I. Premessa

Dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri in data 28 settembre 2022 dello schema di decreto legislativo di attuazione della delega per la riforma della giustizia penale contenuta nella L. n. 134/2021, è prossima la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Il decreto interviene in ambito sostanziale e processuale per l’efficienza del processo penale, la giustizia riparativa e la celere definizione dei procedimenti giudiziari, anche in vista del raggiungimento degli obiettivi del P.N.R.R.

Con il presente contributo saranno illustrate le modifiche riguardanti l’iscrizione dell’indagato nel registro delle notizie di reato, i termini di durata delle indagini preliminari e l’individuazione di meccanismi volti a velocizzare l’assunzione da parte del pubblico ministero delle proprie determinazioni in ordine all’esercizio dell’azione  penale. 

II. Le modifiche concernenti l’iscrizione della notizia di reato.

L’art. 335 c.p.p.

La nuova norma prevede al comma 1 che il P.M iscrive immediatamente nel registro la notizia di reato che ha acquisito o che gli perviene quando contenga “la rappresentazione di un fatto, determinato e non inverosimile, riconducibile in ipotesi a una fattispecie incriminatrice. Nell’iscrizione sono indicate, ove risultino, le circostanze di tempo e di luogo del fatto”.

Il comma 1 bis specifica poi che quanto al nome della persona cui il reato è attribuito, il P.M. procede alla relativa iscrizione “non appena risultino, contestualmente all’iscrizione della notizia di reato o successivamente, indizi a suo carico”.

Il comma 1-ter, di nuova introduzione, specifica che “quando non ha provveduto tempestivamente ai sensi dei commi 1 e 1-bis, all’atto di disporre l’iscrizione il pubblico ministero può altresì indicare la data anteriore a partire dalla quale essa deve intendersi effettuata

Le disposizioni del novellato art. 335 bis c.p.p. sono da salutare favorevolmente poichè il legislatore ha inteso ancorare l’iscrizione di un fatto nel relativo registro delle notizie di reato alla ricorrenza di presupposti chiari e rigorosi: il fatto deve presentare un carattere di verosimiglianza e deve integrare, altresì, gli estremi di una fattispecie di reato. Quanto all’iscrizione del nome della persona alla quale il reato è riferibile, essa è prevista soltanto se si sia stata certamente superata la soglia del sospetto e siano quindi emersi elementi a suo carico della consistenza di “indizi” che inducano a ritenere probabile la fondatezza dell’accusa.

Apprezzabile risulta anche il disposto del comma 1 ter del novellato art. 335 c.p.p. che attribuisce allo stesso P.M., nella ricorrenza dei presupposti di cui si è detto, la possibilità di retrodatare l’iscrizione della notizia o del nome dell’indagato, così rimediando da sé alla eventuale tardiva iscrizione.

L’art. 335 bis c.p.p..

La norma in commento prevede che la mera iscrizione nel registro di cui all’articolo 335 “non può, da sola, determinare effetti pregiudizievoli di natura civile o amministrativa per la persona alla quale il reato è attribuito”. Essa va tuttavia letta congiuntamente art. 110 quater disp. att. c.p.p. che prevede infatti che “Fermo quanto previsto dall’articolo 335-bis del codice, le disposizioni da cui derivano effetti pregiudizievoli in sede civile o amministrativa per la persona sottoposta a indagini devono intendersi nel senso che esse si applicano comunque alla persona nei cui confronti è stata emessa una misura cautelare personale o è stata esercitata l’azione penale».

Con le norme in parola il legislatore intende scongiurare la possibilità che la sola iscrizione di un soggetto nel registro ex art. 335 c.p.p. possa pregiudicarlo in sede civile o amministrativa, in una qualsiasi procedura, gara, concorso rispetto alla quale possa assumere rilievo la sua qualità di indagato. La circostanza che il legislatore abbia previsto che il pregiudizio non può derivare dalla sola iscrizione, induce a ritenere ex converso che l’iscrizione, valutata unitamente ad altri eventuali elementi, possa assumere rilievo quando le autorità siano chiamate ad assumere una decisione in sede civile e/o amministrativa nei confronti dell’indagato. La norma appare, tuttavia, di difficile applicazione pratica poiché, nella vigenza del segreto investigativo, le autorità, amministrativa e civile, non potranno  comunque avere accesso ad informazioni diverse dalla mera iscrizione, da valorizzare al fine di adottare, negli ambiti di rispettiva competenza, le proprie determinazioni.

