Sommario: 1. La memoria come continuità dell’impegno – 2. Il “metodo Chinnici” – 3. Proiezioni europee del “metodo Chinnici” – 4. Sfide e prospettive future
1. La memoria come continuità dell’impegno
«Nella giustizia italiana c’è un prima e c’è un dopo. La linea di confine è segnata dal 1980. All’inizio di quell’anno, il 28 gennaio, Rocco Chinnici viene nominato capo dell’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo»[1]. Succedendo in quel ruolo a Cesare Terranova, assassinato dalla mafia il 25 settembre 1979, Rocco Chinnici, mio padre, si fece infatti fautore di «una vera e propria rivoluzione»[2] nel contrasto alla criminalità organizzata di tipo mafioso. Consapevole dell’estrema complessità del fenomeno, mettendo a frutto quello che è stato definito come il suo «pensiero divergente»[3], promosse un sistema di contrasto altrettanto complesso, che muoveva dal presupposto per cui le indagini di mafia non potessero condursi separatamente, sui singoli reati e le singole vicende, ma ciascun reato e ciascuna vicenda doveva essere indagata e analizzata in relazione e in connessione agli altri e alle altre.
E così Rocco Chinnici chiamò a sé Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e Giuseppe Di Lello, istituendo quello che, dopo la sua morte, sotto la guida di Antonino Caponnetto avrebbe preso il nome di “pool antimafia”: un gruppo di giudici specializzati, cui affidare tutte le indagini su fatti di mafia, perché queste potessero condursi in modo accentrato, coordinato e con un continuo scambio di informazioni all’interno del nascente pool. Vennero così realizzati i presupposti di quelli che si sarebbero caratterizzati come i più grandi processi per mafia degli anni Ottanta, primo fra tutti il cosiddetto processo dei 162, embrione del maxi-processo, che sarebbe stato celebrato dopo la sua morte.
Una rivoluzione, evidentemente, ben colta dalla stessa consorteria mafiosa, che il 29 luglio 1983, in via Giuseppe Pipitone Federico a Palermo, decise di compiere un ulteriore, drammatico “salto di qualità” nella sua strategia di attacco allo Stato e alle istituzioni. Oltre a Cesare Terranova, Cosa nostra aveva già assassinato il Presidente della Regione Piersanti Mattarella, il Procuratore della Repubblica di Palermo Gaetano Costa, l’Onorevole Pio La Torre e il Prefetto di Palermo Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. La mafia militarizzata, cioè, era già passata all’aggressione sistematica contro lo Stato, le istituzioni e gli uomini che le rappresentavano. Ma in quella mattina di fine luglio 1983, la mafia fece per la prima volta ricorso a veri e propri metodi terroristici e stragisti, facendo esplodere un’autobomba che trasformò Palermo in Beirut – come ebbe a titolare il giornale L’Ora – e che insieme a Rocco Chinnici uccise due uomini della sua scorta, il maresciallo dei Carabinieri Mario Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta, e il portiere dello stabile in cui abitava la mia famiglia, il signor Stefano Li Sacchi.
Una sorta di “prova generale” delle stragi che avrebbero poi drammaticamente segnato il 1992 e il 1993, in Sicilia e nel “continente”, con la quale la mafia volle tentare di arrestare quella “macchina da guerra”, come la definivano gli americani, che mio padre aveva messo in piedi per contrastare l’organizzazione criminale, uccidendone con modalità così barbariche l’ideatore.
Tentativo vano, perché così come il 3 settembre 1982 in via Isidoro Carini non morì la speranza dei palermitani onesti[4], allo stesso modo a distanza di quarant’anni l’eredità morale, umana e professionale di Rocco Chinnici è ancora viva e ben salda. Perché mio padre è appartenuto a quella ristretta “alleanza” di magistrati che dalla fine degli anni Settanta, studiando e comprendendo sempre più a fondo il fenomeno mafioso, togliendo il velo ai suoi intrecci con alta società, imprenditoria e politica, utilizzando metodi di indagine innovativi, alimentando un’esperienza giudiziaria di eccezionale valore ed efficacia, e anche indicando al legislatore la strada da percorrere, ha contribuito in modo determinante a costruire i pilastri dell’antimafia moderna. E, come testimoniato da Paolo Borsellino[5], quei magistrati hanno compiuto tutto ciò sfidando una “palude” di difficoltà, diffidenze, condizionamenti e pericoli, accomunati da un impegno straordinario, sorretto da una grande spinta morale, dall’alto senso del dovere, dello Stato e del bene collettivo, da solide capacità professionali, e poi da tanto, tanto coraggio. Tanto da andare incontro, consapevolmente, anche al pericolo per la propria vita.
