Con la sentenza n. 86 del 2024, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale “dell’art. 628, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando “per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità” (si noti che il dispositivo riproduce, alla lettera, il disposto dell’art. 311 c.p.).

Il Giudice delle leggi è pervenuto a tale esito (come già era avvenuto nella sentenza n. 120 del 2023 relativa ad analoga questione relativa al reato di estorsione) sulla base del rilievo che gli interventi di inasprimento sanzionatorio che si sono succeduti nel tempo in relazione alla fattispecie di rapina non hanno previsto una “valvola di sicurezza” che consenta al giudice di moderare la pena, onde adeguarla alla gravità concreta del fatto estorsivo, in modo da evitare l’irrogazione di una sanzione non proporzionata ogni qual volta il fatto medesimo si presenti totalmente immune dai profili di allarme sociale che hanno indotto il legislatore a stabilire per questo titolo di reato un minimo edittale di notevole asprezza.

La sentenza n. 86 del 2024, sul solco della precedente sentenza n. 120 del 2023, ha precisato che “in presenza di una fattispecie astratta connotata, come detto, da intrinseca variabilità atteso il carattere multiforme degli elementi costitutivi «violenza o minaccia», «cosa sottratta», «possesso», «impunità», e tuttavia assoggettata a un minimo edittale di rilevante entità, il fatto che non sia prevista la possibilità per il giudice di qualificare il fatto reato come di lieve entità in relazione alla natura, alla specie, ai mezzi, alle modalità o circostanze dell’azione, ovvero alla particolare tenuità del danno o del pericolo, determina la violazione, ad un tempo, del primo e del terzo comma dell’art. 27 Cost.”

Ciò premesso, al fine di verificare la compatibilità di tale diminuente con quella già presente nel codice civile relativa al “danno di speciale tenuità”, appare opportuno confrontare il dispositivo della pronuncia citata con il disposto dell’art. 62 n. 4 cod. pen: il primo ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, primo comma, cod. pen., nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità”; il secondo prevede, quale attenuante speciale “avere nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità, ovvero, nei delitti determinati da motivi di lucro, l’avere agito per conseguire o l’avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità”.

E’ interessante notare che nell’ordinanza di rimessione, per come riportata in sentenza, il Tribunale di Cuneo aveva anche rilevato che “la sproporzione del minimo edittale non potrebbe trovare rimedio nell’applicazione delle attenuanti generiche e dell’attenuante della speciale tenuità del danno patrimoniale, circostanze la cui finalità non è correggere l’eccessività della misura astratta di pena”, questione che non pare essere stata approfondita dalla Consulta (salvo quanto si dirà in seguito).

Ciò premesso, dall’analisi della sentenza della Consulta e del disposto dell’art. 62 n.4 cod. pen., si ricava che gli elementi che il giudice deve prendere in considerazione sono due: “la particolare tenuità del danno o del pericolo” (sentenza) cui corrisponde “il danno patrimoniale di speciale tenuità” (art. 62 n.4 cod. pen.), inteso come danno di natura esclusivamente patrimoniale, e la lieve entità del fatto derivante dalla “natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione” (sentenza) cui corrisponde “l’evento dannoso o pericoloso di speciale tenuità” (art. 62 n.4 cod. pen.),ove invece si ha riguardo anche alle conseguenze di natura non esclusivamente patrimoniale.

A questo punto, diversi sono gli scenari che si possono prefigurare; la giurisprudenza della cassazione è ormai costante nel sostenere che se non è stata concessa l’attenuante di cui all’art. 62 n.4, non potrà trovare applicazione neppure la diminuente prevista dalla sentenza della Corte Costituzionale più volte citata; ciò in quanto si è più volte ribadito che ai fini della configurabilità dell’attenuante del danno di speciale tenuità con riferimento al delitto di rapina, non è sufficiente che il bene mobile sottratto sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia, attesa la natura plurioffensiva del delitto “de quo”, il quale lede non solo il patrimonio, ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale della persona aggredita per la realizzazione del profitto. Ne consegue che, solo ove la valutazione complessiva del pregiudizio sia di speciale tenuità può farsi luogo all’applicazione dell’attenuante(vedi Sez. 2, n. 50987 del 17/12/2015, Rv. 265685 – 01); se quindi si è esclusa la possibilità di concedere l’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p., tale valutazione rende incompatibile la concessione della diminuente (vedi, da ultimo, Sez.2 n. 42846 del 17/10/2024, n.m.)

