di Dario Cavallari

SOMMARIO: 1. La controversia che ha portato alla decisione delle Sezioni Unite n. 3086 del 2022 – 2. Le tematiche rilevanti – 3. La nascita del contrasto in esame – 4. La sentenza Cass., SU, n. 3086 del 1° febbraio 2022 – 5. Osservazioni conclusive.

1. La controversia che ha portato alla decisione delle Sezioni Unite n. 3086 del 2022.

Il giudizio che ha dato origine alla pronuncia delle Sezioni Unite n. 3086 del 1° febbraio 2022 ha visto contrapposti un istituto di credito ed una società titolare di un conto corrente presso tale istituto la quale, assieme ai suoi fideiussori, contestava l’applicazione, nell’esecuzione del rapporto in esame, di tassi d’interesse uso piazza, della capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi passivi, della commissione di massimo scoperto e, in generale, di spese, commissioni e remunerazioni illegittime e mai negoziate dal correntista.

La società in questione, pertanto, ha domandato che, previa declaratoria di nullità delle clausole de quibus, fosse rideterminato il saldo del conto corrente, con conseguente restituzione, in suo favore, della somma dovuta.

Il giudice adito ha disposto CTU contabile, nell’ambito della quale il consulente ha acquisito dalla convenuta – all’insaputa degli attori – un documento (richiesta di fido sottoscritta dalla società attrice) che ha utilizzato per il calcolo del relativo tasso di interesse.

La sentenza di primo grado ha accolto in parte la domanda principale e quella riconvenzionale, condannando gli attori al pagamento, in favore dell’istituto di credito, della complessiva somma di € 833.749,18.

La motivazione della decisione di prime cure ha disatteso l’eccezione relativa all’illegittima introduzione agli atti della richiesta di fido menzionata in quanto, proprio per le finalità di espletamento della relazione di consulenza tecnica d’ufficio, il CTU era stato autorizzato dal giudice ad acquisire, in corso di perizia, eventuali documenti mancanti rispetto a quelli prodotti dalle parti senza che tale provvedimento fosse mai stato contestato o che la consulenza fosse stata criticata tempestivamente sul punto, neppure in occasione dell’invio alle parti, per le eventuali osservazioni, della relativa bozza che menzionava detto documento.

Nel proporre appello contro la sentenza i debitori hanno dedotto di avere eccepito, nell’udienza immediatamente successiva al deposito della consulenza tecnica d’ufficio, la violazione dell’art. 198 c.p.c., in particolare l’illegittima introduzione, da parte del consulente, di un documento non depositato e, quindi, mai oggetto del contraddittorio.

Soprattutto, hanno messo in evidenza che tale documento risultava allegato, per la prima volta, alla bozza di consulenza tecnica d’ufficio inviata alle parti ex art. 195, comma 3, c.p.c., ed era stato messo a disposizione del loro difensore al momento della lettura delle osservazioni del loro consulente di parte alla detta bozza.

L’istituto di credito, costituendosi, ha rilevato che il giudice di prime cure aveva conferito al CTU il potere di acquisire eventuali documenti mancanti dalle parti, con la conseguenza che la richiesta di esibizione del consulente percipiente nominato di tutti i contratti in possesso della banca interessata dalla data di sottoscrizione dei rapporti e sino a quella di cessazione era stata legittima. Peraltro, l’avvocato delle controparti, una volta avvedutosi del documento all’interno delle osservazioni alla bozza di CTU ne aveva contestato unicamente la sottoscrizione, senza sollevare la conseguente eccezione di nullità nella prima difesa utile dopo il deposito della consulenza. Inoltre, il consenso alla acquisizione dei documenti mancanti dalle parti era stato espressamente rilasciato dai consulenti di queste in occasione del primo incontro.

Il gravame è stato dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c. dalla competente corte d’appello la quale ha affermato, in ordine al profilo che in questa sede rileva, che l’eccezione di illegittimità della produzione da parte del CTU del contratto era stata formulata, in forma generica, solo tardivamente in un’udienza interlocutoria dopo il deposito della relazione del CTU, quando nel verbale di CTU invece si dava atto dell’introduzione di detto documento con l’assenso del perito di parte. In sede di precisazione delle conclusioni, inoltre, l’eccezione non era stata reiterata.