In un’audizione tenutasi il 25 febbraio 1982 dinanzi al Consiglio Superiore della Magistratura – per partecipare alla quale dovette recarsi a Roma viaggiando sotto falso nome – riferendosi all’assassinio del Procuratore Costa, mio padre sottolineò proprio che Costa era stato ucciso «per aver voluto compiere il dovere di magistrato»[6]. E anche lui non smise mai di compiere il proprio dovere di magistrato, nonostante le minacce, nonostante quella palude di difficoltà.
Ho ancora davanti a me, e sempre avrò, l’immagine di mio padre che, testa alta, schiena dritta e valigetta in mano, si reca ogni mattina a svolgere il proprio lavoro. Un lavoro che ha compiuto non solo nelle aule, negli uffici, financo negli ascensori del Palazzo di giustizia[7], ma anche al di fuori di quei luoghi, nelle scuole e a contatto con i giovani, perché proprio dai giovani riteneva dovesse partire quel movimento delle coscienze, quel cambiamento culturale e di mentalità, indispensabile accanto all’azione normativa, investigativa e giudiziaria di contrasto alla criminalità organizzata.
E quel lavoro ha sempre svolto non solo con un altissimo senso dello Stato e delle istituzioni, ma anche con un profondissimo senso di giustizia e di umanità, tanto che per gli abitanti di Partanna, dove prestò servizio come pretore dal 1954 al 1966, è rimasto a lungo ‘u Preturi.
Ma soprattutto ha compiuto il suo dovere di magistrato con una capacità di visione e innovazione certamente non comune, e con le sue intuizioni normative, metodologiche, investigative ed operative ha dato l’avvio ad una stagione nuova, ad un cammino irreversibile che ha plasmato il sistema antimafia italiano, il quale oggi rappresenta una vera e propria eccellenza a livello mondiale.
Ecco perché il sacrificio di Rocco Chinnici, come quello di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, e degli altri magistrati, uomini e donne delle forze dell’ordine e rappresentanti delle istituzioni che nella lotta alla mafia hanno dato la propria vita, non è stato vano. Perché di tutti loro ci resta, come patrimonio comune da coltivare sempre, la Memoria.
Leggendo un recente scritto dell’amico e collega Antonio Balsamo[8], ho avuto modo di riflettere sui significati e sulle dimensioni della memoria. Ve ne sono almeno tre.
La memoria è anzitutto conoscenza e consapevolezza. È in secondo luogo verità e speranza, speranza come imperativo di non cedere mai alla rassegnazione, in cui mio padre indicava il pericolo più grande. Soprattutto, memoria è continuità: continuità dell’impegno, cioè consapevolezza dell’importanza di quanto fatto sin ora, delle esperienze e delle capacità acquisite, e proiezione di quelle esperienze e di quelle capacità in dimensione nuove. In questa continuità – che dobbiamo contrapporre a quella della mafia, così tragicamente capace di trasformarsi e adattarsi ai nuovi scenari pur rimanendo sempre sé stessa, come mio padre aveva lucidamente compreso[9] – sta il significato e il valore più autentico della memoria.
E la continuità di quello che può ben considerarsi il “metodo Chinnici” è oggi visibile non solo sul piano nazionale, ma anche sul piano europeo. Ed è soprattutto su quest’ultimo che occorre oggi investire e proiettare quel metodo, a fronte di una criminalità organizzata che ha ormai assunto le vesti di un vero e proprio «operatore economico globale, con vocazione imprenditoriale»[10].
