Indipendenza della Magistratura e Riforme Costituzionali
Dieci nuove domande all’Accademia
Dialogando con Giovanni Verde
Professore emerito di Diritto processuale civile
Università Luiss-Guido Carli di Roma
Gent.ma direttrice,
Ho qualche difficoltà a rispondere a domande formulate tutte nell’ottica di una intangibile omogeneizzazione delle due figure (giudice e pubblico ministero).
Non è così. I Costituenti, recependo un modello preesistente, operarono una forzatura, costituzionalizzando un’organizzazione che inseriva in un unico corpo chi giudica e chi domanda. In questo modo diedero copertura costituzionale a un “ibrido”, quale ha finito con l’essere il p.m., un pò giudice e un pò parte (e di ciò ha dato atto in qualche decisione la Corte costituzionale).
Di conseguenza, nel momento in cui vi sono proposte di modifica della Costituzione, non è possibile opporsi “in difesa” della Costituzione. La risposta è facile: la Costituzione può essere modificata e noi politici vogliamo eliminare un’anomalia esistente, perché non possono fare parte dello stesso corpo il giudice e una delle parti del processo senza ledere il principio di imparzialità del primo e di parità delle armi (il modello accusatorio non è elemento decisivo per contrastare la scelta dei Costituenti che aveva in sé i germi della contraddizione).
Di fronte a questa risposta, l’atteggiamento della Magistratura, che protesta platealmente e minaccia scioperi, può essere facilmente contrabbandata come la posizione di chi fa una lotta di “potere” in difesa dei “privilegi” di cui gode. E qui viene fuori anche un difetto di comunicazione dell’ANM, che non riesce ad essere credibile dinanzi alla pubblica opinione quando assume di protestare in difesa dei cittadini. È troppo facile replicare che se il problema riguarda i cittadini, a protestare dovrebbero essere loro e non i magistrati; che i cittadini non sono sotto “tutela” dei magistrati; che questi ultimi si comportano così perché sono talmente abituati a ritenersi investiti di potere da ritenere naturale che si sostituiscano ai cittadini.
La verità è che si dovrebbe sensibilizzare la pubblica opinione chiarendo loro che le riforme in cantiere riguardano la stessa idea – accolta in Costituzione – di “giustizia” e dei compiti che lo Stato assegna agli operatori di giustizia e chiarendo che il problema non è di posti o di collocazione delle persone, ma di valutare i vantaggi e gli svantaggi delle riforme (senza agitare libretti e soprattutto senza assumere atteggiamenti vittimistici).
In altri termini il problema si riduce a un quesito fondamentale: vogliamo davvero uno Stato che funga da arbitro neutrale di un dibattito processuale affidato alle sole parti?
È ovvio che questa domanda involge l’altra più generale che riguarda l’ideologia dello stato: liberale o solidale?
La nostra Carta è intrisa di valori che pongono la solidarietà in primo piano, così che, anche quando garantisce la persona e la sua dignità, lo fa in maniera non assoluta, ma presupponendo un delicato equilibrio tra esigenze generali e pretese, interessi o bisogni individuali. E costituisce a tal fine, in primo luogo, la pubblica amministrazione garante non solo del “buon andamento”, ma anche della “imparzialità”, e poi coinvolgendo a tale scopo anche l’amministrazione della giustizia col fare del pubblico ministero non un mero “requirente”, ma anche un “inquirente” che “dispone direttamente della polizia giudiziaria” e che ha “l’obbligo di esercitare l’azione penale”.
Per comprendere la differenza, chiediamoci se Trump, quando affida a Musk l’organizzazione degli uffici pubblici, si preoccupa dell’imparzialità oltre che del buon andamento dell’amministrazione. E quando si appresta a intervenire con mano pesante su quanti hanno indagato, promosso azioni o giudicato i suoi pregressi comportamenti sia all’unisono con i nostri valori di giustizia o se non possa farlo in una cultura che assegna alla funzione giudiziaria non più che il compito di assicurare una ragionevole pace sociale.