In ogni caso, la consulente d’ufficio era stata autorizzata dal giudice ad analizzare eventuali documenti contabili e bancari eventualmente non rinvenibili nella documentazione prodotta dalle parti, ma accessori a questi ultimi e siffatto provvedimento non era mai stato oggetto di tempestiva contestazione, al pari della relazione di consulenza tecnica agli atti e della precedente bozza sottoposta alle parti.

I debitori hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 348 ter, comma 3, c.p.c. e, con il secondo motivo di ricorso, hanno contestato la nullità della consulenza tecnica d’ufficio.

La I sezione civile della Corte di cassazione ha rilevato che la possibilità di esaminare la questione della nullità era legata alla sua rilevabilità d’ufficio e che su questo aspetto vi era un contrasto nella giurisprudenza di legittimità tra un consolidato orientamento, per il quale tutte le nullità della consulenza tecnica hanno natura relativa (fra le molte, Cass., Sez. 3, n. 15747 del 15 giugno 2018), e una recente decisione (Cass., Sez. 3, n. 31886 del 6 dicembre 2019), secondo cui lo svolgimento delle indagini peritali su fatti estranei al thema decidendum, ovvero l’acquisizione di elementi di prova ad opera del consulente, dà origine ad una nullità di carattere assoluto, rilevabile d’ufficio e non sanabile per acquiescenza delle parti, dal momento che “le norme che stabiliscono preclusioni, assertive ed istruttorie, nel processo civile sono preordinate alla tutela di interessi generali, non derogabili dalle parti”. Quest’ultima caratteristica non consentirebbe di ritenere che la violazione delle preclusioni integri una forma di nullità assoluta se posta in essere dalle parti e, invece, una mera nullità relativa se riferibile al consulente tecnico d’ufficio.

Pertanto, la I sezione civile ha chiesto con ordinanza che su tale questione si pronunciassero le Sezioni Unite.

La tematica trattata dall’appena menzionata ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite è oggetto anche di un ulteriore giudizio pendente davanti alla S.C., il quale ha riguardato il caso di una direttrice della filiale di un istituto di credito accusata di essersi appropriata, con comportamenti integranti reato, di ingenti somme depositate sul conto corrente di un cliente che avrebbero dovuto essere impiegate, invece, in investimenti. Risulta essere stata prospettata pure la responsabilità solidale (contrattuale o extracontrattuale) della banca, e richiesto il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.

Nell’atto di citazione gli attori (eredi del detto cliente) hanno dichiarato di non conoscere le sottoscrizioni aventi ad oggetto le disposizioni bancarie apparentemente riconducibili al padre.

In seguito al disconoscimento, da parte degli attori, delle sottoscrizioni apposte sulla documentazione relativa alle operazioni bancarie contestate, la banca convenuta ha proposto istanza di verificazione ex art. 216 c.p.c. Nonostante tale istanza fosse stata nelle more revocata dall’istituto di credito, il CTU grafologo ha depositato il proprio elaborato, in relazione ai cui esiti veniva poi disposta una seconda CTU per la quantificazione del danno patrimoniale subito dagli attori eredi.

Il giudice di prime cure ha dato ragione ai citati attori, la banca attrice ha impugnato la decisione sostenendo che erroneamente i documenti contabili in esame, disconosciuti dalle controparti, erano stati ritenuti materiale probatorio ai fini dell’espletamento della CTU contabile.

L’adita corte d’appello ha evidenziato, sul punto, che la produzione da parte della stessa banca dei citati documenti li rendeva utilizzabili ai fini ricostruttivi del danno, ma ha ridotto la somma spettante agli eredi del cliente dell’istituto di credito, sul presupposto che il danno consistesse nella somma di tutti i prelevamenti a firma falsa, esclusi quelli a firma vera e detratti i versamenti a firma falsa.

Con ricorso per cassazione i menzionati eredi, premesso di aver ritualmente disconosciuto, in primo grado, tutte le operazioni in uscita dal conto corrente del padre, hanno evidenziato che la banca aveva rinunciato all’istanza di verificazione, con la conseguenza che il perito del tribunale aveva errato nel vagliare anche le sottoscrizioni non disconosciute dai medesimi eredi.