2. Il “metodo Chinnici”
La prima componente del “metodo Chinnici” fu l’innovazione legislativa. Consapevole dell’insufficienza della tradizionale fattispecie dell’associazione a delinquere, mio padre fu tra i maggiori promotori dell’elaborazione e della successiva introduzione di un’incriminazione specifica, capace di cogliere nella sua globalità il fenomeno della mafia[11]. L’art. 416 c.p., infatti, aveva dimostrato una ridotta capacità di affrontare e combattere tale fenomeno, cogliendone soltanto un aspetto, l’associazione per il programma delittuoso, certo essenziale ma non esaustivo. Ne rimanevano escluse le finalità in campo economico e di controllo della realtà economica che assumevano un ruolo centrale nella realtà dell’organizzazione mafiosa[12]. Finalità invece recepite nella nuova incriminazione dell’associazione di tipo mafioso di cui all’art. 416-bis c.p., introdotto con la legge Rognoni-La Torre.
La novità ed originalità della nuova fattispecie incriminatrice consisteva appunto nella capacità di realizzare la, necessaria, ricostruzione in termini giuridici del fenomeno mafioso, per come questo era venuto evolvendosi, attraverso una descrizione dell’associazione fondata su un duplice ordine di criteri[13]: da un lato il modus attraverso cui la mafia opera, dall’altro lato una maggiormente comprensiva tipizzazione dei fini perseguiti tramite quel modus operandi.
La centralità che, nell’ambito di questi fini, assumono quelli economici, conduceva alla seconda componente del “metodo Chinnici”, cioè l’importanza del contrasto patrimoniale. Mio padre aveva colto appieno la «nuova realtà» della «mafia grande imprenditrice, la mafia grande potenza economica»[14], e ciò lo conduceva a considerare l’aspetto patrimoniale «uno snodo essenziale per potenziare l’efficacia dell’approccio giudiziario al fenomeno mafioso»[15].
Ecco perché tra i “suoi” giudici, che scelse uno per uno, volle anche un giovane Giovanni Falcone, che convinse a trasferirsi dalla Sezione fallimentare all’Ufficio istruzione. Perché Falcone era un esperto di bilanci e società, e Rocco Chinnici aveva capito quanto fosse indispensabile seguire i flussi finanziari e compiere indagini bancarie e societarie per ricostruire la struttura dell’organizzazione mafiosa. Quel “follow the money” cui ci si riferisce oggi a livello internazionale con espressione inglese, insomma, ha visto la luce in Italia, in Sicilia, oltre quarant’anni fa.
Ed ecco perché si fece promotore e sostenitore dell’inserimento, sempre nella legge Rognoni-La Torre, di un complesso di penetranti strumenti probatori in materia di accertamenti patrimoniali, fiscali, societari e bancari, e del potenziamento delle misure di prevenzione, con l’introduzione delle misure, appunto, patrimoniali, in particolare la confisca di prevenzione. E a quanti ritenevano che l’intervento normativo in questione avrebbe avuto effetti negativi sull’economia, rispondeva che, all’opposto, la nuova legge avrebbe contribuito a «sanare l’economia», impedendo ai capitali illecitamente accumulati dalle organizzazioni criminali di riversarsi nell’economia legale, inquinandola a danno degli imprenditori onesti e quindi dei diritti e delle libertà dei cittadini. E soprattutto sottolineava l’importanza di sequestri e confische per sottrarre ai gruppi criminali le loro ingenti risorse, anche in considerazione dei loro collegamenti con la criminalità internazionale[16].
Considerazioni la cui esattezza ha trovato riscontro immediato nell’efficacia dimostrata, sin dai primi anni di applicazione, dal nuovo sistema, proprio grazie alla filosofia di fondo dell’intervento normativo, finalizzato alla rimozione del motore stesso dell’organizzazione criminale, consistente nell’accumulo di una ricchezza che impedisce gli investimenti legali[17]. E successivamente negli interventi di riforma succedutisi negli anni, fino all’adozione del cosiddetto codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159), quasi sempre incentrati sul potenziamento degli strumenti di aggressione ai patrimoni illeciti, proprio per l’acquisita consapevolezza dell’estrema efficacia del contrasto patrimoniale[18].
