SOMMARIO: 1. Le tabelle milanesi. 2. Lo stato della giurisprudenza in precedenza. 3. I presupposti della liquidazione adottata dal Tribunale di Roma. 4. La posizione della Suprema Corte. 5. L’iter logico seguito dalla Cassazione. 6. Osservazioni critiche. 7. I nodi critici che restano irrisolti. 8. Una possibile soluzione.
- Le tabelle milanesi
L’ipotesi si realizza nel caso in cui un soggetto, che subisca una certa menomazione invalidante a seguito di un evento lesivo, deceda prima della liquidazione del pregiudizio sofferto per una causa esterna ed indipendente dalla lesione subita.
Trattasi di danno subito (irreversibilmente e non in modo intermittente) nell’intervallo temporale compreso tra l’illecito da cui deriva la compromissione permanente del bene salute e la morte del soggetto.
Le attuali tabelle meneghine[1] ritengono che un criterio liquidativo diversificato per fasce di età sia inidoneo ad esprimere la peculiarità della fattispecie e fondano i parametri monetari sui seguenti presupposti:
- il risarcimento medio si può definire come il risultato della media matematica, per ogni percentuale di invalidità, tra il quantum liquidabile sulla base delle tabelle milanesi ad un soggetto di anni 1 e quello di un soggetto di anni 100, e cioè la media tra la somma risarcitoria massima e quella minima;
- l’aspettativa di vita media è la vita potenziale di un soggetto di età compresa tra anni 1 e 100 (che corrispondono agli estremi anagrafici presi in considerazione dalla tabella di Milano), a prescindere dal sesso di appartenenza e facendo la media matematica tra le aspettative di vita maschile e femminile di ogni soggetto;
- il risarcimento medio annuo corrisponde al rapporto tra il risarcimento medio e l’aspettativa di vita media (che, in definitiva, è la distribuzione annua, in funzione dell’aspettativa di vita media, della massa risarcitoria media per ogni percentuale invalidante).
Per liquidare il danno che viene definito da premorienza, l’Osservatorio, scartando le tesi formatesi in giurisprudenza e dottrina, ha elaborato un criterio proprio sulla base dei seguenti principi:
1. inidoneità del dato anagrafico ai fini della differenziazione dei risarcimenti, visto che tale fattore è funzionale a calcolare l’aspettativa di vita, ossia il probabile tempo durante il quale la lesione subita dispiegherà i suoi effetti dannosi e, pertanto, rileva solo nel caso in cui non sia nota la data del decesso;
2. funzione decrescente del risarcimento, che è tanto maggiore quanto più si è in prossimità dell’evento, per poi diminuire con il passare del tempo e con lo stabilizzarsi della lesione.
Sulla base di tali principi è stato elaborato un criterio che individua, per ogni percentuale di invalidità, un importo uguale per tutti, a prescindere dall’età e dal sesso, valevole per il primo anno, al quale ne segue un altro di importo inferiore che vale per i primi due anni, superati i quali si aggiunge per ogni anno successivo un risarcimento fisso di importo ancora inferiore rispetto ai precedenti.
La principale massima di esperienza scientifica sulla quale si imposta la costruzione è quella per cui il danno non è una funzione costante nel tempo, ma esso è ragionevolmente maggiore in prossimità dell’evento per poi decrescere progressivamente fino a stabilizzarsi. E così si ritiene che il pregiudizio sofferto nel primo e nel secondo anno abbiano una intensità maggiore rispetto a quello sofferto dal terzo anno in avanti, sicché i valori risarcitori relativi a quell’arco temporale devono essere più elevati: si è ritenuto dunque equo un incremento del risarcimento medio annuo nella misura del 100% per il primo anno e del 50% per il secondo.
Viene, inoltre, prevista la possibilità di modificare il dato tabellare fino al 50% in considerazione delle peculiarità del caso concreto.
(*) colonna da utilizzare in caso di morte trascorso 1 anno dall’evento lesivo. (**) colonna da utilizzare in caso di morte trascorsi 2 anni dall’evento lesivo. I valori indicati costituiscono la somma di quanto liquidabile per il primo ed il secondo anno dall’evento lesivo. (***) colonna da utilizzare per la liquidazione del danno per ogni anno di vita vissuta a partire dal terzo anno dall’evento lesivo. I valori indicati devono essere quindi aggiunti a quelli liquidabili applicando la colonna relativa al primo e secondo anno dall’evento lesivo.