L’esigenza di tutela del soggetto contemplata dalla norma in commento, viene meno, invece, quando nei confronti dell’interessato sia stata emessa una misura cautelare personale o sia stata esercitata l’azione penale, essendo evidente che tanto nel primo caso, quanto nel secondo, sussiste un quadro di elementi a carico del soggetto, la cui rilevanza anche in sede civile ed amministrativa, è data in questo caso per presupposta.

L’art. 335 ter c.p.p

L’art. 335 ter c.p.p. prevede che il giudice per le indagini preliminari, quando deve compiere un atto del procedimento, se ritiene che il reato per cui si procede debba essere attribuito a una persona che non è stata ancora iscritta nel registro delle notizie di reato, sentito il P.M., ordina a quest’ultimo di procedere all’iscrizione.

Il P.M. dovrà procedere all’adempimento, indicando, peraltro, la data a partire dalla quale decorrono i termini per le indagini.

L’interessato può comunque promuovere il procedimento di cui all’art. 335 quater c.p.p., volto a verificare la tempestività della iscrizione (art. 335 ter, ul. co.).

Di non agevole identificazione è l’interlocuzione che potrà avvenire tra gip e P.M. specialmente quando quest’ultimo non concordi con il primo sulla iscrizione. Invero, la norma è piuttosto chiara sia nel prevedere l’obbligo per il Gip di sentire il P.M., sia per quest’ultimo l’obbligo di procedere con l’iscrizione quando il Gip non abbia, se del caso, concordato con l’eventuale parere contrario  espresso in sede di interlocuzione dal P.M. che in sostanza non avrà altra scelta che conformarsi all’ordine del giudice, con tutte le conseguenze del caso in punto di inutilizzabilità degli atti adottati dopo la retrodatazione della iscrizione ordinata dal Gip. L’assenza di rimedi a disposizione del P.M. per contestare la decisione del Gip rimane una seria criticità in considerazione della centralità della iscrizione ai fini della validità degli atti d’indagine posti in essere e della loro successiva utilizzabilità.

L’art. 335 quater c.p.p.

La disposizione intitolata “Accertamento della tempestività dell’iscrizione nel registro delle notizie di reato” prevede che l’indagato possa chiedere al giudice di accertare la tempestività dell’iscrizione nel registro di cui all’articolo 335 della notizia di reato che lo riguarda e del suo nome, con richiesta di retrodatazione che indichi, a pena di inammissibilità, le ragioni che la sorreggono e gli atti del procedimento dai quali è desunto il ritardo.

La retrodatazione è disposta dal giudice quando il ritardo è inequivocabile e non è giustificato (co. 2). La richiesta di retrodatazione deve essere proposta, a pena di inammissibilità, entro venti giorni da quello in cui la persona sottoposta alle indagini ha avuto facoltà di prendere conoscenza degli atti che dimostrano il ritardo nell’iscrizione. Ulteriori richieste sono ammissibili soltanto se proposte nello stesso termine e fondate su atti diversi, in precedenza non conoscibili (co. 3). La richiesta è proposta al giudice che procede o, nel corso delle indagini preliminari, al giudice per le indagini preliminari.

La procedura in esame sarà dunque in concreto esperibile solo laddove ricorrano le due condizioni indicate normativamente, del carattere inequivocabile e non giustificato del ritardo nella iscrizione. In sostanza occorre, per un verso, che siano emersi dagli atti indizi a carico dell’indagato in epoca antecedente alla sua formale iscrizione, e, per altro verso,  che il ritardo nell’iscrizione non possa ritenersi giustificato, dovendo quindi lo stesso ascriversi alla condotta colposa o dolosa del pubblico ministero.

La soluzione individuata dal legislatore del decreto appare in ogni caso problematica perché suscettibile di determinare una situazione di grave incertezza, potenzialmente destinata a protrarsi nel futuro giudizio, considerato che l’interessato può proporre la questione anche in dibattimento.

III. Le indagini preliminari.

Si provvederà di seguito ad illustrare le novità normative introdotte dal decreto legislativo in commento con riferimento specifico alla durata delle indagini preliminari, al regime della proroga e ai rimedi previsti per velocizzare l’assunzione da parte del Pubblico ministero delle proprie determinazioni in ordine all’esercizio o meno dell’azione penale, riservando le consideraizoni critiche all’ultimo paragrafo.