Pertanto, essi hanno contestato la nullità della prima consulenza tecnica per avere l’ausiliario del giudice allargato l’indagine tecnica grafologica oltre i limiti delineati dal tribunale e, comunque, dalle parti, che avevano disconosciuto solo alcune delle sottoscrizioni del de cuius. Il fatto che la relativa eccezione non fosse stata prospettata in precedenza dipendeva dalla circostanza che la consulenza era inutilizzabile, giacché il procedimento di verificazione non si era concluso in virtù della rinuncia della parte interessata.

Con ordinanza interlocutoria la Prima Sezione civile della S.C., sul presupposto che, per inequivoca ammissione degli stessi ricorrenti, l’eccezione di nullità della c.t.u. non era stata ritualmente sollevata né nel primo, né nel secondo grado di giudizio, ha prospettato la questione della qualificazione di tale nullità come assoluta, dunque rilevabile d’ufficio, riproponendo l’illustrazione del contrasto giurisprudenziale già svolta nell’ordinanza in precedenza menzionata.

Infine, davanti alla Corte di cassazione è pendente un’ulteriore questione di massima di particolare importanza attinente alla materia della consulenza tecnica d’ufficio.

Infatti, con un’ordinanza interlocutoria del 2020, la Seconda sezione civile della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la questione “se le critiche alla consulenza tecnica possano essere sollevate per la prima volta in comparsa conclusionale”; e, “in caso di risposta negativa, se ciò vada ricondotto all’applicazione del disposto di cui all’art. 157, comma 2, c.p.c. alla generalità dei vizi attinenti [al]la consulenza tecnica, quale categoria comprensiva anche dei vizi che attengono al contenuto dell’atto, ovvero quale conseguenza della mancata partecipazione della parte alla formazione della consulenza, così come stabilito dal giudice con la fissazione dei termini di cui all’art. 195 c.p.c., e, in quest’ultimo caso, se ciò valga solo per i procedimenti cui si applicano i riformati artt. 191 e 195 c.p.c. ovvero anche per i processi ove (come nel caso in esame) il giudice abbia fissato, sulla base dei suoi generali poteri di organizzazione e direzione del processo ex art. 175 c.p.c., un termine per il deposito di osservazioni (..)”.

Il Collegio remittente ha menzionato, fra le pronunce contrarie alla possibilità di svolgere osservazioni alla consulenza nell’ambito della comparsa conclusionale, Cass., Sez. 3, n. 4448 del 25 febbraio 2014, secondo cui “le contestazioni ad una relazione di consulenza tecnica d’ufficio costituiscono eccezioni rispetto al suo contenuto, sicché sono soggette al termine di preclusione di cui al secondo comma dell’art. 157 c.p.c., dovendo, pertanto, dedursi – a pena di decadenza – nella prima istanza o difesa successiva al suo deposito”.

A tale orientamento si opponeva Cass., Sez. 1, n. 15418 del 26 luglio 2016, per la quale i rilievi delle parti alla consulenza tecnica di ufficio, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., costituiscono argomentazioni difensive, sebbene non di carattere tecnico giuridico, che possono essere svolte nella comparsa conclusionale sempre che non introducano in giudizio nuovi fatti costitutivi, modificativi od estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove, e purché il breve termine a disposizione per la memoria di replica, comparato con il tema delle osservazioni, non si traduca, con valutazione da effettuarsi caso per caso, in un’effettiva lesione del contraddittorio e del diritto di difesa, spettando al giudice sindacare la lealtà e correttezza di una siffatta condotta della parte alla stregua della serietà dei motivi che l’abbiano determinata”.

Pertanto, le critiche al contenuto della CTU avrebbero integrato mere difese, che potevano causare nullità processuali solo se la relativa modalità di formulazione avesse determinato la concreta lesione del principio del contraddittorio ovvero l’elusione delle preclusioni istruttorie.

2. Le tematiche rilevanti.

Le Sezioni Unite si sono dovute occupare della problematica della nullità della CTU, derivante dall’acquisizione (e successiva utilizzazione), da parte del perito dell’ufficio, di documenti non prodotti dalle parti, né acquisiti dal giudice in virtù dei poteri istruttori che gli competono, e della possibilità che tale CTU possa riguardare profili la cui prova non sia stata ritualmente offerta dall’attore o dal convenuto nel corso del processo.

In entrambi i casi, l’operato del consulente determina una modificazione degli atti istruttori utilizzabili dal giudice ai fini della decisione, in quanto o sono aggiunti dei mezzi di prova (documentale) ulteriori rispetto a quelli acquisiti all’esito delle preclusioni istruttorie di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c. o viene modificato il thema decidendum.

