Sommario: 1.  Il nuovo modello di trattazione della causa e la centralità della prima udienza di comparizione – 2. I controlli preliminari “anticipati” del giudice istruttore – 3. La compressione dei termini – 4. Conclusioni.

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  1. Il nuovo modello di trattazione della causa e la centralità della prima udienza di comparizione.

Sulla Gazzetta Ufficiale del 17.10.2022 (S.O.) è stato pubblicato il Decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 149 di attuazione della Legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata.

Molteplici sono gli elementi di innovazione introdotti con riguardo al processo civile, in primo grado di giudizio, in appello e in sede di legittimità. Tra le novità di maggiore rilievo, per limitarsi al primo grado, si segnalano: l’ampliamento della competenza per valore del giudice di pace e l’introduzione di un nuoto rito davanti a tale giudice, l’introduzione del principio di chiarezza e sinteticità degli atti processuali, la concentrazione della fase introduttiva e di trattazione del rito ordinario di cognizione, una nuova disciplina della fase decisoria e la previsione di forme di decisione semplificata nelle cause in cui emerga la palese fondatezza o infondatezza della domanda, una nuova disciplina del procedimento sommario, ora “rito semplificato di cognizione” (innovazioni tutte applicabili ai processi iniziati a decorrere dal 30.6.2022, mentre ai procedimenti pendenti a tale data continueranno ad applicarsi le disposizioni previgenti: art. 35, 1° comma, d.lg. n. 149/2022).

Importanza peculiare, in quanto inevitabilmente riflesso e cartina di tornasole delle visioni di fondo del processo civile fatte proprie dal legislatore, assume la disciplina dell’introduzione e della trattazione della causa nel rito ordinario di cognizione. E’ noto, infatti, che la svolta epocale nella stessa cultura processuale si è avuta con il passaggio da un rito (quello anteriore alle riforme degli anni ‘90) elastico e permissivo, nel quale il processo ammetteva che ciascuna delle parti potesse modificarne unilateralmente l’oggetto durante l’intero suo corso, ad un rito caratterizzato da preclusioni e termini perentori volti ad assicurare una definitiva cristallizzazione dell’oggetto del giudizio e ad impedire l’indefinito protrarsi della sua durata con continue regressioni a fasi già espletate. In quest’ultima direzione si sono mossi tutti gli interventi riformatori degli ultimi decenni (se si esclude l’infelice parentesi del c.d. rito societario introdotto nel 2003 ed abrogato nel 2009) ed anche l’intervento del 2021 non tradisce la convinzione che solo un processo governato da rigide preclusioni e da sequenze progressive non rimesse alla disponibilità delle parti possa essere compatibile con il principio (nel frattempo divenuto di rango costituzionale: art. 111, 2° comma, Cost.) di ragionevole durata.

Il nuovo modello di processo ordinario di cognizione delineato dalla Legge delega n. 206/2022 (art. 1, 5° comma, lett. f) e g), l. n. 206/2022), trova il suo elemento di innovazione nella concentrazione delle attività processuali finalizzate alla definizione del thema decidendum e del thema probandum, attraverso l’anticipazione, ad una fase anteriore alla celebrazione dell’udienza di prima comparizione delle parti, del deposito delle memorie oggi previste dall’art. 183, 6° comma, c.p.c..

Era chiaro l’intento della novella di fare della prima udienza di comparizione lo snodo decisivo del processo attraverso la precoce e completa disclosure delle domande ed eccezioni svolte dalle parti, dei fatti di causa e dei mezzi di prova e, sull’altro versante, la altrettanto precoce e completa conoscenza dell’oggetto giudizio da parte del giudice, al fine dell’adozione, sin dalla fase iniziale della trattazione della causa, dei provvedimenti ordinatori più idonei a condurre celermente alla definizione della stessa.

Al contempo, si voleva eliminare dalla sequenza processuale un’udienza ritenuta inutile, ovvero quella che seguiva alla prima comparizione e al deposito delle memorie da ultimo menzionate, funzionale unicamente a fungere da cerniera tra la fase di trattazione e la fase di eventuale istruzione della causa o, in alternativa, di decisione.