Le modifiche apportate agli artt. 405 e 406 c.p.p.

Il decreto legislativo in commento ha  previsto che il termine di durata delle indagini preliminari sia fissato in sei mesi per i reati contravvenzionali, in un anno per la generalità dei reati e in un anno e sei mesi per i reati di cui al citato art. 407, co. 2, lett.a) c.p.p.

Con riferimento alla proroga delle indagini  il nuovo art. 407 dispone che “il pubblico ministero possa chiedere al giudice la proroga dei termini di cui all’articolo 405 del codice di procedura penale una sola volta, prima della scadenza di tali termini, per un tempo non superiore a sei mesi, quando la proroga sia giustificata dalla complessita’ delle indagini”.

Per i reati “ordinari” e per quelli di cui all’art. 407 comma 2 lett. a) il termine massimo di durata delle indagini preliminari rimane, pertanto, inalterato rispetto al sistema vigente, essendo fissato rispettivamente in 18 mesi per la prima categoria di reati ed in due anni per la seconda, mentre una netta riduzione opera, come anticipato, per i reati contravvenzionali rispetto ai quali opera il breve termine di sei mesi di durata ordinaria delle indagini, prorogabile per una sola volta fino ad un anno.

Attesa la complessità investigativa connessa ad alcune fattispecie contravvenzionali ed il fatto che stante la scarsità di risorse ed il carico gravante sugli uffici requirenti, è del tutto verosimile che i criteri di priorità di trattazione degli affari privilegino il contrasto a fenomeni criminali connotati da maggiore gravità, è probabile che le indagini relative alle fattisepcie di reato in questione risultino sacrificate. Non può pertanto condividersi l’abbreviazione del termine di durata delle indagini previsto per dette fattispecie di reato.

Le modifiche apportate all’art. 407 c.p.p.

L’attuale comma 3 bis del’art. 407 c.p.p. prevede che il pubblico ministero eserciti l’azione penale o richieda l’archiviazione entro il termine di tre mesi decorrenti dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini preliminari e comunque dalla scadenza dei termini previsti dall’art. 415 bis c.p.p. Il comma contempla, inoltre, la possibilità, per i casi di cui alla lettera b) del comma 2 dell’art. 407 c.p.p. – ovvero il caso di notizie di reato che rendono particolarmente complesse le investigazioni per la molteplicità dei fatti tra loro collegati ovvero per l’elevato numero di persone sottoposte alle indagini o di persone offese – che il procuratore generale presso la corte d’appello, su richiesta presentata dal pubblico ministero prima della scadenza, proroghi, con decreto motivato il termine, per non più di tre mesi dandone notizia la procuratore della repubblica.

La norma in parola fissa poi il termine entro il quale esercitare l’azione penale o richiedere l’archiviazione per i reati di cui al comma 2, lett. a) numeri 1, 3 e 4 in quindici mesi. Nel caso in cui il pubblico ministero non abbia assunto le proprie determinazioni entro il termine stabilito, il pubblico ministero deve darne comunicazione al procuratore generale presso la corte d’appello.

Il decreto legislativo in commento ha abrogato i commi 3 e 3 bis dell’art. 407 c.p.p. ed ha inserito nel codice di procedura penale un nuovo art. 407 bis c.p.p., intitolato “Inizio dell’azione penale. Forme e termini”, il cui comma 1 riporta sostanzialmente il contenuto del primo comma dell’art. 405 c.p.p., abrogato, poiché prevede che il pubblico ministero quando non deve chiedere l’archiviazione, esercita l’azione penale, formulando l’imputazione nei casi e modi previsti nei titoli II, III, IV, V e Vbis del libro VI ovvero con richiesta di rinvio a giudizio; il comma 2 del nuovo art. 407 bis c.p.p. riprende, invece, il contenuto dell’abrogato art. 407 comma 3 bis c.p.p., prevedendo che il pubblico ministero esercita l’azione penale o chiede l’archiviazione entro il termine di tre mesi dalla scadenza del termine di cui all’art. 405, comma 2 c.p.p. (6 mesi per le contravvenzioni, 1 anno per la generalità dei reati ed 1 anno e sei mesi per i reati di cui all’art. 407, comma 2, lett. a), o se ha già notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari , entro tre mesi dalla scadenza dei termini di cui all’art. 415 bis, commi 3 e 4 c.p.p.