Al riguardo, non potrebbe obiettarsi che la consulenza tecnica non rientra nella categoria dei mezzi di prova in senso stretto, considerato che afferisce, comunque, all’istruzione probatoria[1].

Inoltre, l’attività del consulente può divenire essa stessa un mezzo di prova, ove si traduca nell’indagare direttamente per ricostruire dei fatti, sia sotto il profilo dinamico (cause) sia sotto il profilo cinematico (svolgimento), per poi riferire al giudice quanto rilevato e quanto appreso tramite informazioni. In quest’ultimo caso la consulenza tecnica è definita percipiente[2], per indicare che l’ausiliario è incaricato non solo della valutazione, ma, innanzitutto, dell’accertamento di fatti, la percezione dei quali richiede il possesso di cognizioni tecniche[3].

La giurisprudenza afferma che la consulenza tecnica non può esonerare le parti dalla prova dei fatti posti a fondamento delle relative domande o eccezioni, ma che una deroga a tale principio può esservi qualora l’accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi soltanto con il ricorso a specifiche cognizioni tecniche, dovendosi comunque tenere conto  che il CTU può acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, purché si tratti di fatti accessori rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, devono necessariamente venire provati da queste ultime[4].

Inoltre, a prescindere dalla natura percipiente o meno della consulenza, al consulente del giudice è riconosciuto un generale potere di acquisizione documentale (e di informazioni). Infatti, mentre l’art. 90, comma 2, disp. att. c.p.c., dispone che “il consulente non può ricevere altri scritti defensionali oltre quelli contenenti le osservazioni e istanze di parte consentite dall’articolo 194 del codice”, l’art. 194, comma 1, ult. parte, c.p.c., prevede che, oltre che “a domandare chiarimenti alle parti” e “a eseguire piante, calchi e rilievi”, il consulente possa essere autorizzato “ad assumere informazioni da terzi”. Nell’ambito dell’esame contabile, poi, è previsto che il consulente possa “esaminare anche documenti e registri non prodotti in causa” (art. 198 c.p.c.).

La giurisprudenza afferma, quindi, che rientra nel potere del consulente tecnico d’ufficio attingere notizie e dati, non rilevabili dagli atti processuali e concernenti fatti e situazioni formanti oggetto del suo accertamento quando sia necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli[5].

Requisiti di legittimità di tale acquisizione sono che il CTU ne indichi la fonte e che si tratti di circostanze di fatto secondarie e non principali, trovando applicazione, con riferimento a queste ultime, il criterio di ripartizione dell’onere della prova previsto dall’art. 2697 c.c.[6].

Pertanto, l’acquisizione di dati e documenti ad iniziativa del CTU mira al riscontro ed alla verifica rispetto a quanto affermato e documentato dalle parti, mentre non gli è consentito sostituirsi alle stesse, andando a ricercare aliunde i dati stessi che devono essere oggetto di riscontro da parte sua e che non gli siano stati forniti (ovvero gli atti e i documenti che siano nella disponibilità della parte che agisce e dei quali essa deve avvalersi per fondare la sua pretesa).

Le Sezioni Unite, allora, sono state chiamate a definire i limiti del potere di acquisizione documentale che l’art. 194, comma 1, c.p.c. attribuisce al CTU.

Ciò alla luce anche della possibile natura percipiente della consulenza tecnica, considerato che la qualificazione in tal senso della stessa rende in parte irrilevante l’indagine circa la natura principale o secondaria delle circostanze accertate, nella misura in cui si ritenga che l’ausiliario del giudice possa conoscere (previa rituale allegazione della parte) anche quei fatti principali apprezzabili unicamente mediante l’impiego di competenze tecnico-specialistiche[7].

Si deve ricordare, poi, che, sebbene l’art. 194 c.p.c. subordini all’autorizzazione del giudice il potere di richiedere chiarimenti alle parti o di assumere informazioni da terzi, la possibilità di consultare documenti pubblicamente accessibili e relativi a fatti accessori di natura tecnica è unanimemente considerata insita nelle ordinarie prerogative del perito dell’ufficio.

Infine, si deve valutare lo speciale regime della consulenza contabile, nell’ambito della quale l’art. 198 c.p.c. consente al CTU – con il consenso delle parti – di esaminare documenti non prodotti.