Quindi in primo luogo non dovreste porre domande per Vostro conto, che sarebbero intese come domande poste da chi esercita un potere che intende tutelare non nell’interesse dei destinatari ma nell’interesse proprio, e dovrebbero essere domande rivolte ai cittadini (ed io risponderei come cittadino).
Dovrebbero essere domande di questo tipo:
1 – Cari cittadini, che tipo di giustizia volete? Una giustizia formale, quale è quella che è garantita da un dibattito che si svolge soltanto tra le parti e i loro difensori, ovvero volete una giustizia che, nel doveroso rispetto dei diritti di difesa, faccia ogni sforzo per attingere alla verità?
2 – Cari cittadini, volete un processo penale nel quale il pubblico ministero, all’esito delle indagini, possa scegliere a sua discrezione (e con semplice responsabilità politica) se esercitare o meno l’azione penale o volete un pubblico ministero che sia obbligato a esercitarla e se non ritiene di farlo, chieda al giudice il permesso, ossia l’archiviazione? Il caso Lo Voi, che secondo il Primo Ministro, ha “voluto” e non “dovuto” fare la comunicazione (che, spero, non sia coincisa con una non dovuta iscrizione nel registro degli indagati) scolpisce la differenza (trattandosi di un atto politico, la notizia di reato avrebbe dovuto essere buttata nel cestino. Ed è ciò che oggi sta a cuore ai politici: che ci sia qualcuno pronto a cestinare le notizie di reato scomode per il potente di turno. Ho una sola perplessità: perché Lo Voi ha scritto alla Meloni e non si è limitato a trasmettere la denuncia, senza ulteriori indagini, al Presidente del Senato? Piaggeria?).
3 – Cari cittadini, se preferite una giustizia “formale” e un pubblico ministero che può scegliere se agire o non in giudizio, ritenete che a questo processo possano partecipare le vittime e i cd. responsabili civili? Non pensate che in questo modo il dibattito processuale sia alterato da parti “di sostegno”? E una volta che è stato emanato il “verdetto” (che, come dice la parola, sta in luogo della verità: verum dicere), pensate che siano possibili impugnazioni che riguardino il contenuto della decisione o non dovrebbero essere ammesse impugnazioni per il solo caso in cui il giudice non sia stato neutrale o il dibattito non si sia svolto regolarmente? E ritenete, poi, che tutte le informazioni ottenute nel corso delle indagini siano affatto prive di valore probatorio, perché la prova va formata in udienza? Ritenete, infine, che le odierne doglianze accolte e reiterate da parte dei “mass media” da vittime o parenti di vittime che si ostinano a chiedere giustizia anche dopo vari gradi di giudizio e a distanza di anni siano da trattare come querule e fastidiose lamentele da cestinare? E che in questi casi non sia consentito continuare a indagare?
4 – Cari cittadini volete che il pubblico ministero sia solo “requirente” o sia anche “inquirente”? Volete che si occupi della repressione o volete anche che si debba interessare della prevenzione e della sicurezza? Se accettate la prima soluzione, vi va che la polizia (non ci sarebbe ragione di distinguerne una “giudiziaria”) sia responsabile esclusiva dell’indagine? E se non vi andasse, non scorgereste il pericolo di affidare ai pubblici ministeri, costituiti in un corpo unico, del tutto autonomo, politicamente e giuridicamente irresponsabile, il potere di indagine, ossia di introdursi nelle vostre vite private senza alcun controllo che non sia quello affidato agli stessi pubblici ministeri? Il quale potrebbe scegliere chi sottoporre a indagini e perseguire?
5 – Cari cittadini, non ritenete che sia preferibile tentare di risolvere i conflitti attuali tra potere politico e potere giudiziario lasciando immutate le soluzioni accolte dai Costituenti? E che sia possibile, rimanendo fedeli alla Costituzione, immaginare correttivi ad un’evoluzione dei principi di efficienza e di autonomia (anche interna allo stesso corpo dei magistrati) che andrebbero ricondotti nell’alveo di un’ordinata ripartizione dei poteri?