Il giudice istruttore, nel disegno del legislatore delegante, sarebbe giunto all’udienza di prima comparizione con un quadro del tutto completo delle domande ed eccezioni delle parti, delle allegazioni assertive e probatorie, dei fatti pacifici e di quelli contestati, procedendo in unico contesto ai controlli preliminari di cui al primo comma dell’art. 183, all’interrogatorio libero e al tentativo di conciliazione, alle statuizioni sul rito applicabile e alla disamina delle questioni processuali e di merito potenzialmente idonee a definire il giudizio nonchè alla valutazione e all’ammissione, ove del caso,  dei mezzi di prova indicati dalle parti.

Il decreto delegato contenente la concreta declinazione della riforma rivela un significativo aggiustamento di tiro che risponde ad uno degli interrogativi formulati all’indomani della pubblicazione della legge delega, ovvero quello relativo al rischio che lo scambio di numerose memorie tra le parti prima di ogni controllo del giudice comportasse un inutile spreco di tempo ed energie in tutti i casi – ad esempio – in cui l’esistenza di vizi e difetti del contraddittorio avrebbe imposto il successivo azzeramento delle attività compiute fino a quel momento e la necessaria rinnovazione degli atti introduttivi (si veda Eugenia Italia e Nicola Cosentino, La nuova disciplina della trattazione della causa nella Legge delega n. 206/2021: vecchi modelli processuali e tentativi di innovazione, in Diritto, Giustizia e Costituzione, 8.3.2022).

Si prevede ora, con l’art. 171 bis c.p.c. (introdotto dall’art. 3, 12° comma, lett. i), d.lg. n. 149/2022), un intervento “intermedio” del giudice istruttore che, appena dopo la scadenza del termine per la tempestiva costituzione del convenuto, prima e al di fuori dell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c., esegue le verifiche preliminari in precedenza riservate all’udienza stessa emettendo un apposito decreto contenente i provvedimenti previsti dagli articoli 102, secondo comma, 107, 164, secondo, terzo e quinto comma, 167, secondo e terzo comma, 171, terzo comma, 182, 269, secondo comma, 291 e 292, e l’indicazione alle parti delle questioni rilevabili d’ufficio di cui ritiene opportuna la trattazione, anche con riguardo alle condizioni di procedibilità della domanda e alla sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato (l’art. 171 bis riproduce testualmente il vigente primo comma dell’art. 183).

Solo successivamente all’emissione di questo primo provvedimento ordinatorio riprende la dialettica processuale delle parti con il deposito delle memorie integrative di cui all’art. 171 ter c.p.c., (anch’esso introdotto dall’art. 3, 12° comma, lett. h) contenutisticamente sovrapponibili (con alcuni aggiustamenti) alle tre memorie di cui all’art. 183, 6° comma, c.p.c..

Ne deriva una complessa organizzazione della fase introduttiva e di trattazione della causa: al deposito degli atti introduttivi segue un primo intervento di verifica e controllo preliminare da parte del giudice istruttore, il quale sfocia nell’adozione di un primo provvedimento il cui contenuto varierà in funzione dell’esito dei predetti controlli e che potrà confermare o differire l’udienza di prima comparizione fissata nell’atto di citazione (per una visione complessiva degli snodi e dei tempi delle prime fasi processuali si rimanda allo schema ricostruttivo allegato a conclusione del presente scritto).

Si giungerà, quindi, alla prima udienza di comparizione solo dopo il superamento di tale vaglio preliminare. L’udienza ex art. 183 peraltro, svuotata delle attività preliminari ormai già esaurite, verrà a collocarsi in una fase più avanzata del processo, con la trattazione già completa (avendo le parti, nel frattempo, depositato le memorie di cui all’art. 171 ter), consentendo al giudice l’adozione dei provvedimenti ordinatori idonei a condurre, previa l’eventuale assunzione delle prove ammesse, alla decisione della causa. Il giudice istruttore, infatti, emetterà in udienza, o fuori udienza previo scioglimento di riserva, l’ordinanza istruttoria completa del calendario del processo, ovvero della programmazione delle successive udienze necessarie per la definizione del giudizio.

Così tratteggiata la struttura del nuovo modello processuale, appare già possibile formulare una prima valutazione. Il processo ordinario di cognizione si conferma caratterizzato da sequenze processuali predefinite e irrigidite attraverso la previsione di termini perentori finalizzati alla concentrazione delle diverse attività processuali e alla cristallizzazione del thema decidendum e del thema probandum nella fase di trattazione della causa. Le cadenze date dalle preclusioni processuali riproducono sostanzialmente lo schema del processo civile riformato dagli interventi seguitisi dal 1990 al 2005-2006, rimodellandolo solo parzialmente intorno ad una spiccata centralità ed effettività dell’udienza di prima comparizione.