Mentre, come si è già evidenziato, l’abrogato comma 3 bis dell’art. 407 c.p.p. individuava un termine più lungo di 15 mesi per i soli reati di cui alla lettera a) del comma 2 dell’art. 407 c.p.p., la disposizione in commento riduce tale termine a 9 mesi, estendendone però l’applicabilità a tutti i reati previsti dal comma 2 dell’art. 407 c.p.p.

Le modifiche apportate agli artt. 407 bis, 415 bis, 415 ter c.p.p.

Con riguardo alla individuazione di meccanismi idonei a superare l’eventuale stallo dovuto al mancato esercizio dell’azione penale, alla mancata richiesta di archiviazione del procedimento o alla mancata notifica dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p. entro i termini individuati dal legislatore, il nuovo art. 407 bis prevede che, decorsi inutilmente detti termini, il procuratore generale presso la corte d’Appello possa disporre l’avocazione delle indagini preliminari.

Mentre l’art. 412 c.p.p. nella versione vigente prevede l’avocazione obbligatoria da parte del Procuratore per le due ipotesi di mancato esercizio dell’azione penale e della mancata richiesta di archiviazione nel termine suddetto, il decreto legislativo la rende facoltativa, ma vi include anche l’ipotesi, prima assente, della mancata notifica dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p. nei termini anzidetti.

Quanto alle nuove disposizioni in tema di avviso di conclusione delle indagini preliminari, per temperare le conseguenze del meccanismo sanzionatorio previsto per il caso in cui il pubblico ministero rimanga inerte, nonostante la decorrenza del termine di tre mesi dallo spirare dei termini massimi di conclusione delle indagini, lo schema di decreto prevede, al comma di nuova introduzione 5 bis dell’art. 415 bis c.p.p., che, prima della scadenza del termine di conclusione delle indagini, lo stesso possa presentare al Procuratore generale presso la Corte d’appello una richiesta motivata di differimento del termine di notifica dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p. nella ricorrenza di una serie di ipotesi espressamente individuate (quando sia stata avanzata richiesta di misura cautelare ed il gip non abbia ancora provveduto; quando la misura disposta dal giudice non sia stata ancora eseguita; quando la conoscenza degli atti d’indagine conseguente alla notifica dell’avviso, possa concretamente mettere in pericolo la vita di una persona o la sicurezza dello Stato ovvero, nei procedimenti ex art. 407 comma 2 c.p.p. arrecare un concreto pregiudizio, non evitabile attraverso la separazione dei procedimenti o in altro modo, per atti o attività d’indagine, rispetto ai quali non siano scaduti i termini indagine e che siano diretti all’accertamento dei fatti, alla individuazione o alla cattura dei responsabili o al sequestro di denaro, beni o altre utilità di cui è obbligatoria la confisca).

Il comma 5 ter prevede, poi, che il Procuratore generale nei venti giorni successivi al deposito di detta richiesta di differimento, autorizzi, nella ricorrenza dei presupposti, il differimento “per il tempo strettamente necessario” o comunque per un tempo massimo di sei mesi o di un anno se si proceda per i reati di cui al comma 2 dell’art. 407 c.p.p..

Laddove, invece, il procuratore ritenga di non dover autorizzare il differimento, ordina al procuratore della repubblica di procedere con la notifica ex art. 415 bis c.p.p.

Con il comma 5 quater dell’art. 415 bis c.p.p., si prevede, infine, che, alla scadenza dei termini di cui all’art. 407 bis comma 2 c.p.p., se il pubblico ministero non ha esercitato l’azione penale o non ha richiesto l’archiviazione, l’indagato e la persona offesa, possano avanzare al giudice richiesta di ordinare al pubblico ministero di assumere le determinazioni sull’azione penale. Su tale richiesta, il giudice provvede nei venti giorni successivi con decreto motivato: in caso di accoglimento, il giudice ordina al procuratore di assumere le determinazioni entro un termine non superiore a venti giorni.

Spetta poi al pubblico ministero dare conto di quanto effettuato, trasmettendo copia dei provvedimenti assunti al giudice e al procuratore generale ai sensi del nuovo comma 5 quinquies dell’art. 415 bis c.p.p.