Incriminazione specifica e contrasto patrimoniale si affiancavano alla terza componente del “metodo Chinnici”, cioè l’esigenza del coordinamento e della cooperazione investigativi e giudiziari, con la costituzione del primo pool, che si è poi evoluto nella Direzione nazionale antimafia e nelle Direzioni distrettuali antimafia. Istituzioni nate proprio dall’insegnamento circa l’impossibilità di perseguire adeguatamente i reati di criminalità organizzata tenendo rigidamente fermi i limiti delle attribuzioni territoriali delle singole procure, in quanto fenomeni diffusamente radicati[19].
3. Proiezioni europee del “metodo Chinnici”
Oggi i tre capisaldi del “metodo Chinnici” conoscono una proiezione anche sul piano europeo, nella costruzione, in ideale continuità, di un’antimafia europea, ormai irrinunciabile solo che si considerino i numeri dei gruppi criminali organizzati, che operano su scala internazionale, attivi in Europa (oltre cinque mila secondo Europol[20]), per un giro di affari di almeno 139 miliardi di euro l’anno[21].
Prendendo le mosse dalla componente del coordinamento e della cooperazione, oltre al ruolo fondamentale che da anni svolgono agenzie come Europol ed Eurojust (i cui mandati sono stati recentemente rafforzati[22]), la novità senza dubbio più rilevante degli ultimi anni è l’entrata in funzione, finalmente[23], della Procura europea, che il 1 giugno 2021 ha ufficialmente iniziato le proprie attività operative.
La Procura europea rappresenta certamente un deciso salto di qualità nel processo di integrazione europea: non più semplice cooperazione tra autorità nazionali, ma una vera e propria autorità europea con autonomi poteri di indagine e di esercizio dell’azione penale dinanzi alle giurisdizioni nazionali.
Sotto questo profilo, la continuità con l’esperienza giudiziaria italiana emerge anche dalla scelta del Procuratore capo europeo, la Dottoressa Laura Kövesi, di indicare proprio Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino quali modelli e fonti di ispirazione dell’impegno proprio e degli altri Procuratori europei, in occasione del giuramento del Collegio della Procura europea dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, svoltosi il 28 settembre 2020.
Considerate le competenze attuali della Procura europea, cioè indagare e perseguire gli autori dei reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione quali definiti dalla cosiddetta direttiva PIF[24], l’entrata in funzione della Procura europea rappresenta un decisivo passo in avanti anche nel contrasto alla criminalità organizzata a livello europeo. Frodi ai fondi europei e riciclaggio del denaro ricavato da quelle frodi, infatti, rappresentano oggi alcuni degli strumenti cui le organizzazioni criminali fanno ricorso per insinuarsi nell’economia legale, inquinandola, e radicarsi nei territori.
I risultati sin qui conseguiti dall’EPPO sono certamente incoraggianti[25], anche in vista di un potenziale ampliamento delle sue competenze, come previsto dall’art. 86, par. 4, TFUE, che potrebbe investire proprio la criminalità organizzata transfrontaliera, al di là delle limitate ipotesi in cui questo è già possibile, quando cioè si tratti di partecipazione ad un’organizzazione criminale la cui attività sia incentrata sulla commissione di reati PIF. Ma la vera sfida, nell’immediato, è assicurare all’EPPO tutte le risorse ed il sostegno necessari, ed equiparare verso l’alto il livello di proattività delle autorità nazionali, fra le quali quelle italiane si distinguono particolarmente[26].
Con la sua competenza incentrata sulla criminalità economico-finanziaria, la Procura europea si pone in continuità anche con la componente del contrasto patrimoniale, rispetto alla quale, guardando ai più recenti sviluppi della normativa europea, vengono senz’altro in rilievo il nuovo pacchetto anti-riciclaggio e la nuova direttiva in materia di recupero e confisca dei beni.
Le organizzazioni criminali fanno oggi ricorso a sistemi di riciclaggio sempre più complessi e ramificati a livello transfrontaliero, mentre il vigente quadro europeo anti-riciclaggio risulta ancora eccessivamente frammentato e scarsamente coordinato, come rilevato anche dalla Corte dei conti europea. Quest’ultima, in particolare, ha sottolineato che, allo stato, gli organismi dell’UE dispongono di strumenti limitati per garantire una sufficiente applicazione dei quadri in materia di anti-riciclaggio a livello nazionale, manca un’unica autorità di vigilanza dell’UE, i poteri dell’Unione sono ripartiti tra diversi organi e il coordinamento con gli Stati membri avviene separatamente[27].