Il ruolo del giudice ne risulta valorizzato e responsabilizzato: l’istituzione del controllo preliminare fuori udienza, la previsione di uno specifico decreto emesso ad esito dei controlli eseguiti, l’obbligatorietà dell’interrogatorio libero e del tentativo di conciliazione in prima udienza, la necessaria calendarizzazione del processo (per la verità già prevista a legislazione vigente) sono tutti sintomi chiari della volontà del legislatore di avere un giudice istruttore attivo che giunge preparato all’udienza e che, avendo già studiato a fondo il fascicolo, è in grado di dirigere il processo in modo efficace.

  • I controlli preliminari “anticipati” del giudice istruttore.

Se oggi, con la disciplina processuale vigente, il giudice istruttore effettua i controlli preliminari, per la prima volta, all’udienza di cui all’art. 183, disponendo in quella sede l’eventuale integrazione o rinnovazione degli atti mancanti o viziati, la nuova disciplina imporrà al giudice, come si è anticipato, un intervento preliminare fuori udienza, entro quindici giorni dopo la scadenza del termine per la costituzione del convenuto, mentre dopo l’espletamento della prima udienza di comparizione delle parti si potrà avere l’esame delle deduzioni istruttorie e l’emissione dei provvedimenti conseguenti, con la calendarizzazione delle udienze successive fino a quella di decisione della causa.

L’intervento del giudice, oggi come nel futuro processo, si scandisce in due distinti momenti e non conosce, pertanto, alcuna concentrazione o semplificazione. La concentrazione nella prima udienza – dunque – non investe l’attività del giudice ma apporta un possibile elemento di semplificazione del processo solo per le parti, imponendone la comparizione davanti al giudice solo una volta superato il vaglio preliminare di quest’ultimo.

D’altra parte, può dubitarsi che il controllo fuori udienza del giudice, ai sensi dell’art. 171 bis, senza che le parti abbiano potuto interloquire dopo il deposito dei rispettivi atti introduttivi, risponda del tutto ad un parametro di efficacia dell’attività processuale. Questioni rilevanti, quali ad esempio l’integrità del contraddittorio, sarebbero decise al di fuori del contraddittorio delle parti. Nulla di irrimediabile, in quanto con le successive memorie sarà possibile prendere posizione sui rilievi del giudice, ma certamente la perdita del confronto preventivo, possibile solo in udienza (in presenza o cartolare), comporta un rischio di successivo riesame di questioni già decise. 

Non solo. Va osservato anche che le parti, dopo la costituzione del convenuto e in attesa del decreto ex art. 171 bis del giudice istruttore, vedono decorrere comunque il termine per il deposito delle memorie integrative, pur potendo il predetto decreto imporre un diverso andamento del processo e la regressione del medesimo per il recupero di eventuali irregolarità. I controlli preliminari, dunque, si sovrappongono, senza sospenderla, alla sequenza processuale della fase di trattazione della causa, introducendo un elemento di aleatorietà: le parti dovranno iniziare a predisporre le memorie integrative (se non vorranno consumare parte del tempo a disposizione in mera attesa di quanto il giudice deciderà) prima di conoscere l’esito dei controlli preliminari del giudice e senza sapere se questi differirà o meno la prima udienza (come consentito dal disposto di cui all’art. 171 bis). Si noti che, dopo la costituzione del convenuto, le parti hanno a disposizione (non meno di) trenta giorni per il deposito della prima memoria integrativa e che il decreto del giudice istruttore ex art. 171 bis potrebbe intervenire (nel rispetto del termine di legge) quando mancano solo 15 giorni alla scadenza di tale primo termine.

  • La compressione dei termini.

Una linea di intervento “forte” del legislatore della riforma è quella della compressione dei tempi per il compimento delle diverse attività processuali, nel solco dell’ormai tradizionale impostazione di tutti gli interventi riformatori dal 2005 ad oggi. Le continue limature dei tempi assegnati per il deposito di atti e provvedimenti paiono essere la principale preoccupazione del legislatore e promettere un contenimento dei tempi di definizione complessiva del giudizio che, tuttavia, le esperienze precedenti lasciano prevedere del tutto apparente e illusorio.

