CAMERA DEI DEPUTATI -SECONDA COMMISSIONE- GIUSTIZIA
MERCOLEDI’ 19 FEBBRAIO 2025 – AUDIZIONE NELL’AMBITO
DELL’ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 1693 BOLDRINI
RECANTE “MODIFICA DELL’ART. 609 BIS DEL CODICE PENALE IN
MATERIA DI VIOLENZA SESSUALE E DI LIBERA MANIFESTAZIONE
DEL CONSENSO”
PRIMA PARTE
Descrizione esperienze e osservatorio
Attualmente rivesto l’incarico di Procuratrice Aggiunta a Palermo e ho coordinato il dipartimento violenza di genere, violenza domestica e tutela delle vittime vulnerabili.
Nel 2020 ho fatto parte di un gruppo di magistrati esperti, costituito presso il Consiglio Superiore della Magistratura, incaricato della verifica delle linee guida sulla trattazione dei procedimenti relativi a reati di violenza di genere e domestica.
Nella passata legislatura sono stata consulente della Commissione Parlamentare di inchiesta sul femminicidio nonché su ogni forma di violenza di genere costituita presso il Senato e presieduta dalla Senatrice Valente.
Il mio pertanto è un osservatorio tecnico-giuridico sia a livello locale che a livello nazionale.
Sul merito del provvedimento
Innanzitutto, voglio esprimere tutto il mio apprezzamento in relazione a questa proposta legislativa il cui proposito e i cui contenuti non sono affatto scontati. Vero è, come è stato detto, anche in questa sede, che la giurisprudenza sia di merito che di legittimità hanno mosso grandi passi in questa direzione, ma il percorso non può dirsi concluso se non si giunge ad una positivizzazione del principio, se non si cristallizza in una norma di diritto positivo quella che costituisce la tappa finale di una evoluzione giuridica e culturale.
Tutti noi che ci occupiamo di violenza di genere sosteniamo da tempo, ed è stato anche convalidato dalle pregevoli relazioni della Commissione femmicidio, che è necessario un cambio di passo culturale che coinvolga tutte le generazioni dalle più giovani alle più adulte.
Quindi una norma come quella oggetto della odierna proposta non è solo una passiva esecuzione di obblighi di natura internazionale che lo Stato italiano ha assunto con la adesione a trattati Europei ed Internazionali (mi riferisco, ad esempio, alla Convenzione di Istanbul o alle più recenti direttive per la tutela delle vittime di violenza), ma è l’espressione proprio di questo cambio di passo culturale e di questa svolta epocale che si attende da tempo per la tutela del corpo delle donne e della loro libertà di autodeterminazione.
Proprio qualche giorno fa sul palco di Sanremo, la trasmissione nazional popolare per antonomasia seguita da milioni di telespettatori, due giovani cantanti al termine della loro esibizione hanno mostrato due cartelloni con la scritta “SE IO NON VOGLIO – TU NON PUOI”. Ebbene il tema è proprio questo: la nostra società ha impiegato a secoli a superare lo stereotipo che il “NO” di una donna in realtà celasse un SI’ che, per ragioni di cultura, educazione ed etiche, non poteva dire. Ora sappiamo che un NO di una donna ad un atto sessuale è un NO, ma dobbiamo fare un altro passo avanti ed è quello che possiamo fare con questa Legge: anche un silenzio è un NO, anche non fuggire, non reagire, non urlare, non chiedere aiuto non è un SI’.