6 – Cari cittadini, prima di rispondere, vogliate riflettere su come vanno le cose nel nostro Paese. Per dare attuazione all’art. 97 Cost. fu varata nel 1993 la (per me improvvida) legge Bassanini. Si disse, con la consueta enfasi retorica, che si voleva attuare la Costituzione, separando i poteri e le responsabilità politiche da quelle tecniche, dal momento che l’Amministrazione è responsabile non solo del “buon andamento”, ma anche della ’’imparzialità” dei suoi atti. Cari cittadini, come tra il fare leggi e applicarle c’è un groviglio inestricabile, per cui sono impossibili linee di demarcazione nette e definitive, lo stesso avviene tra il fare politica e amministrare. I Costituenti, accortamente, presidiarono la Magistratura, consapevoli che ci sarebbero state occasioni di attrito. Valutarono, tuttavia, di non poterlo fare nei rapporti tra politica e amministrazione, che non costituiva e non poteva costituire un “potere”, essendo la longa manus del potere esecutivo. Abbiamo, perciò, ritenuto di attuare la Costituzione dando vita al cd. spoil system con il quale si conferisce al politico il potere di nominare come responsabili dell’Amministrazione persone di sua fiducia, mettendo in sordina l’esigenza dell’imparzialità. Non ci è bastata la lezione? Vogliamo replicare, per di più correggendo il testo della Costituzione?
Queste le domande che porrei e mi porrei come cittadino sul problema della separazione.
– Per quanto riguarda la composizione del CSM ho già espresso la mia opinione: se i componenti dell’organismo sono “scelti” (affidandoci in tutto o in parte al sorteggio) e non più eletti, è perché si vuole ridurre un organismo di rappresentanza di un “potere” dello Stato a un organismo di “gestione” di un “servizio”. In sostanza dall’art. 104 comma 1 Cost. si espungono le parole “da ogni altro potere”.
(Recitate il “mea culpa” in ordine alla teoria che un “giudice vale un altro” oppure all’avere fatto diventare il caso Palamara da caso di malcostume, i cui effetti si esaurivano all’interno della Magistratura, a caso riguardante la giustizia dei cittadini, ai quali – sia chiaro – non importa un tubo che un determinato posto sia assegnato all’uno o all’altro. In tal modo avete agevolato il redde rationem della politica).
Qui è più difficile, direi è impossibile fare capire ai cittadini la differenza. Di sicuro si porrebbe il problema della legittimazione del nuovo Consiglio a deliberare su pratiche a difesa di magistrati o a rendere pareri
– Alta Corte. In linea di principio non vedo con sfavore una modifica che assegni a un giudice funzioni che oggi il CSM svolge con qualche disagio, perché non può essere sottovalutato che i membri del CSM da un lato giudicano gli inquisiti, dall’altro lato li amministrano in procedimenti “simildisciplinari” (quali sono quelli relativi ai trasferimenti per incompatibilità o che decidono sull’idoneità all’esercizio delle funzioni). Il problema non riguarda, a mio avviso, la possibilità dell’istituzione del giudice (in sostituzione di quello esistente), ma la composizione del nuovo giudice e la disciplina processuale. E, a tempi lunghi, se i pubblici ministeri, ove siano trasformati (sicut est in votis) in avvocati dello Sato in materia di repressione dei reati, meritino un’Alta Corte che giudichi dei loro illeciti disciplinari.
Noto al riguardo, che appare contraddittorio il tentativo di riportare il giudice tra i semplici funzionari, normalizzando l’organo rappresentativo, e poi affermare che le decisioni della Corte di giustizia sono insindacabili dalla Corte di cassazione. Allo stesso modo mi appare difficilmente comprensibile che l’ideologia statalista oggi al Governo sposi un processo penale ispirato alla logica minimalista del pensiero liberale (le destre sono sempre state “forcaiole” e l’attuale non è diversa perché usa a tutto spiano lo strumento della repressione penale come unico strumento disponibile).
Ma sono domande che è stupido porsi nell’attuale temperie in cui l’unico valore apprezzabile è dato dalla convenienza del momento.