Soprattutto, la compressione dei termini perentori riservati al compimento degli atti processuali tradisce sia uno svilimento di fondo dell’attività difensiva delle parti, al cui compiuto svolgimento – evidentemente – nella visione del legislatore bastano sempre pochi giorni di preparazione, sia un’astratta equiparazione tra cause di diverso oggetto e complessità (si consideri che il rito e la tempistica processuale sono identici sia per una complessa causa in materia societaria o industriale sia per una più semplice causa di recupero di un credito commerciale o di usucapione). La modulabilità del rito in funzione della complessità della causa è prevista solo in direzione dell’ulteriore accelerazione assicurata dalla possibilità di passaggio al rito semplificato (art. 3, 13° comma, lett. c), d.lg. cit., che modifica l’art. 183 bis c.p.c.), ma non in direzione opposta.

Preso atto della scelta del Legislatore della riforma, non resta che verificare l’entità dei risparmi di tempo promessi dal nuovo rito e l’effettività degli stessi.

Occorre seguire la sequenza delle diverse attività processuali come delineata nello schema di decreto in esame, prendendo le mosse dalla dilatazione a 120 giorni del termine a comparire stabilito dal nuovo art. 163 bis, resasi necessaria per poter contenervi tutte le attività processuali prima imperniate su una duplice udienza e scaglionate in un lasso temporale più ampio.

Tra la notifica dell’atto di citazione e l’udienza di prima comparizione si colloca un tempo processuale destinato ad ospitare il deposito della comparsa di costituzione del convenuto, il decreto del giudice istruttore di cui all’art. 171 bis (di cui si è detto) e le tre memorie integrative di cui all’art. 171 ter, le quali – come anticipato – riproducono, con lievi differenze, il contenuto rispettivo delle tre memorie oggi disciplinate dall’art. 183, 6° comma, nn. 1, 2 e 3.

Il convenuto ha ora a disposizione, per la redazione e il deposito della comparsa di risposta, un termine minimo di cinquanta giorni dalla notifica della citazione, dovendo costituirsi tempestivamente almeno settanta giorni prima dell’udienza di prima comparizione, in luogo del termine minimo odierno di settanta giorni (com’è noto, il limite per la costituzione tempestiva del convenuto è a venti giorni dall’udienza di prima comparizione, con la previsione di un termine a comparire di 90 giorni).

Il decreto del giudice di cui all’art. 171 bis deve inserirsi chirurgicamente in una finestra temporale di soli 15 giorni dalla scadenza del termine di tempestiva costituzione del convenuto e, se sarà confermata l’udienza fissata in citazione, quaranta giorni prima dell’udienza le parti dovranno depositare la prima memoria di cui all’art. 171 ter, per proseguire con il deposito della seconda memoria venti giorni prima e della terza dieci giorni prima dell’udienza.

Ipotizzando l’assenza di tempi morti, se l’attuale disciplina processuale porta le parti e il giudice a cristallizzare l’oggetto del processo e a poter calendarizzare la decisione in un termine che non può essere inferiore a 170 giorni dalla notifica della citazione, la nuova disciplina pone parti e giudice nella medesima condizione già 120 giorni dopo la notifica, con un “risparmio” di 50 giorni. Si tratta di un’accelerazione modesta, se si considera che le lungaggini del processo civile italiano si misurano in anni piuttosto che in settimane. Soprattutto, il risparmio di tempo è conseguito a costo di un aumento cospicuo della macchinosità della fase introduttiva e di trattazione (caratterizzata dal susseguirsi di scadenze ravvicinate e dall’incastro tra atti processuali delle parti, intervento fuori udienza del giudice e udienza di prima comparizione) e sarà effettivo e non puramente “cartolare” solo il giudice istruttore sarà in grado di stare al passo della frenetica tabella di marcia impressa dal nuovo rito, ovvero se il carico quantitativo e qualitativo del suo ruolo glielo permetterà.

Sarebbe superfluo dilungarsi sulla considerazione che l’irragionevole durata del processo civile non è legata ai termini concessi a parti e giudice per il deposito di atti e provvedimenti, bensì ai c.d. tempi morti che si dilatano tra le diverse fasi processuali, tempi a loro volta causati dai noti “colli di bottiglia” (in particolare nel passaggio alla fase decisoria) e sui quali occorre, forse, incidere attraverso interventi di diversa natura che non la previsione astratta e velleitaria di termini sempre più ristretti e, in molte realtà giudiziarie, difficilmente esigibili. 