Completa il quadro delle novità introdotte dal legislatore per garantire certezza alla durata delle indagini preliminari e all’assunzione delle determinazioni del pubblico ministero in ordine all’esercizio dell’azione penale, il nuovo art. 415 ter c.p.p., rubricato “diritti e facoltà dell’indagato e della persona offesa in caso di inosservanza dei termini per la conclusione delle indagini preliminari”.

In sostanza, se il P.M. non ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, non ha esercitato l’azione penale o non ha avanzato richiesta di archiviazione, nei termini di cui all’art. 407 bis comma 2 c.p.p., opera una discovery automatica delle indagini effettuate, per il tramite del deposito obbligatorio della relativa documentazione presso la segreteria del P.M., con facoltà dell’indagato e della persona offesa di esaminarla ed estrarne copia.

Il PM. dovrà anche provvedere “immediatamente” a notificare all’indagato e alla persona offesa che abbia chiesto di esserne informata della conclusione delle indagini, l’avviso di deposito di detta documentazione. Anche copia di questo avviso deve essere comunicato al procuratore generale.

Il comma 2 del’art. 415 ter c.p.p. attribuisce al Procuratore generale un’ulteriore competenza: quando siano decorsi dieci giorni dalla scadenza dei termini di cui all’art. 407, comma 2 c.p.p. senza che abbia ricevuto la comunicazione dell’avvenuto deposito della documentazione relativa alle indagini espletate, se non dispone l’avocazione delle indagini, ordina con decreto motivato al Procuratore della Repubblica di provvedere alla notifica di detto avviso entro un termine non superiore a venti giorni.

Se dalla notifica dell’avviso indicato al comma 1 o del decreto indicato al comma 2 è decorso un termine pari a un mese senza che il pubblico ministero abbia assunto le determinazioni sull’azione penale, la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa possono chiedere al giudice di ordinare al pubblico ministero di provvedere. Il termine è pari a tre mesi nei casi di cui all’articolo 407, comma 2 c.p.p.. Si applicano il secondo, il terzo e il quarto periodo del comma 5 quater nonché il comma 5 quinquies dell’articolo 415-bis c.p.p..

Quando, in conseguenza dell’ordine emesso dal giudice, è notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, i termini di cui all’articolo 407 bis, comma 2, sono ridotti di due terzi.

Il decreto legislativo fa salva la possibilità che, prima della scadenza dei termini previsti dall’articolo 407 bis, comma 2 c.p.p., quando ricorrono le circostanze di cui al comma 5 bis dell’articolo 415 bis c.p.p. di cui si è già sopra riferito (pendenza della richiesta di misura cautelare, mancata esecuzione della misura già concessa, pericolo per la vita di una persona o per la sicurezza dello Stato, pericolo di pregiudicare le indagini per i reati di cui all’art. 407 comma 2 c.p.p.), il pubblico ministero possa presentare richiesta motivata di differimento della notifica del deposito dell’avviso di cui al comma 1 al procuratore generale. Sulla richiesta il Procuratore generale provvede ai sensi del comma 5 ter dell’articolo 415 bis. Le disposizioni del presente comma non si applicano quando il pubblico ministero ha già presentato la richiesta di differimento prevista dal comma 5 bis dell’articolo 415 bis c.p.p. (comma 4 dell’art. 415 ter c.p.p.).

Le modifiche apportate all’art. 127 disp. att. c.p.p.

Integra il quadro appena descritto il nuovo testo dell’art. 127 disp. att. c.p.p., recante “Comunicazione delle notizie di reato al Procuratore generale” che prevede che debbano essere trasmessi dalle segreterie delle Procure “i dati di cui al comma 3 relativi ai procedimenti di seguito indicati, da raggrupparsi in distinti elenchi riepilogativi:

a) procedimenti nei quali il pubblico ministero non ha disposto la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, né ha esercitato l’azione penale o richiesto l’archiviazione, entro i termini previsti dagli articoli 407-bis, comma 2, del codice;

b) procedimenti nei quali il pubblico ministero non ha assunto le determinazioni sull’azione penale nei termini di cui all’articolo 415-ter, comma 3, primo e secondo periodo del codice;

c) procedimenti, diversi da quelli indicati alle lettere b) e c), nei quali il pubblico ministero, non ha esercitato l’azione penale, né richiesto l’archiviazione, entro i termini previsti dagli articoli 407-bis, comma 2, e 415-ter, comma 3, quarto periodo.