Vi è ora da chiedersi se, nel diverso caso in cui sia stata concessa l’attenuante di cui all’art. 62 n.4 cod. pen., possa trovare applicazione anche la diminuente prevista dalla Corte Costituzionale.

Si potrebbe sostenere che se la valutazione del giudice che ha concesso l’attenuante di cui all’art. 62 n.4 c. p. non ha investito tutti e due gli aspetti sopra evidenziati, ben potrebbe essere concessa anche la diminuente prevista dalla sentenza della Corte Costituzionale; in altri termini, se si è valutato solo l’aspetto patrimoniale del danno, anche la diminuente può essere concessa, nel caso in cui il danno procurato o le modalità dell’azione non siano state particolarmente gravi; tale soluzione troverebbe anche un appiglio nel fatto che la Consulta si è pronunciata a seguito di un’ordinanza di rimessione che, come già detto, sollevava espressamente il problema che la sproporzione del minimo edittale non poteva trovare rimedio nell’applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p.

Altra soluzione fa invece leva sul fatto che anche nell’art. 62 n. 4 c.p. l’attenuante non ha ad oggetto soltanto la sfera patrimoniale della vittima, in quanto può essere concessa “nei delitti determinati da motivi di lucro” (quale la rapina) “l’avere agito per conseguire o l’avere comunque conseguito un lucro di speciale tenuità, quando anche l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale tenuità”; pertanto, con la concessione dell’attenuante il giudice ha già valutato il danno sia patrimoniale che non patrimoniale arrecato alla persona offesa, e quindi non vi sarebbe spazio per la concessione anche della diminuente, in quanto verrebbero valutati due volte i medesimi presupposti.

A sostegno di tale soluzione potrebbe essere richiamata la giurisprudenza formatasi in materia di concorso dell’attenuante di cui all’art. 62 n.2 (ora 4) c,p,  con quella prevista dall’art. 648 comma 4 c.p., che prevede una pena edittale più bassa “se il fatto è di particolare tenuità”; si è affermato che (Sez.2, n. 2890 del 15/11/2019, dep. 24/01/2020, Diop, Rv. 277963): a) ove il danno patrimoniale superi la soglia della speciale tenuità, va esclusa sia l’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p. sia quella di cui all’art. 648 comma 2 c.p., perché il fatto, per assioma, non può essere considerato di particolare tenuità in considerazione dell’entità e qualità della res provento da delitto; b) ove il danno patrimoniale sia di speciale tenuità e si accerti che anche il fatto sia di particolare tenuità sotto il profilo soggettivo (personalità del reo – modalità dell’azione), va riconosciuta la sola ipotesi di cui all’art. 648 comma 2 c.p., rimanendo in essa assorbita l’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p; c) ove il danno patrimoniale sia di speciale tenuità, ma il giudice appuri che il fatto, sia pure sotto il solo profilo soggettivo (personalità del reo – modalità dell’azione), non sia di particolare tenuità, deve essere concessa la sola attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p., che, essendo di natura oggettiva, ove sussistente, deve essere riconosciuta indipendentemente dal comportamento tenuto, nella singola fattispecie, dall’agente. In altri termini, l’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, c.p. e l’attenuante di cui all’art. 648, secondo comma, c.p. non possono essere concesse contemporaneamente in quanto, ove il giudice ritenga sussistente l’ipotesi attenuata del fatto di particolare tenuità di cui all’art. 648, secondo comma, c.p., l’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, c.p. rimane in essa assorbita. Al contrario, ove ne sussistano i presupposti giuridici e fattuali, la suddetta attenuante può essere riconosciuta nella sola ipotesi in cui il giudice escluda la configurabilità dell’attenuante del fatto di particolare tenuità di cui all’art. 648, secondo comma, c.p. sotto il profilo della componente soggettiva del fatto.

Non risultano ad oggi massime relative a sentenze che abbiano affrontato questo specifico aspetto, ma è altamente prevedibile una risposta a breve della cassazione.

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