Anche per queste ragioni la Commissione europea ha proposto un nuovo, corposo pacchetto anti-riciclaggio, su cui, dopo il voto in prima lettura da parte del Parlamento europeo, sono attualmente in corso i negoziati inter-istituzionali con il Consiglio. Il pacchetto include in particolare una nuova direttiva (la cosiddetta VI direttiva antiriciclaggio) che rafforza le misure contenute nelle precedenti; un regolamento, che in quanto direttamente applicabile andrà a colmare le divergenze e le carenze nell’applicazione delle norme vigenti da parte dei singoli Stati membri[28]; e, soprattutto, l’istituzione di una vera e propria autorità europea anti-riciclaggio (AMLA), che supererà le lacune attualmente esistenti in termini di supervisione a livello europeo, e rafforzerà ed intensificherà la cooperazione tra le Unità di informazione finanziaria[29].
Altrettanto decisive, ed urgentemente necessarie[30] – sempre in tema di contrasto patrimoniale – saranno le nuove norme in materia di confisca e recupero dei beni, su cui stanno per avviarsi i negoziati tra Parlamento e Consiglio[31].
In questo settore, un importante passo in avanti è già stato compiuto con il regolamento del 2018 sul riconoscimento dei provvedimenti di congelamento e confisca[32], applicabile dal dicembre 2020. L’adozione del regolamento ha assunto un carattere particolarmente significativo sotto un duplice punto di vista: anzitutto per lo strumento cui il legislatore europeo ha fatto ricorso, dotando le norme così introdotte della diretta applicabilità; in secondo luogo, perché si afferma il principio del muto riconoscimento nel settore delle confische, anche laddove l’ordinamento giuridico dello Stato membro interessato non contempli provvedimenti del tipo di quelli emessi da altro Stato membro (considerando n. 13). Si è cioè optato per la strada del reciproco riconoscimento, indipendentemente dall’armonizzazione, così garantendo il soddisfacimento delle esigenze di maggiore efficienza[33].
Oggetto del regolamento, e quindi dell’obbligo di reciproco riconoscimento, sono «provvedimenti di congelamento e provvedimenti di confisca emessi […] nel quadro di un procedimento in materia penale» (art. 1, par. 1), inclusa, deve ritenersi, la confisca di prevenzione di cui all’art. 24 del codice antimafia, in quanto applicata all’esito di un procedimento che può considerarsi “connesso ad un reato” (considerando n. 13). Confisca di prevenzione la cui legittimità, anche sul piano del diritto europeo convenzionale, la Corte costituzionale ha di recente riaffermato[34].
Al regolamento del 2018 si affiancherà la nuova direttiva relativa al recupero e alla confisca dei beni, che rafforza le capacità delle autorità competenti di identificare, congelare e gestire i beni; consolida e amplia le possibilità di confisca, tenendo conto delle attività criminose intraprese dai gruppi della criminalità organizzata per come si sono andati evolvendo; migliora la cooperazione tra le autorità coinvolte nel recupero dei beni.
Soprattutto, la direttiva introduce in tutti gli Stati membri nuove forme di confisca, come in particolare la confisca estesa, la confisca non basata sulla condanna e la confisca di patrimonio ingiustificato collegato ad attività criminali. Forme di confisca che il nostro paese ben conosce, essendo stato, per esplicita ammissione della Commissione europea, uno dei principali modelli nell’elaborazione della proposta. Il testo adottato in prima lettura dal Parlamento, anche grazie ad emendamenti da me presentati in questa direzione, rafforza altresì l’aspetto del riutilizzo a fini di interesse pubblico e sociale dei beni confiscati, anche in questo caso sul modello dell’esperienza italiana.
4. Sfide e prospettive future
La sfida che ancora occorre affrontare a livello europeo è quella dell’innovazione normativa, dell’introduzione anche nel diritto UE di una nozione nuova di organizzazione criminale, davvero adeguata alla realtà che quest’ultima ha assunto, in particolare alla sua dimensione e vocazione spiccatamente imprenditoriali.