2. Lo stato della giurisprudenza in precedenza.
I criteri maggiormente utilizzati sono stati finora sostanzialmente tre:
1. il criterio della riduzione equitativa del valore monetario risultante dall’applicazione pura e semplice delle tabelle (Cass. n. 5366/1998; Cass. n. 3561/1998; Cass. n. 4991/1996), che soffre del fatto di essere soggetto al libero arbitrio e rischia di non garantire l’equità delle decisioni, intesa come uniformità liquidativa di fronte a casi analoghi (Cass. n. 12408/2011);
2. il criterio della proporzione, attraverso il quale ridurre il risarcimento in misura corrispondente al rapporto fra il tempo in cui si è sopportato il danno e quello per il quale si sarebbe dovuto sopportare se la vittima fosse sopravvissuta per tutta la durata della vita media. Tale criterio, però, conduce a risultati che gratificano maggiormente i soggetti anziani rispetto ai giovani. Difatti, considerando, ad esempio, un’invalidità del 30%, una sopravvivenza di 5 anni dall’evento ed un’aspettativa di vita per le donne di 85 anni, ad una bambina di 10 anni spetterebbe un importo di € 12.013,46 [(180.202/75) x 5], mentre ad una settantenne quello di € 41.198,00 [(123.594/15) x 5];
3. il criterio che pone alla base del calcolo non il valore del punto corrispondente all’età della vittima, ma quello corrispondente ad un soggetto di età pari alla differenza fra la durata della vita media ed il numero di anni effettivamente vissuti. Con tale criterio, riprendendo l’esempio appena fatto, la bambina di dieci anni e la settantenne avrebbero lo stesso risarcimento di € 114.159,00, ossia quello che spetta ad una vittima di anni 80 (85-5), con il limite di non considerare l’età in cui le menomazioni conseguenti alla lesione abbiano inciso sugli aspetti dinamico-relazionali della vittima né il sesso[2].
3. I presupposti della liquidazione adottata dal Tribunale di Roma.
Le tabelle capitoline, in tema di danno da premorienza, si fondano sui seguenti parametri:
1.il danno non è una funzione costante crescente con il tempo. Ciò significa che non si acquisisce giorno per giorno una frazione del danno complessivo, perché una sua parte, che corrispondente all’adattamento alla modificazione psicofisica intervenuta, si acquisisce al momento stesso della lesione, mentre la parte del danno correlata con i pregiudizi fisici e psichici che il soggetto incontrerà si acquisisce nel tempo;
2. l’importo corrispondente alla parte di danno che si acquisisce immediatamente viene quantificato in un valore compreso fra il 10% ed il 50% in relazione alla entità del danno biologico, secondo una determinata tabella;
3.la parte restante è pari al rapporto fra la somma tabellare ridotta dell’importo già considerato, per il numero di giorni di sopravvivenza rispetto alla vita media, da moltiplicare per il periodo di sopravvivenza concreta;
4.per rendere più realistico il calcolo si tiene conto della durata della vita per fasce di età.
Quindi, seguendo l’esempio di prima, alla vittima di 10 anni che ha subito un’invalidità del 30% e che muore dopo 5 anni dalla lesione, spetta il seguente risarcimento: danno biologico tabellare = € 121.741,59; premesso che per un’invalidità dal 21 al 40% la quota di danno immediato varia dall’11 al 20%, considerando il 15%, si ottiene un importo risarcitorio pari alla componente immediata di € 18.261,15. A tale somma si devono aggiungere € 6.898,69 per la quota variabile, calcolata nel seguente modo: 121.741,59 – 18.261,15 = 103.480,44, da dividere per 75, che è l’importo pari alla differenza fra la durata statistica della vita (85) e l’età al momento del decesso (10), ed il risultato (€ 1.379,73) si moltiplica per i 5 anni di sopravvivenza. L’importo del risarcimento complessivo sarà, dunque, pari ad € 25.159,84.
Alla settantenne, invece, spetterebbe l’importo di € 12.524,72 come danno immediato ed € 23.657,81 per la parte variabile e, quindi, un risarcimento complessivo di € 36.182,53, maggiore di quello spettante alla vittima più giovane.