A questo proposito vorrei richiamare una mia esperienza di qualche anno fa durante un processo per molestie sessuali ai danni di una bambina di undici anni da parte del padre di una sua compagna di scuola. Nel corso di un incidente probatorio dove abbiamo ascoltato la testimonianza della bambina lei ci ha raccontato che le molestie erano avvenute una sera mentre si trovavano a casa della compagna di scuola seduti sul divano davanti alla televisione. Quella sera lei era seduta accanto al papà della compagnetta ed avevano sulle gambe un plaid, in un momento in cui la sua amica e la mamma si erano allontanate per andare in un’altra stanza. L’uomo le aveva messo la mano nelle parti intime e poi aveva preso la sua manina e se la era portata nelle sue parti intime. La bambina non aveva avuto la forza di reagire, né di chiamare la sua amica o la mamma che erano nella stanza immediatamente accanto. Durante la sua deposizione, senza che io le avessi chiesto nulla, disse una frase che non dimenticherò mai, disse: “in quel momento io ero una statua”. Ecco le parole di questa bambina di undici anni spiegano meglio di qualunque altra perifrasi cosa accada quando si è vittime di molestia: la paura pietrifica.
Non è necessaria la violenza o la minaccia, qualunque situazione di squilibrio di potere pone la parte debole in una situazione di “impotenza”, di “incapacità” o addirittura “impossibilità” di reagire. Nel caso che ho riportato la situazione di squilibrio di potere è di assoluta evidenza perché abbiamo una bambina e un adulto, ma molti altri possono essere gli esempi: un datore di lavoro con una impiegata, un superiore con una lavoratrice subordinata, un uomo potente che ha nelle mani il destino professionale di una donna e lei cui sorti verranno decretate da come si comporterà, un marito maltrattante con la moglie che subisce da anni le sue violenze.
Le situazioni di squilibrio di potere compromettono la libertà di autodeterminazione delle persone e, per le donne, tale libertà passa principalmente dal loro corpo.
ASPETTI TECNICI
In primo luogo condivido l’osservazione proveniente da più parti, che credo sia già stata raccolta dalla Presidente Boldrini, in ordine all’uso dei verbi “costringe o induce” nel primo comma che rischia di vanificare la centralità che la novella legislativa attribuisce al “consenso” nella nuova struttura del reato.
Il secondo aspetto che vorrei sottolineare riguarda la cornice edittale che io distinguerei fra l’ipotesi dell’assenza di consenso e quella commessa con violenza o minaccia che,essendo oggettivamente più grave, andrebbe punita con una pena più alta. Si potrebbero pertanto dividere le fattispecie in due commi con limiti edittali diversificati.
La terza osservazione è di natura puramente formale (anche questa già segnalata da altri auditi) e riguarda l’inserimento della definizione di consenso all’interno del nuovo articolo 609 bis c.p. e quindi l’ultima parte potrebbe modificarsi in questi termini “agli effetti del presente articolo per consenso si intende…”
Infine ho ascoltato in precedenti audizioni, ma anche in differenti contesti, alcune preoccupazioni in ordine al cosiddetto onere della prova. A mio avviso si tratta di un tema che non riguarda l’odierna discussione perché è di natura strettamente processuale, mentre in questa sede si discute della struttura del reato e dunque di una norma di diritto sostanziale.
Anche in questo caso vorrei fare un esempio collegandomi ad una norma di relativamente recente emanazione. Quando il legislatore ha elaborato la norma di cui all’art. 416 bis del codice penale in materia di partecipazione alla associazione mafiosa si è occupato esclusivamente di delineare quali fossero gli elementi oggettivi e soggettivi del reato e le relative fattispecie aggravate, ma non ha inserito nella disposizione anche quali fossero le fonti di prova in base alle quali si dovesse dimostrare in giudizio la sussistenza di tali elementi (dichiarazioni di collaboratori di giustizia, di testimoni, intercettazioni, perquisizioni, ecc..). Allo stesso modo si dovrebbe procedere in questa sede tenendo conto del fatto che, per l’onere della prova e per le fonti di prova in ordine alla sussistenza o meno del consenso, valgono le ordinarie regole processuali.
Sul punto vale la pena di ricordare che, trattandosi di reati che normalmente si consumano in assenza di testimoni, vi è una consolidata giurisprudenza della Cassazione in tema di valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, di esame della sua attendibilità e di idoneità delle stesse a fondare un giudizio di colpevolezza dell’imputato anche in assenza di riscontri estrinseci.
Palermo, 19 febbraio 2025