Il tema del mantenimento del figlio maggiorenne ha assunto una crescente rilevanza negli ultimi anni, a seguito anche di una mutata sensibilità sociale e giuridica, che pone più l’accento sul principio di autoresponsabilità del figlio, in analogia con le riflessioni sviluppatesi sull’assegno divorzile , specie dopo la sentenza 18287/18 delle Sezioni unite), che rimarcano la necessità dei coniugi di essere reciprocamente indipendenti, con conseguente onere in capo a ciascuno di attivarsi alla ricerca di un’occupazione, se abili al lavoro.
Nello specifico, il tema si colloca nel dibattito sul difficile equilibrio tra i doveri di cura dei genitori, che permangono anche a seguito del raggiungimento della maggiore età, in modo da garantire al figlio il completamento di un percorso formativo che gli consenta di raggiungere l’indipendenza economica conformemente alle proprie attitudini, ed il principio di autoresponsabilità in base al quale, anche il figlio deve attivarsi sia per completare gli studi in tempi ragionevoli sia, successivamente, per la ricerca di un’occupazione. Tale bilanciamento non può prescindere poi da una preliminare disamina delle condizioni dei genitori, che certamente vanno a condizionare anche le scelte sul percorso formativo del figlio. E cosi’, se nel caso di genitori particolarmente abbienti, i doveri di mantenimento possono permanere più a lungo nel tempo, ove vi sia la necessità per il figlio di svolgere altre attività formative, oltre al normale percorso di studi, viceversa, nel caso in cui i genitori versino in una situazione di precarietà economica, il figlio, dovrà attivarsi alla ricerca di un’occupazione in tempi più rapidi, anche al fine, eventualmente, di pagarsi lo svolgimento di ulteriori attività formative (stage, specializzazioni, ecc).
Sotto tale profilo è stato infatti affermato che il figlio divenuto maggiorenne ha diritto al mantenimento a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato effettivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un’occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell’attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni” (Cass. 13/10/2021, n. 27904). Ed ancora: “in materia di mantenimento del figlio maggiorenne e non autosufficiente, i presupposti su cui si fonda l’esclusione del relativo diritto, oggetto di accertamento da parte del giudice del merito e di cui è gravato il genitore che si oppone alla domanda, sono integrati: dall’età del figlio, destinata a rilevare in un rapporto di proporzionalità inversa per il quale, all’età via via più elevata dell’avente diritto si accompagna, tendenzialmente e nel concorso degli altri presupposti, il venir meno del diritto al conseguimento; dall’effettivo raggiungimento di un livello di competenza professionale e tecnica del figlio e dal suo impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro”.
Tali considerazioni sono sostanzialmente riprodotte nelle ordinanze della Suprema Corte n. 2259 del 2024 e 24391/24, in cui vengono stabiliti i seguenti principi: a) la necessità per il Giudice di verificare la non autosufficienza economica del figlio, con opportuno bilanciamento rispetto ai suoi doveri di autoresponsabilità, effettuando un accertamento non in astratto ed in modo standardizzato, ma tenendo conto delle circostanze del caso concreto; b) valorizzare l’età quale parametro cui far riferimento, sicché quanto più ci si allontana dal raggiungimento della maggiore età, tanto più gravoso sarà lo sforzo probatorio in capo al richiedente di dimostrare di non aver raggiunto l’indipendenza economica nonostante l’impegno profuso in questa direzione.
Occorre infatti valutare, quanto più ci si allontana dalla maggiore età, il comportamento del figlio e, quindi, il suo impegno nella ricerca di un’occupazione, se lo stesso stia frequentando l’università o una scuola con profitto ed, in generale, se abbia un atteggiamento proattivo verso la propria indipendenza, tenuto conto ovviamente dell’esistenza di situazioni ostative, quali malattia, disabilità o altre difficoltà oggettive che impediscono al figlio di lavorare.
Valorizzando sempre l’età del figlio, può affermarsi che se questi ha terminato gli studi ed, in generale il percorso formativo, o se questi non dimostri un impegno concreto nella ricerca di un’occupazione, l’obbligo di mantenimento può trasformarsi in un obbligo alimentare, con conseguente riduzione dell’assegno, a quanto necessario per la soddisfazione dei soli bisogni primari (cibo, vestiario, salute).
Secondo la piu’ recente giurisprudenza, infatti, il figlio di genitori divorziati che abbia ampiamente superato la maggiore età senza aver reperito, pur spendendo il conseguito titolo professionale, una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, non può ulteriormente indugiare in attesa di un’occupazione consona alle proprie aspettative e titolo di studio, così da soddisfare le proprie esigenze economiche mediante l’attuazione dell’obbligo di mantenimento del genitore, dovendo piuttosto ricorrere – ferma restando l’obbligazione alimentare destinata a supplire alle esigenze di vita dell’individuo bisognoso – ai diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito. (cfr. Cass. Civ. 12123/24).
Conclusivamente può affermarsi che il difficile bilanciamento tra doveri di solidarietà familiare e principio di responsabilità implica sempre una profonda attenzione alle circostanze del caso concreto, dovendosi valutare caso per caso, il reale impegno profuso dal figlio unitamente alle effettive condizioni economiche dei genitori, in modo da evitare sia un sacrificio eccessivo delle aspettative anche formative del figlio, sia il protrarsi indefinito degli obblighi di mantenimento a carico dei genitori.