4. La posizione della Suprema Corte.
Di recente, è intervenuta sul tema Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 41933 del 29/12/2021, statuendo che, qualora la vittima di un danno alla salute sia deceduta, prima della conclusione del giudizio, per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito, l’ammontare del risarcimento spettante agli eredi del defunto iure successionis va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato e non a quella statisticamente probabile, sicché tale danno va liquidato in base al criterio della proporzionalità, cioè assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e di percentuale di invalidità permanente, alla persona offesa che sia rimasta in vita fino al termine del giudizio e diminuendo quella somma in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti. In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto non conforme al criterio dell’equità l’applicazione delle tabelle milanesi sul cd. danno da premorienza, in quanto basate sull’attribuzione al danno biologico permanente di un valore economico decrescente nel corso del tempo.
La Cassazione ha, dunque, criticato il criterio tabellare adottato dal Tribunale di Milano sul piano logico, giuridico e medico-legale per aver utilizzato una funzione decrescente del risarcimento, essendo il danno biologico permanente, per sua stessa definizione, destinato a rimanere stabile nel tempo, a differenza di quello da sofferenza che, comunque entro certi limiti, può affievolirsi grazie alla capacità di adattamento dell’essere umano.
Il criterio della proporzionalità era già stato sancito in passato da Cass. n. 13331/2015.
E’ da notare come la stessa Terza Sezione solo tre mesi prima, con la decisione del 29.09.2021 n. 26300, avesse, invece, avvallato l’applicazione del criterio della Tabella di Milano per il danno da premorienza, andando a cassare con rinvio una decisione in cui la corte di merito ne aveva fatto scorretta applicazione.
La questione esaminata dalla Corte è stata la seguente: vi è coerenza tra i criteri di liquidazione previsti dalla tabella milanese per la liquidazione del danno non patrimoniale per lesione del bene salute definito da premorienza e il principio di equità previsto dall’art. 1226 c.c. e, conseguentemente, può la stessa tabella, essere assunta quale valido parametro liquidativo?
L’ordinanza è pervenuta alla conclusione che la tabella milanese sul danno non patrimoniale definito da premorienza si dimostri non equae, come tale, non possa costituire un utile strumento per la liquidazione del relativo danno. Ciò in quanto, affinché una tabella possa essere ritenuta coerente con il principio di equità, è necessario che garantisca, nella liquidazione del danno, non solo una adeguata valutazione delle circostanze nel caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio in casi analoghi.
La Corte censura le due premesse indicate nella relazione di accompagnamento alle tabelle milanesi.
La prima è che, secondo gli estensori della tabella, “un criterio liquidativo diversificato per fasce di età sia inidoneo ad esprimere la peculiarità della fattispecie”, trattandosi di un criterio utilizzato per calcolare l’aspettativa di vita, concetto che diviene irrilevante nel momento in cui la persona viene a mancare. Da ciò consegue, osserva la Corte, che, in applicazione di tale criterio, se una persona muore cinque anni dopo il sinistro, non ha alcuna importanza che ella avesse trenta, quaranta o sessant’anni nel momento in cui il sinistro si verificò, perché i cinque anni di vita residua sono risarciti allo stesso modo, a tutte le età.
La seconda premessa contenuta nella relazione alla tabella e oggetto di censura da parte della Corte è quella che “il danno non è una funzione costante nel tempo, ma esso è ragionevolmente maggiore in prossimità dell’evento per poi decrescere progressivamente fino a stabilizzarsi”. Questa impostazione, a parere della Corte, non può essere condivisa, in quanto il danno biologico non può decrescere dal momento che lo si definisce permanente. Un simile criterio – osserva la Corte – sarebbe accettabile in relazione al danno morale, perché̀ appartiene alla natura dell’essere umano la capacità di adattarsi (entro certo limiti) anche alle più gravi perdite, mentre il danno biologico è per sua natura destinato a permanere.
Le criticità sopra evidenziate, prosegue la Corte, conducono a risultati iniqui sul piano della liquidazione, come può evincersi facendo un confronto tra il sistema di liquidazione del danno biologico da invalidità̀ permanente che le tabelle milanesi seguono, per il caso di sopravvivenza della vittima fino alla conclusione del giudizio, con quelle del danno da premorienza.
Una tabella sul danno da premorienza, per poter essere “equa”, deve, invece, partire dal presupposto che, a parità̀ di durata della vita residua, deve corrispondere, ovviamente in caso di uguale invalidità̀ permanente, un risarcimento uguale[3].