2. Per ciascuno dei procedimenti di cui al comma 1, lettera a), è specificato se il pubblico ministero ha formulato la richiesta di differimento di cui al comma 5-bis dell’articolo 415-bis del codice e, in caso affermativo, se il procuratore generale ha provveduto sulla richiesta e con quale esito.

3. Per ciascuno dei procedimenti indicati al comma 1, la segreteria del pubblico ministero comunica:

a) le generalità della persona sottoposta alle indagini o quanto altro valga a identificarla;

b) il luogo di residenza, dimora o domicilio della persona sottoposta alle indagini;

c) le generalità della persona offesa o quanto altro valga a identificarla;

d) il luogo di residenza, dimora o domicilio della persona offesa;

e) i nominativi dei difensori della persona sottoposta alle indagini e della persona offesa e i relativi recapiti;

f) il reato per cui si procede, con indicazione delle norme di legge che si assumono violate, nonché, se risultano, la data e il luogo del fatto”.

IV. Osservazioni critiche

Con riguardo alle modifiche apportate agli artt. 405 e 406 c.p.p. sono apprezzabili le disposizioni volte a razionalizzare i termini di durata delle indagini, anche attraverso la riduzione delle proroghe, dovendosi, tuttavia, segnalare sia la problematicità della riduzione del termine di durata delle indagini relative alle contravvenzioni per le ragioni già illustrate; sia, in generale, della possibilità di chiedere l’unica proroga delle indagini nel solo caso in cui rilevino indagini complesse e non anche quando sussistano elementi che rendono oggettivamente impossibile concluderle nei termini di legge, come attualmente previsto dall’art. 406, co. 2 c.p.p.

Con riguardo, invece, alle disposizioni concernenti la velocizzazione delle indagini preliminari e della fase ad esse successiva, le soluzioni individuate dal decreto per ridurre i tempi intercorrenti tra il decorso del termine di durata massima delle indagini e l’assunzione da parte del P.M. delle decisioni in merito all’esercizio dell’azione penale, implicanti la osservanza di rigide tempistiche, pena l’avocazione delle indagini e la discovery obbligata, appaiono assai problematiche, poichè non paiono tenere conto del reale carico di lavoro gravante sugli uffici requirenti, nè sembrano adeguate a soddisfare l’obiettivo dichiarato di garantire i cittadini dallo svolgimento di indagini non indispensabili, non pertinenti ed eccessivamente lunghe

Sotto il primo profilo, occorre infatti tenere conto delle concrete condizioni di lavoro delle Procure della Repubblica e del numero di affari, ammontanti assai spesso, almeno in molti uffici di dimensione medio piccola, a centinaia se non a migliaia di procedimenti penali assegnati a ciascun sostituto. Un tale carico di lavoro molto difficilmente consentirà di poter monitorare costantemente, oltre ai termini di scadenza delle indagini preliminari e delle eventuali misure cautelari concesse dal GIP, anche i procedimenti nei quali il pubblico ministero non ha disposto la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, né ha esercitato l’azione penale o richiesto l’archiviazione, entro i termini previsti dagli articoli 407-bis, comma 2, del codice; i procedimenti nei quali il pubblico ministero non ha assunto le determinazioni sull’azione penale nei termini di cui all’articolo 415-ter, comma 3, primo e secondo periodo e i procedimenti, diversi da quelli appena indicati, nei quali il pubblico ministero, non ha esercitato l’azione penale, né richiesto l’archiviazione, entro i termini previsti dagli articoli 407-bis, comma 2, e 415-ter, comma 3, quarto periodo.

Realisticamente gli uffici requirenti, già sforniti di risorse amministrative e di polizia giudiziaria a disposizione dei sostituti procuratori, saranno quindi impegnati nei prossimi mesi soprattutto ad esaminare tutti i procedimenti pendenti presso ogni sostituto procuratore, al fine di catalogarli e suddividerli nelle categorie di cui si è appena detto, per poter redigere gli elenchi, previsti dal nuovo art. 127 disp. att. c.p.p., da trasmettere ogni settimana al procuratore generale presso la corte di appello.