Ulteriore questione che ha interessato le Sezioni Unite è quella dello sconfinamento del CTU dal perimetro oggettivo dell’incarico.

Infatti, le parti cercano spesso, durante le operazioni peritali, di allargare l’indagine tecnica oltre i limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente e, in quest’ipotesi, il vizio attiene non all’accertamento di circostanze di fatto non provate, ma alla formulazione di valutazioni ulteriori rispetto a quelle strettamente necessarie per rispondere ai quesiti.

La Cassazione, in casi del genere, ha affermato che il giudice del merito può trarre elementi di convincimento anche dalla parte della consulenza d’ufficio eccedente i limiti del mandato, ma non sostanzialmente estranea all’oggetto dell’indagine in funzione della quale è stata disposta[8].

Quanto all’individuazione delle conseguenze processuali correlate all’illegittimo sconfinamento dai limiti d’indagine del CTU, è comune l’affermazione della natura relativa della correlata nullità, riferita a tutti i vizi della perizia dell’ufficio e ricavata, implicitamente, dalla regola generale di cui all’art. 157, comma 1, c.p.c., operante in assenza di previsione normativa delle nullità in discorso[9].

3. La nascita del contrasto in esame.

Con la sentenza n. 31886 del 2019 la Terza Sezione civile della Corte di cassazione compie una netta distinzione, all’interno del genus delle nullità della consulenza tecnica, tra quelle derivanti dalla violazione del diritto di difesa delle parti (di natura relativa e, come tali, assoggettate al regime dell’eccezione di parte ex art. 157, comma 2, c.p.c.), e quelle discendenti dalla violazione del principio dispositivo – commesse o indagando su fatti mai prospettati dalle parti o acquisendo da queste ultime o da terzi documenti che erano nella disponibilità delle parti medesime, e che non furono tempestivamente prodotti – le quali erano di natura assoluta e, dunque, rilevabili d’ufficio dal giudice per tutto il corso del processo.

La motivazione di quest’ultima sentenza considera gli orientamenti della giurisprudenza sui poteri istruttori del CTU:

– un primo, per il quale, indipendentemente da una specifica autorizzazione, l’art. 194 c.p.c. assegnerebbe al CTU il potere di compiere ogni e qualsiasi indagine ritenga utile per l’esaustivo svolgimento dell’incarico[10];

– un secondo, che riconnette il potere di accertamento dei fatti (compresi quelli principali) alla natura percipiente della consulenza[11];

– un terzo, in base al quale al consulente tecnico non è consentito né indagare su questioni non prospettate dalle parti, né acquisire documenti non ritualmente prodotti in causa, altrimenti verificandosi la violazione del principio che addossa alle parti l’onere della prova, con l’unica eccezione, nell’ambito della consulenza c.d. percipiente, della verifica di fatti accessori e rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza o del riscontro della veridicità dei fatti allegati dalle parti e dell’attendibilità dei mezzi di prova da esse offerti[12].

La sentenza n. 31886 del 2019 segue il terzo indirizzo riportato, perché coerente con i principi di parità delle parti e di ragionevole durata del processo.

In particolare, sostiene che una lettura dell’art. 194 c.p.c., sistematicamente coordinata con le disposizioni che sanciscono il principio dispositivo e delineano l’istruzione probatoria nel processo, conduce ad escludere, da un lato, che il CTU possa estendere la propria indagine a questioni non dedotte dalle parti nel rispetto delle preclusioni assertive, e, dall’altro, che egli possa compiere atti istruttori ormai preclusi alle parti stesse (per essere ormai spirate le preclusioni istruttorie) ovvero riservati al giudice (come l’ordine di esibizione o l’ispezione giudiziale). Inoltre, l’art. 198 c.p.c. è chiaro nell’affermare che il consulente solo con il consenso delle parti può esaminare anche documenti e registri non prodotti in causa.

La decisione in questione afferma che le eccezioni a tali principi vanno circoscritte ai fatti secondari, ovvero anche ai fatti principali, qualora si verta nell’ambito di una consulenza percipiente, e che detto divieto non è eludibile neppure con l’autorizzazione del giudice o l’inerzia delle parti, visto che i termini ex art. 183, comma 6, c.p.c., sono perentori e che il principio dispositivo vieta al giudice di ampliare il thema decidendum o di acquisire documenti dopo la scadenza dei termini processuali deputati alla loro produzione.