Viceversa, in applicazione della tabella milanese sul danno da premorienza, la liquidazione del danno per un quinquennio di sopravvivenza risulta ben inferiore a quella che si otterrebbe moltiplicando per cinque anni il valore del risarcimento ottenuto dividendo il risarcimento complessivo ottenibile sulla base delle tabelle, per i soggetti che sopravvivono, per gli anni di aspettativa di vita, conteggiati sulla base delle relative tabelle ISTAT[4].
A nulla rileva, osserva la Corte che l’importo liquidabile, sulla base delle tabelle da premorienza sia personalizzabile[5], posto che anche il danno liquidabile in base alla tabella sulla liquidazione del danno non patrimoniale è “personalizzabile”.
Alla luce di tali considerazioni e ritenuta la necessità di indicare un criterio alternativo, stante l’assenza di un parametro normativo di riferimento, la Corte osserva che, pur nella diversità delle possibili tecniche liquidative, appare preferibile adottare un sistema di calcolo che sia rispettoso del criterio della proporzionalità.
Ciò significa, prosegue la Corte, che il danno da premorienza deve essere calcolato considerando come punto di partenza (dividendo) la somma che sarebbe spettata al danneggiato in considerazione dell’età e della percentuale di invalidità, se fosse restato in vita fino al termine del giudizio; rispetto a tale cifra, assumendo come divisore gli anni di vita residua secondo le aspettative che derivano dalle tabelle dell’ISTAT, dovrà essere calcolata la cifra dovuta per ogni anno di sopravvivenza, da moltiplicare per gli anni di vita effettiva, in modo da pervenire ad un risultato che sia, nei limiti dell’umanamente possibile, maggiormente conforme al principio di equità.
Ciò non toglie, osserva la Corte, che siano comunque ammissibili anche altri criteri e, in particolare, quelli che, ad esempio, applichino il criterio proporzionale soltanto in parte residua, riconoscendo che una quota del risarcimento si matura immediatamente e l’altra in ragione proporzionale al numero degli anni effettivamente vissuti.
6. Osservazioni critiche.
La Corte, che perviene addirittura a fornire una formula matematica per il corretto calcolo del risarcimento, ritiene errata non solo la scelta di attribuire somme maggiori per i primi due anni e quindi, una somma inferiore, dal terzo anno di sopravvivenza in poi, in quanto, il danno biologico permanente, essendo appunto tale, non è destinato a diminuire, ma anche, in definitiva, l’idea di non considerare il fattore età, prescindendo cioè dall’età del danneggiato[6].
Applicando, invece, il criterio di proporzionalità e, dunque, dividendo l’importo in astratto risarcibile alla persona offesa, ove fosse sopravvissuta al giudizio, sulla base delle “Tabelle di Milano per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante dalla lesione alla invalidità psico-fisica”, per gli anni residui di vita secondo le tabelle elaborate dall’ISTAT e, quindi, moltiplicando il risultato per gli anni di effettiva sopravvivenza, gli importi liquidabili – nel caso esaminato in sentenza – sarebbero ben superiori a quelli riconoscibili sulla base della tabella milanese relativa alla liquidazione del danno non patrimoniale definito da premorienza, e ciò determinerebbe, di riflesso, un risultato iniquo.
Tuttavia, a ben vedere, adottando il criterio di proporzionalità indicato dalla Corte, si perverrebbe ugualmente ad un risultato, se non iniquo, scarsamente condivisibile e, comunque, sperequativo. Invero, dividendo il risarcimento astrattamente ottenibile sulla base delle tabelle generali per gli anni di aspettativa di vita del de cuius, si otterrebbe il paradossale effetto per cui più è giovane il danneggiato, più ridotto sarebbe il risarcimento.