Con riferimento al secondo profilo, le disposizioni del decreto delegato, non sembrano avere nemmeno individuato un mezzo per offrire all’indagato e alla persona offesa maggiori garanzie e diritti, dovendo l’avviso di deposito degli atti d’indagine di cui all’art. 415 ter c.p.p. essere notificato al solo indagato e alla persona offesa, senza però che tutto il materiale probatorio acquisito all’esito delle indagini preliminari, sia stato preliminarmente trasfuso in un atto del pubblico ministero in cui quest’ultimo, neppure in forma tratteggiata, abbia già compiuto una valutazione di esso, prospettando eventuali ipotesi accusatorie a carico dell’indagato ed indicando le fonti di prova a supporto di esse, così rendendo leggibili gli atti investigativi compiuti.

Il differimento della discovery per esigenze investigative è peraltro possibile solo nelle limitate ipotesi previste dall’art. 415 ter co. 4 c.p.p.[1] limitatamente  ai soli casi in cui si proceda per taluno dei delitti di cui all’art 407 comma 2 c.p.p.

A prescindere dalle predette osservazioni, non può non cogliersi il paradosso di avere introdotto nell’ordinamento, quale rimedio per la presunta inerzia del pubblico ministero, con il fine dichiarato di rafforzare la tutela degli interessi di natura ‘pubblicistica’ sottesi all’esercizio della funzione requirente, una ‘sanzione’ – quale la discovery così come configurata – che di fatto, limitando drasticamente le possibilità di azione della Procura, finisce proprio con il precludere il pieno soddisfacimento di quegli stessi interessi, consistenti  per l’appunto nella necessità di accertare la fondatezza della notizia di reato e di individuare il soggetto cui il reato sia attribuibile.

Perplessità suscitano, inoltre, anche le previsioni di cui al citato comma 5 quater dell’art. 415 bis c.p.p. e comma 3 dell’art. 415 ter c.p.p., che introducono la figura della “messa in mora” del pubblico ministero: nel primo caso, infatti, è previsto che quest’ultimo, una volta notificato l’avviso di deposito degli atti di cui si è detto, debba presentare richiesta di archiviazione o esercitare l’azione penale «entro il termine di trenta giorni dalla presentazione della richiesta del difensore della persona sottoposta alle indagini o della parte offesa»; nel secondo caso, invece, quando sia decorso un mese dalla notifica dell’avviso di deposito degli atti delle indagini ai sensi dell’art. 415 ter comma 1 c.p.p. ovvero dal decreto con cui il Procuratore generale abbia ordinato di procedere alla notifica di detto avviso, senza che il P.M. abbia assunto le proprie determinazioni in ordine al’azione penale, l’indagato o la persona offesa possono chiedere al giudice di ordinare al pubblico ministero di provvedere.

Non essendo prevista, infatti, dalle citate norme, l’intermediazione del difensore nell’instaurare il dialogo con la Procura, la norma è destinata ad aprire la strada ad una interlocuzione diretta tra le parti e le segreterie dei sostituti procuratori, difficilmente praticabile in concreto e finanche critica in ragione della delicatezza delle funzioni requirenti e della necessità di tutelare l’attività e la persona dei sostituti procuratori.

Assai problematiche appaiono, poi, le nuove attribuzioni del Procuratore generale il quale, è già titolare di una serie di complesse funzioni[2] e dovrà d’ora in poi, oltre ad assumere le proprie determinazioni in ordine all’avocazione delle indagini ai sensi del nuovo art. 412 c.p.p.: decidere, ai sensi dell’art. 415 bis, comma 5 bis c.p.p., sulla richiesta di differimento della notifica dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p. avanzata dal P.M.; ricevere ex art. 415 bis, comma 5 quinquies dal P.M. copia dei provvedimenti assunti all’esito dell’ordine di procedere ad assumere le determinazioni in ordine all’esercizio dell’azione penale; ordinare ai sensi dell’art. 415 ter comma 2 al P.M. di procedere alla notifica dell’avviso di deposito delle indagini quando questi non abbia provveduto ad assumere determinazioni sull’esercizio dell’azione penale decorsi i termini di legge; decidere ai sensi dell’art. 415 ter, comma 4 sulla richiesta di differimento del termine per depositare gli atti d’indagine; ricevere, in virtù del nuovo art. 127 disp. att. c.p.p., direttamente dalle segreterie dei sostituti procuratori, e dunque senza l’intermediazione del Procuratore della Repubblica di riferimento, gli elenchi riepilogativi dei procedimenti di cui si è detto.