L’orientamento tradizionale, secondo cui tutte le nullità della consulenza tecnica avrebbero natura relativa, sarebbe il portato di una generalizzazione della soluzione originariamente adottata dalla giurisprudenza relativamente alla nullità derivante dalla mancata comunicazione alle parti dell’inizio delle operazioni peritali; generalizzazione che, se poteva ritenersi coerente con il sistema processuale anteriore alla riforma di cui alla legge n. 353 del 1990, non lo sarebbe più oggi, con un sistema di preclusioni rilevabili d’ufficio, la violazione delle quali, in quanto riguardante norme dettate a tutela di interessi generali, non può che dare luogo a una nullità assoluta.

4. La sentenza Cass., SU, n. 3086 del 1° febbraio 2022.

Le Sezioni Unite hanno deciso, alla luce del vigente sistema delle invalidità processuali di cui agli artt. 156 ss. c.p.c., di confermare l’orientamento tradizionale della giurisprudenza di legittimità, secondo cui i vizi che infirmano l’operato del CTU sono fonte di nullità relativa e rifluiscono tutti sotto il dettato dell’art. 157, comma 2, c.p.c.

Pertanto, le nullità che inficiano il risultato della consulenza tecnica d’ufficio restano sanate se non eccepite dalla parte interessata nella prima istanza o difesa successiva all’atto viziato o alla notizia di esso.

Affermano le Sezioni Unite che, in effetti, ritenendo sanabili per difetto di tempestiva contestazione le violazioni ascritte all’operato del consulente che, ad esempio, acquisisca un documento non prodotto ritualmente dalle parti, potrebbe opinarsi che l’effetto che ne  scaturisce sia quello di rendere in pratica derogabile il regime preclusivo, poiché il detto documento si dovrebbe ritenere validamente acquisito al processo non in quanto tempestivamente e ritualmente prodotto dalla parte al quale giova, ma perché l’altra parte, non formalizzando a breve la propria contrarietà non ne avrebbe contestato l’acquisizione.

Peraltro, ad avviso del Supremo Collegio, il rilievo in questione non coglierebbe la circostanza che la violazione sarebbe da ascrivere all’operato del CTU e non a quello della parte, con la conseguenza che, seppure una delle parti ne potrebbe trarre vantaggio, la violazione avverrebbe non in funzione dell’interesse di queste ultime, ma con l’obiettivo di fare conoscere al giudice la verità, che è il fine ultimo a cui tende l’attività del consulente.

Le Sezioni Unite sottolineano, in particolare, la necessità che l’attività del CTU si svolga nel più fedele e scrupoloso rispetto del contraddittorio delle parti, considerando sanzionabile, nei termini e modi dell’art. 157 c.p.c., l’operato del CTU che abbia indagato su fatti non capitolati dalle parti e non riconducibili al mandato ricevuto o che abbia acquisito documenti non allegati in modo tempestivo dalle parti senza darsi previamente cura di attivare su di essi il necessario confronto processuale. La sanzione, però, consiste non nella nullità assoluta, ma, relativa, atteso che è leso un interesse disponibile delle parti.

Queste considerazioni valgono, tuttavia, secondo le Sezioni Unite, quando il consulente, pur potendo estendere le proprie investigazioni a fatti e documenti non acquisiti al processo per iniziativa delle parti, abbia cura di mantenerne il perimetro entro i limiti segnati dalla domanda e, più esattamente, dai fatti principali che siano dedotti dall’attore a fondamento di essa.

Infatti, il limite della domanda, in ossequio al principio dispositivo che è alla base dell’ordinamento processuale vigente, costituisce un vincolo insormontabile anche per il giudice che non può infrangere il principio ne procedat iudex ex officio e deve, come anche il CTU, attenersi al precetto per il quale iudex iudicare debet iuxta alligata partium.

Ne deriva che, qualora la consulenza affidata al perito indaghi su temi estranei all’oggetto della domanda e pervenga pure al risultato di stimare la fondatezza della pretesa esercitata dall’attore in base a fatti diversi da quelli allegati introduttivamente dal medesimo, l’accertamento così operato si colloca al di fuori dei limiti della domanda e contrasta, dunque, con essa, producendosi una nullità che, in quanto afferente alla sfera dei poteri legittimamente esercitabili dal giudice, è rilevabile d’ufficio o che, diversamente, può farsi valere quale motivo di impugnazione ai sensi dell’art. 161 c.p.c.