L’attuale strumento normativo in materia, la decisione quadro n. 2008/841/GAI relativa alla lotta contro la criminalità organizzata, contiene una definizione di organizzazione criminale vaga, priva di indicazioni sul modus operandi dell’organizzazione, e connotata da una selezione solo “quantitativa” dei reati-scopo (tramite cioè il rinvio alla pena edittale)[35]. Come riconosciuto anche dalla stessa Commissione europea[36], la decisione quadro del 2008 ha quindi dato luogo ad un’armonizzazione solo apparente, che non tiene conto delle divergenze tra i sistemi sanzionatori dei diversi Stati membri, riducendosi così ad un’«arma spuntata contro il fenomeno della “mafia imprenditrice”»[37].
Per questo, da più parti si invoca un superamento di queste lacune, che, si è autorevolmente sostenuto[38], potrebbe passare per due strade, non necessariamente alternative tra loro. Una strada consiste nel procedere ad una selezione “qualitativa” dei reati-scopo, armonizzando così efficacemente le normative nazionali, tenendo conto in particolare delle ipotesi criminose che si riflettono in condizionamenti e limitazioni della libertà economica, e che rischiano di restare oggi escluse dalla selezione “quantitativa”. L’altra via passa per l’introduzione, tramite una nuova direttiva – oggi certamente possibile a seguito del Trattato di Lisbona – di una nuova nozione di organizzazione criminale, incentrata sulla presenza di condotte di natura violenta, intimidatoria e corruttiva che producono una alterazione delle “regole del gioco” dell’economia di mercato, del funzionamento della pubblica amministrazione e della formazione del consenso politico. Una sorta di “416-bis europeo” dunque, davvero rispondente alla realtà odierna del fenomeno[39].
Su questa necessità insisto sin dall’inizio del mio mandato di parlamentare europeo nella precedente legislatura, e anche grazie a miei emendamenti questa richiesta è diventata la posizione del Parlamento europeo[40].
Non si tratta di una prospettiva destinata a realizzarsi nell’immediato: benché clamorosamente smentito dalla realtà dei fatti, e molto ridimensionato rispetto al passato, il convincimento che quello della criminalità organizzata sia, tutto sommato, un problema solo di alcuni paesi, o comunque non di tutti, non è completamente scomparso. Ma si tratta di una prospettiva ineludibile.
E soprattutto, come mio padre mi ha insegnato, ci ha insegnato, nonostante tutte le difficoltà, bisogna avere sempre la capacità, e il coraggio, di guardare oltre.
[1] A. Balsamo, Mafia. Fare memoria per combatterla, Vita e Pensiero, 2022, p. 91.
[2] Così il Sostituto Procuratore antimafia e antiterrorismo, Dott. Antonino Di Matteo, in un’intervista rilasciata alla trasmissione “Atlantide”, trasmessa il 24 maggio 2023 dal canale tv La7.
[3] L’espressione è del Presidente della Corte di Appello di Palermo, Dott. Matteo Frasca, che, in occasione del Convegno “I programmi di finanziamento europei, tra semplificazione amministrativa e rischi di infiltrazione della criminalità” svoltosi a Palermo il 29 luglio 2022, ha così fatto riferimento alla capacità di Rocco Chinnici di elaborare soluzioni “alternative” al pensiero comune del tempo, poi rivelatesi estremamente efficaci.
[4] Nel luogo dell’agguato al Generale Dalla Chiesa, un anonimo lasciò un cartello con scritto: «Qui è morta la speranza dei palermitani onesti».
[5] P. Borsellino, Prefazione a L’illegalità protetta, Glifo Edizioni, 2017.
[6] La trascrizione dell’audizione è integralmente pubblicata nel volume L’illegalità protetta, cit.
[7] Proprio con il Procuratore Costa mio padre si trovava spesso a dover parlare in ascensore, per essere sicuri di restare al riparo da orecchie indiscrete.
[8] A. Balsamo, Mafia. Fare memoria per combatterla, cit.