Tale ultimo aspetto, non considerato dal legislatore, pare destinato a generare confusione nel rapporto tra Procuratore generale, procuratore della Repubblica e singolo sostituto.

Considerato quanto sopra esposto, si conferma che le disposizioni del decreto delegato, pur adottate nell’intento di voler snellire e velocizzare la fase conclusiva delle indagini preliminari, finiranno con ogni verosimiglianza con il produrre l’effetto opposto, di aggravare considerevolmente l’attività degli Uffici requirenti, che, sia in primo che in secondo grado, saranno obbligati, come si è detto, massicciamente nei prossimi mesi, ad impiegare le proprie (scarse) risorse non nello svolgimento di attività tipicamente giudiziaria, quanto nell’esecuzione di un’attività amministrativa di catalogazione degli atti relativi a migliaia di procedimenti penali e di trasmissione delle informazioni relative alle indagini. Le criticità persisteranno anche in futuro se le sopravvenienze continueranno a presentare i numeri attuali poichè l’attività di catalogazione dei procedimenti continuerà ad impegnare molte risorse.   

Il punto debole della disciplina in esame sembra peraltro quello di avere previsto rimedi e sanzioni ai ritardi maturati nel corso delle indagini preliminari, pensati avendo di mira, come già evidenziato, per un verso, un Ufficio requirente ideale che gestisce un carico di lavoro modesto, e, per altro verso, fondati sull’assunto irrealistico che il pubblico ministero sia l’unico dominus della sorte del procedimento penale, laddove è evidente che l’osservanza della tempistica delineata dal legislatore presuppone numeri diversi ed incommensurabilmente più contenuti degli attuali ed il funzionamento ottimale sia dell’ufficio in cui il singolo magistrato requirente è inserito, sia del complessivo “sistema” del procedimento e del processo penale.

Non può quindi che auspicarsi conclusivamente che il legislatore prenda atto della realtà ed accompagni presto alle novità introdotte, l’individuazione di rimedi realmente strutturali ed idonei a sgravare gli uffici requirenti da un carico di lavoro che rende, di fatto, arduo il confrontarsi realisticamente con i tempi previsti per lo svolgimento delle indagini preliminari e per la loro conclusione. Ciò anche per scongiurare l’abbandono del modello di magistrato requirente disegnato dal costituente come partecipe della cultura della giurisdizione, impegnato sempre e prima di tutto nello studio approfondito delle fattispecie e nella seria ponderazione delle decisioni da adottare, senza essere costretto a privilegiare la frettolosa definizione dei procedimenti penali, allo scopo di garantire l’osservanza di tempistiche dettate in astratto dal legislatore.


[1] a) quando è stata richiesta l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere o degli arresti domiciliari e il giudice non ha ancora provveduto o quando, fuori dai casi di latitanza, la misura applicata non è stata ancora eseguita; b) quando la conoscenza degli atti d’indagine può concretamente mettere in pericolo la vita o l’incolumità di una persona o la sicurezza dello Stato ovvero, nei procedimenti per taluno dei delitti indicati nell’articolo 407, comma 2, arrecare un concreto pregiudizio, non evitabile attraverso la separazione dei procedimenti o in altro modo, per atti o attività di indagine specificamente individuati, rispetto ai quali non siano scaduti i termini di indagine e che siano diretti all’accertamento dei fatti, all’individuazione o alla cattura dei responsabili o al sequestro di denaro, beni o altre utilità di cui è obbligatoria la confisca.

[2] inerenti innanzitutto alla direzione e alla gestione anche amministrativa dell’ufficio; alla decisione sulle richieste di astensione, ai contrasti di competenza di cui all’art. 54 e segg. c.p.p. e alle richieste di trasmissione degli atti ad un diverso P.M., di cui all’art. 54 quater, c.p.p.; alla cura dei rapporti esterni concernenti gli uffici del pubblico ministero; al coordinamento, ai sensi dell’118 bis disp. att. c.p.p., delle indagini riguardanti i reati di cui all’art. 407, comma 2, lett.a) c.p.p. e a desercitare le attività di vigilanza e controllo previste dall’art. 6 d.lgs. 20.02.2006, n. 106.

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