Infatti, per fare un esempio – utilizzando le indicazioni contenute nella sentenza – prendendo a riferimento un’aspettativa di vita di 83-85 anni e applicando il criterio proporzionale indicato dalla Corte, si ottiene che per una donna di 72 anni con un 62 % di IP (applicando le tabelle 2018) il danno non patrimoniale risarcibile sarebbe pari ad euro 464,647,00; dividendo detto risultato, per i 12 anni di aspettativa di vita residua, si perviene all’importo euro 36.220,58 che, moltiplicato per i cinque anni di effettiva sopravvivenza, porta a un risarcimento di euro 181.102,91. Senonché, effettuando lo stesso calcolo con una donna di 35 anni, si avrebbe che il relativo risarcimento di euro 567.051,00, diviso per 49 anni di aspettativa di vita residua, ammonterebbe ad euro 11.572,46 che, moltiplicato per i cinque anni di effettiva sopravvivenza, porterebbe ad un risarcimento di euro 57.862,34. Se poi si volesse effettuare il calcolo con una bambina di 8 anni, si avrebbe che il risarcimento di euro 650.286,00 diviso per i 76 anni di aspettativa di vita residua, ammonterebbe ad euro 8.556,39 e ciò porterebbe ad un risarcimento di gran lunga inferiore, pari ad euro 42.781,97[7].
La sperequazione si acuirebbe se si condividesse il principio affermato da Cass. n. 25157/2018, secondo cui il principio proporzionale è applicabile “solo nel caso in cui il decesso sia intervenuto in età precoce rispetto all’ordinaria aspettativa di vita, atteso che, nel caso opposto, il punto base di riferimento per la liquidazione tiene già conto delle ridottissime aspettative di vita del danneggiato, sicché nessuna ulteriore riduzione deve essere applicata in considerazione dell’avvenuto decesso”[8].
Applicando, invece, la tabella milanese (2018) sul danno da premorienza, si otterrebbe, per lo stesso periodo di sopravvivenza e per tutte le vittime, l’importo di euro 94.172,00 personalizzabile fino a euro 141.258,00, importo che pare obiettivamente un equo compromesso rispetto ai non coerenti risultati ottenibili con l’applicazione del metodo proporzionale indicato dalla Corte.
6.1. Il punto di partenza per ogni ragionamento è che il danno biologico alla salute, oggi definito dinamico-relazionale, viene comunemente liquidato attraverso tabelle che tengono conto dell’età della vittima, ritenendosi che il danno è tanto maggiore quanto minore è l’età di chi lo subisce: si ritiene infatti che una cosa sia convivere con la menomazione conseguente alla lesione per pochi anni ed altra cosa sia conviverci per la maggior parte della vita.
Non sembra cogliere nel segno la critica principale che la Corte muove alle tabelle milanesi, laddove afferma che il danno biologico, in quanto permanente, non è destinato a diminuire e censura le dette tabelle nella parte in cui prevedono una diminuzione del risarcimento dopo i primi due anni. Invero, la Tabella milanese, per i primi due anni di invalidità, prevede, invece, il riconoscimento di un incremento (per il danno morale) del valore del risarcimento medio annuo nella misura del 100% per il primo anno e del 50 % per il secondo anno. Non applica, dunque, una diminuzione del “danno biologico”, ma, piuttosto, un aumento del danno non patrimoniale in considerazione di una maggiore intensità della sofferenza derivante dalla menomazione in tale primo periodo.
In quest’ottica, Cass. n. 2297/2011 afferma che “in tema di risarcimento del danno non patrimoniale da fatto illecito, qualora, al momento della liquidazione del danno biologico, la persona offesa sia deceduta per una causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza di esso, alla valutazione probabilistica connessa con l’ipotetica durata della vita del soggetto danneggiato va sostituita quella del concreto pregiudizio effettivamente prodottosi, cosicché l’ammontare del danno biologico che gli eredi del defunto richiedono “iure successionis” va calcolato non con riferimento alla durata probabile della vita del defunto, ma alla sua durata effettiva, pur tenendo conto del fatto che nei primi tempi il patema d’animo è più intenso rispetto ai periodi successivi“.
La tabella sul danno da premorienza prevede, inoltre, un parametro relativo alla possibile personalizzazione – previsto nella quinta colonna – ed è stato indicato con particolare riferimento al fattore anagrafico, così da attribuire nel concreto una possibile maggiore liquidazione, da parte del giudice, anche in relazione al fattore dell’età.
7. I nodi critici che restano irrisolti.
Con l’ordinanza n. 41933/2021, la Terza Sezione assesta, dunque, un altro duro colpo alla tabella milanese già cassata da recenti decisioni con riferimento ai criteri di liquidazione del danno da perdita di congiunto (Cass. 10579/2021; Cass. 7770/2021; Cass. 33005/2021), che prevederebbero una forbice inidonea a garantire equità liquidativa, in favore di un criterio a punti che Cass. 26300/2021 ha di fatto individuato in quello previsto dalla Tabella di Roma.