[9] Queste le sue parole in un’intervista rilasciata al giornalista Giulio Borrelli: «Io non parlerei di vecchia mafia e di nuova mafia, parlerei sempre e soltanto di mafia. Perché la mafia è stata, è e, fino a quando malauguratamente l’avremo ancora, sarà soltanto mafia, cioè crimine organizzato. [Ci sono] nuovi metodi, nuovi sistemi, ma la concezione, la mentalità, il modo di essere e il modo di pensare è sempre quello di trenta, quarant’anni fa, di un secolo addietro. Cioè quello di vivere al di fuori della legge e contro la legge, per accumulare illecitamente ricchezza».
[10] Queste le parole del Presidente della Corte di Appello di Palermo, Dott. Matteo Frasca, nella sua Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2022, tenuta in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario il 28 gennaio 2023.
[11] Partecipando ad un dibattito il 31 marzo 1983, rispondendo a quanti criticavano la legge Rognoni-La Torre come “legge illiberale”, Rocco Chinnici sottolineò che già da tempo organi di polizia e magistratura avevano individuato la «triste realtà» dell’associazione mafiosa, connotata da caratteristiche specifiche, che impedivano di ridurla all’associazione per delinquere semplice, per cui semmai ci si sarebbe dovuti dolere del ritardo con cui il legislatore aveva fatto propria questa consapevolezza.
[12] R. Chinnici, Magistratura e mafia, in Dem. dir., 1982, 4, p. 87; G.M. Flick, L’associazione a delinquere di tipo mafioso. Interrogativi e riflessioni sui problemi proposti dall’art. 416 bis c.p., in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, p. 851-852; A. Ingroia, voce Associazione di tipo mafioso, in Enc. dir., agg. I, 1997, p. 135.
[13] G.M. Flick, L’associazione a delinquere di tipo mafioso, cit., p. 852.
[14] Queste le sue parole in un’intervista rilasciata nei primi anni Ottanta: «Quando si dice che a Palermo buona parte dell’economia si fonda sulla droga, non si esagera: i processi che sono stati definiti, anche al dibattimento, provano, in maniera incontrovertibile, questa nuova realtà: cioè la mafia grande imprenditrice, la mafia grande potenza economica».
[15] A. Balsamo, voce Codice antimafia, in Dig. disc. pen., agg. VIII, 2014.
[16] Sempre nel corso del dibattito del 31 marzo 1983.
[17] Cfr. R. Ceniccola, Le misure di prevenzione patrimoniali introdotte dalla legge Rognoni-La Torre, in Giur. mer., 1986, p. 658-659.
[18] Così F. Menditto, La riforma delle misure di prevenzione, in Il Libro dell’anno del Diritto 2013, Treccani.
[19] R. Orlandi, voce Pubblico ministero (ufficio del), in Enc. dir., Annali II-2, 2008, 949.
[20] European Union Serious and Organised Crime Threat Assessment 2017.
[21] Cfr. la Relazione illustrativa della Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del consiglio riguardante il recupero e la confisca dei beni [COM(2022) 245 final].
[22] Rispettivamente: regolamento (UE) 2022/991 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2022, che modifica il regolamento (UE) 2016/794 per quanto riguarda la cooperazione di Europol con le parti private, il trattamento dei dati personali da parte di Europol a sostegno di indagini penali, e il ruolo di Europol in materia di ricerca e innovazione; e regolamento (UE) 2018/1727 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 novembre 2018, che istituisce l’Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione giudiziaria penale (Eurojust) e che sostituisce e abroga la decisione 2002/187/GAI del Consiglio.
[23] Dopo quasi quattro anni dall’adozione del regolamento istitutivo [Regolamento (UE) 2017/1939 del Consiglio, del 12 ottobre 2017, relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata sull’istituzione della Procura europea («EPPO»)], cui ho lavorato nell’ambito della Commissione Controllo dei bilanci del Parlamento europeo nella precedente legislatura.
[24] Direttiva (UE) 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2017, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale.
[25] Secondo la Relazione annuale EPPO per il 2022, l’anno scorso l’EPPO ha ricevuto e processato 3318 segnalazioni di reato e aperto 865 indagini. Alla fine del 2022, le indagini attive erano in totale 1117, per danni stimati al bilancio unionale per 14.1 miliardi di euro (di cui il 47% legato alle frodi IVA); 359 milioni di euro sono stati sequestrati da giudici nazionali nell’ambito di indagini avviate dai procuratori europei.