Le Sezioni Unite hanno enunciato, quindi, i seguenti principi di diritto:

“in materia di consulenza tecnica d’ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può accertare tutti i fatti inerenti all’oggetto della lite il cui accertamento si rende necessario al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio”;

“in materia di consulenza tecnica d’ufficio il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a carico delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che essi non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e, salvo quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio”;

“in materia di esame contabile ai sensi dell’art. 198 c.p.c. il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se essi siano diretti a provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni”;

“in materia di consulenza tecnica d’ufficio, l’accertamento di fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio, o l’acquisizione nei predetti limiti di documenti che il consulente nominato dal giudice accerti o acquisisca al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti è fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all’atto viziato o alla notizia di esso”;

“in materia di consulenza tecnica d’ufficio, l’accertamento di fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio, che il consulente nominato dal giudice accerti nel rispondere ai quesiti sottopostigli dal giudice viola il principio della domanda ed il principio dispositivo ed è fonte di nullità assoluta rilevabile d’ufficio o, in difetto, di motivo di impugnazione da farsi valere ai sensi dell’art. 161 c.p.c.”.

5. Osservazioni conclusive.

La pronuncia in esame riveste indubbiamente una certa importanza e non mancherà di ripercuotersi sull’attività dei giudici di merito.

Non è contestabile che le tematiche affrontate fossero spesso oggetto di contrasti all’interno della giurisprudenza, soprattutto di merito.

Pertanto, l’intervento delle Sezioni Unite non può non essere apprezzato.

La sentenza in commento, però, nel valorizzare il principio del contraddittorio in relazione ai limiti del potere decisorio del giudice, avrebbe forse potuto chiarire con maggiore precisione la distinzione fra fatti principali e fatti non principali e, quindi, fra fatti principali rilevabili d’ufficio e fatti principali non rilevabili d’ufficio.

Le distinzioni de quibus assumono un particolare valore se si pensa ai vari contrasti che vi sono stati in passato, ad esempio, quanto ai limiti alla possibilità di modificare la domanda nei termini previsti dall’art. 183 c,p.c.[13] e alle implicazioni che potrebbero sorgere ove venisse in esame la problematica dei diritti autodeterminati ed eterodeterminati[14].

Si ritiene opportuno, allora, che future decisioni della Corte di cassazione affrontino le questioni alle quali si è fatto cenno e le altre che ad esse dovessero rivelarsi correlate.


[1] V. A. IZZO, sub art. 191, in Commentario del codice di procedura civile, dir. da COMOGLIO-CONSOLO-SASSANI-VACCARELLA, Torino, 2012, 538 ss.

[2] Cass., Sez. 3, n. 3717 dell’8 febbraio 2019.

[3] F. AULETTA, Il procedimento di istruzione probatoria mediante consulente tecnico, Padova, 2002, 99.

[4] Cass., Sez. 2, n. 5422 del 15 aprile 2002.

[5] Cass., Sez. 2, n. 13428 dell’8 giugno 2007.

[6] Cass., Sez. 2, n. 4729 del 10 marzo 2015.

[7] Senza considerare l’eventualità della possibile coesistenza, all’interno di un unico elaborato, di profili di entrambe le tipologie di CTU, ad esempio qualora, nell’ambito di una consulenza deducente, vengano in rilievo elementi che all’esame di uno sguardo non tecnico non erano emersi: L. QUERZOLA, La consulenza tecnica d’ufficio in materia di responsabilità medica alla luce della più recente Suprema Corte, in Resp. civ. prev., 2020, 161.

[8] Cass., Sez. 2, n. 14272 del 18 dicembre 1999.

[9] Cass., Sez. 2, n. 23467 del 17 dicembre 2004; M. MONTANARI, Tutela del contraddittorio in sede di consulenza tecnica e comunicazione d’inizio attività del perito, in Giusto proc. civ., 2011, 696.

[10] Cass., Sez. L, n. 15448 del 15 ottobre 2003.

[11] Cass., SU, n. 9522 del 4 novembre 1996.

[12] Cass., Sez. 3, n. 12921 del 23 giugno 2015.

[13] Sui quali è intervenuta Cass., SU, n. 12310 del 15 giugno 2015.

[14] Cfr., ad esempio, Cass., Sez.3, n. 19186 del 15 settembre 2020.

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