La previsione di cui all’art. 171 ter, 3° comma, lascia al giudice istruttore ampia discrezionalità in ordine alla conferma o al differimento (nel limite massimo di 45 giorni) dell’udienza di comparizione delle parti fissata nell’atto di citazione. L’esercizio della facoltà di differimento, al di là dei casi di rinnovazione o regolarizzazione di atti, per esigenze (legittime) di organizzazione e razionalizzazione del ruolo di udienza in funzione del maggiore carico di lavoro comportato dalle prime udienze di comparizione, sarà prevedibilmente ampia con conseguente sostanziale assorbimento del risibile contenimento dei tempi processuali progettato dal Legislatore.

  • Conclusioni

Lo scetticismo sull’idoneità dell’intervento di riforma a incidere sulla rapidità della definizione dei processi civili non deve, peraltro, impedire di porre in luce come il nuovo rito esiga dal giudice istruttore un approccio di controllo attivo sul fascicolo processuale sin dall’introduzione della causa, rafforzando una pulsione, in realtà, già presente negli interventi riformatori precedenti e, da ultimo, in quello di cui alla l. 18.6.2009, n. 69.

Significativo, in tal senso, risulta l’avere spostato “fuori udienza” i controlli preliminari, con un’opzione che valorizza uno spazio processuale prima considerato “morto” perché privo di attività codificate. Forse l’esperienza “pandemica” delle udienze a trattazione scritta (conservata dalla riforma con l’introduzione dell’art. 127 ter c.p.c. ad opera dell’art. 3, 10° comma, lett. b), d.lg. cit.) ha mostrato una diversa possibilità di operare nell’ambito del processo, indebolendo il legame tra udienza e provvedimento del giudice nel senso che quest’ultimo non richiede necessariamente una preventiva comparizione delle parti davanti al giudice stesso. Insopprimibile, d’altra parte, è l’esigenza che le parti possano interloquire sulle questioni di rito e di merito sottoposte alla decisione del giudice prima che questa venga assunta e, da questo punto di vista, la previsione di attività del giudice senza un preventivo scambio di specifiche deduzioni difensive delle parti non può non suscitare alcune riserve (in questo senso si veda anche il Parere del Consiglio Superiore della Magistratura sul testo di Schema di decreto delegato, deliberato nella seduta del 22.9.2022, p. 11).

Indubbiamente positivo deve ritenersi il fatto che le attività di udienza, e in particolare l’interrogatorio libero e il tentativo di conciliazione condotto dal giudice (attività, queste ultime, ora obbligatorie: art. 183, 3° comma c.p.c. come modificato dall’art. 3, 13° comma, lett. b), d.lg. cit., avverranno solo dopo l’integrale disclosure delle allegazioni assertive e probatorie delle parti permettendo al giudice di avere un quadro “definitivo” dell’oggetto del giudizio e delle criticità probatorie poste dalle domande ed eccezioni svolte. Condizione di un intervento incisivo del giudice è il precoce “consolidamento” della materia del contendere, cui sembra diretta anche la codificazione di un onere delle parti di chiarezza e specificità dell’esposizione dei fatti di causa e degli elementi di diritto sui quali si basano le rispettive domande, eccezioni e difese (art. 3, 12° comma, lett. a), n. 2), con riguardo all’atto di citazione e lett. f), con riguardo alla comparsa di risposta, ma si veda, più in generale, il principio di chiarezza e sinteticità ora enunciato nella disposizione di cui all’art. 121 c.p.c. come modificato dall’art. 3, 9° comma).

La volontà di attribuire un rilievo preminente ai tempi delle attività processuali ha fatto sì, tuttavia, che la concentrazione delle attività medesime avvenga a prezzo di un sacrificio sul piano dell’ordine razionale del processo, anch’esso un valore non disdegnabile che gradirebbe, probabilmente, una cesura tra la fase dell’introduzione della causa e dei controlli preliminari, da un lato e quella della trattazione (ovvero della definizione del thema decidendum e probandum attraverso il deposito di memorie apposite nei termini previsti), dall’altro, onde evitare che la sovrapposizione di esse e la ristrettezza dei tempi disponibili finiscano per creare confusi percorsi processuali che non gioveranno alla celere definizione dei processi.

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