[26] Intervenendo dinanzi alle Commissioni Libertà civili, giustizia ed affari interni e Controllo dei bilanci del Parlamento europeo il 23 marzo 2023, il Procuratore Kövesi ha esplicitamente indicato la Guardia di Finanza come esempio di eccellenza.
[27] Relazione speciale della Corte dei conti europea n. 13/2021, Gli sforzi dell’UE per contrastare il riciclaggio di denaro nel settore bancario sono frammentari e l’attuazione è insufficiente.
[28] Cfr. la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sulla strategia dell’UE per l’Unione della sicurezza del 24 luglio 2020.
[29] Sul regolamento istitutivo dell’AMLA ho lavorato come Relatore ombra sia nella Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni che nella Commissione Controllo dei bilanci.
[30] Secondo alcune stime, solo l’1% degli ingenti profitti della criminalità organizzata in Europa viene effettivamente confiscato: cfr. la già citata Comunicazione della Commissione sulla strategia dell’UE per l’Unione della sicurezza del 24 luglio 2020.
[31] Anche a questa nuova direttiva ho lavorato come Relatore ombra nelle Commissioni Giuridica e Libertà civili, giustizia e affari interni.
[32] Regolamento (UE) 2018/1805 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 novembre 2018, relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca.
[33] A.M. Maugeri, Il regolamento (UE) 2018/1805 per il reciproco riconoscimento dei provvedimenti di congelamento e di confisca: una pietra angolare per la cooperazione e l’efficienza, in Dir. pen. cont., 16 gennaio 2019, p. 3.
[34] Corte cost., sent. 27 febbraio 2019, n. 24, sul presupposto della sua natura ripristinatoria.
[35] Art. 1, n. 1) della decisione quadro 2008/841/GAI del Consiglio, del 24 ottobre 2008, relativa alla lotta alla criminalità organizzata: «per “organizzazione criminale” si intende un’associazione strutturata di più di due persone, stabilita da tempo, che agisce in modo concertato allo scopo di commettere reati punibili con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà non inferiore a quattro anni o con una pena più grave per ricavarne, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o un altro vantaggio materiale».
[36] Cfr. la Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio a norma dell’articolo 10 della decisione quadro 2008/841/GAI del Consiglio, del 24 ottobre 2008, relativa alla lotta alla criminalità organizzata, del 7 luglio 2016: la decisione quadro «non realizza l’obiettivo di ravvicinare le disposizioni legislative in materia di lotta contro la criminalità organizzata transnazionale», e «permette agli Stati membri di non introdurre il concetto di organizzazione criminale ma di continuare ad applicare il diritto penale nazionale vigente ricorrendo alle norme generali in materia di partecipazione a reati specifici e di preparazione degli stessi».
[37] A. Balsamo, A. Mattarella, Criminalità organizzata: le nuove prospettive della normativa europea, in Sist. pen., 3/2021, p. 38 ss.
[38] Ancora A. Balsamo, A. Mattarella, Criminalità organizzata: le nuove prospettive della normativa europea, cit., p. 48 ss.
[39] La necessità di introdurre a livello europeo una fattispecie incriminatrice fondata sul ricorso a condotte intimidatorie e sullo sfruttamento della conseguente condizione di assoggettamento – per colpire quella “mafia silente” che sta radicandosi anche oltre i confini italiani – è stata sottolineata anche dall’ex Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, il Dott. Federico Cafiero de Raho, nel corso di un’audizione dedicata al tema da me promossa in Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni il 3 dicembre 2019.
[40] Risoluzione del Parlamento europeo del 17 dicembre 2020 sulla strategia dell’UE per l’Unione della sicurezza, par. 8: «reitera le sue precedenti richieste di revisione della decisione quadro 2008/841/GAI del Consiglio, del 24 ottobre 2008, relativa alla lotta alla criminalità organizzata e la necessità di stabilire una definizione comune di criminalità organizzata; ritiene che tale definizione comune dovrebbe tenere conto anche del ricorso alla violenza, alla corruzione o all’intimidazione da parte di gruppi criminali per ottenere il controllo di attività economiche o appalti pubblici o per influenzare i processi democratici».