad esso comunque riconducibili.
[21] Secondo la grande maggioranza della giurisprudenza di legittimità, infatti, come ribadito anche dalla recentissima Sez. 4 nr. 5627 del 24/1/2023-dep. 9/2/2023 , Est. PEZZELLA Vincenzo, imp. T.S., il verbale di udienza nel procedimento penale, fa piena prova , fino a querela di falso, di quanto in esso attestato, trattandosi di atto pubblico redatto da pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni, il cui regime di efficacia è disciplinato dall’art. 2700 c.c.. Contra la- alquanto isolata- Sez. 2, nr. 40756 del 21/10/2021, secondo la quale il verbale di udienza non ha valore probatorio privilegiato e, pertanto, la contestazione del suo contenuto , non richiede la presentazione di querela di falso, e dovendosi la sua veridicità risolvere sulla base della semplice capacità dimostrativa delle prove raccolte. Tale petizione di principio propugnata dalla giurisprudenza di legittimità, dovrebbe risultare un valido presidio , tutte le volte in cui l’ausiliario reati accanto al giudice nell’aula reale.
[22] Val la pena di ricordare che , nel parere sul d.d.l. di riforma espresso con delibera del 29 luglio 2021, il CSM ha puntualizzato come il rilievo conferito al consenso delle parti, valorizzi la leale collaborazione tra le stesse e il giudice ( cfr. in particolare allegato 3 del parere).
[23] Ad esempio, in tal senso, si veda A.MELCHIONDA, sub art. 146 bis disp. Att. C.p.p., in M.CHIAVARIO ( coordinato da )” Commento al Codice di procedura penale”, Agg. IV, Torino 1998, pag. 181.
[24] In tal senso si veda , ad esempio, D. Curtotti Nappi, “ I collegamenti audiovisivi nel processo penale” Milano 2006, pag. 173-174. E sul punto molto dipenderà dalle risorse non solo degli uffici giudiziari, ma come si è cercato di dimostrare nel testo, anche dagli strumenti tecnici a disposizione di parti e difensori che si colleghino da studi professionali o privato domicilio ( cfr. in particolare &.4 del presente studio).
[25] In giurisprudenza si veda, ad esempio, la risalente Cass. Sez. VI, 8 febbraio 2000, Sbeglia, e in dottrina L. KALB, “ La partecipazione a distanza al dibattimento , in AA.VV., nuove strategie processuali per imputati pericolosi e imputati collaboranti. Commento alla legge 7 gennaio 1998 n. 11( c.d. Legge sulla videoconferenza)” , Milano 1998, pag. 70.
[26] G.PIZIALI, “ il dibattimento nelle norme di attuazione del c.p.p. , in Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, IV, tomo 2, Giudizio. Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica”, a cura di G. Spangher, Torino, 2009, pag. 96.
[27] Si veda tra le tante, la- non recentissima ma esplicita- Sez. I, nr. 19511 del 15/1/2010-dep.24/5/2010, in una fattispecie nella quale era stata ritenuta infondata la eccezione con la quale alcuni imputati avevano lamentato la predisposizione di un collegamento esclusivamente in audio, di un dichiarante che, per ragioni di riservatezza, solo a tali condizioni aveva acconsentito a tale modalità di partecipazione al processo, per le prevalenti esigenze di sicurezza e cautela.
[28] Il caso si è prospettato a Cass. Sez. 5,nr. 50394 del 22/7/2016-dep.28/11/2016.
[29] Il Caso si è prospettato invero, per l’udienza di riesame in Camera di Consiglio ex art. 309 c.p.p., ed è stato così risolto da Cass. Sez. 5, n. 25838 del 23/7/2020-dep.10/9/2020
[30]Cfr. Cass. Sez. I, nr. 48423 del 10/5/2017-dep. 20/10/2017, la quale ha rilevato come, in ogni caso, alla udienza fissata, il difensore avesse presentato le proprie conclusioni, depositato una memoria e discusso il caso, così esercitando il diritto di difesa in concreto. Nello stesso senso, peraltro, si veda Cass. Sez. 6 nr. 51019 del 19/11/2019- dep 17/12/2019, secondo la quale l’omesso avviso al difensore delle speciali modalità di svolgimento della udienza da remoto non integra nullità ma mera irregolarità, sanabile, se eccepita prima della udienza, con la rinnovazione dell’avviso e la concessione di termine idoneo a consentire al difensore, di scegliere se raggiungere o meno il proprio cliente, presso il luogo di detenzione.