Il colpo è ancora più duro se si considera che, con tale ordinanza, la Suprema Corte ha ritenuto, come anticipato, ammissibili anche altri criteri, oltre a quello proporzionale pieno, richiamando, in particolare, quello che applica il criterio proporzionale soltanto alla parte residua, riconoscendo che una quota del risarcimento si maturi immediatamente, mentre l’altra in modo proporzionale al numero di anni effettivamente vissuti che, a ben vedere, altro non rappresenta se non quello proposto dalla Tabella di Roma (v. infra).
Tale ulteriore indicazione, che certamente non contribuisce ad indicare un criterio di riferimento uniforme per la liquidazione e la prevedibilità delle decisioni, sposta sul difensore del danneggiato il compito di proporre al giudice un parametro liquidativo che evidenzi le soluzioni che appaiano più eque, nel caso concreto, sia in base all’applicazione della “formula matematica” indicata dalla Corte nell’ordinanza menzionata, sia evidenziando il diverso risultato ottenibile con l’applicazione dei criteri orientativi suggeriti dalla tabella milanese per la liquidazione del danno da premorienza (che non potrà non essere comunque considerata un parametro di riferimento) o, eventualmente di altri criteri liquidativi che possano consentire al giudicante una liquidazione del danno conforme ad equità ex art. 1226 c.c. e 2056 c.c.
Né la tabella sul danno da premorienza, né il criterio indicato dalla Corte nella sentenza n. 41993/21, risolvono il problema che appare invero ineludibile, della disparità che si verifica, come si evidenzia nella motivazione, tra il caso di chi sopravvive alla definizione della controversia con il passaggio in giudicato della decisione o con eventuale stipula di una transazione e chi, invece, viene a mancare prima della definizione.
La differenza che sussiste con l’ipotesi in cui la vittima deceda per cause diverse dalla lesione è che, mentre normalmente viene presunta la durata della vita, in tal caso il periodo di tempo in cui la vittima ha convissuto con i postumi conseguenti alla lesione costituisce invece un dato noto[9].
Nella sentenza n. 12913/2020, che peraltro affronta sotto altra prospettiva, e per taluni aspetti in modo difforme, molte delle questioni esaminate nella sentenza 41993/21, la Suprema Corte ritiene che “l’obiezione dell’ingiustificato diverso trattamento risarcitorio, cui rimarrebbe esposto il soggetto deceduto in corso del giudizio, rispetto al trattamento riservato, invece, al soggetto ancora in vita al momento della liquidazione del danno, prospettato dai ricorrenti come illogica conseguenza della durata del processo, si rivela un argomento ascrivibile alla figura retorica del paralogismo. Premesso che il fenomeno della eccessiva durata del processo è vicenda del tutto estranea rispetto all’applicazione dei principi di diritto sopra enunciati, essendo inidonea, pertanto, la mera allegazione di un problema pratico ascrivibile a varie e complesse ragioni – che qui non è dato esaminare – a veicolare una pertinente critica al fondamento giuridico della commisurazione del danno non patrimoniale alla durata della vita effettiva del danneggiato[10], il criterio di liquidazione del danno biologico “permanente” fondato su una stima del quantum compiuta in previsione della probabile durata della vita futura del soggetto (anziché della sua effettiva durata) è del tutto consentaneo alla natura e tipologia del danno da stimare (invalidità anatomo-funzionale che perdura nel tempo), e risponde altresì alla esigenza dell’ordinamento giuridico di pervenire, attraverso l’esercizio della funzione giudiziaria, comunque ad una definizione delle controversie sul risarcimento del danno, perseguendo – attraverso la liquidazione di un danno futuro che appaia verificabile – lo scopo di garantire la certezza dei diritti e la tendenziale stabilità dei rapporti giuridici (v. postea).
In taluni particolari casiuna soluzione concreta potrebbe forse essere individuata facendo riferimento all’istituto della rendita vitalizia[11].
8. Una possibile soluzione.
Siamo proprio sicuri che il dato rappresentato dalla durata probabile della vita residua debba cedere il passo a quello della durata effettiva?
Rappresenta un principio ormai consolidato quello per cui, nell’ipotesi in cui la persona rimasta danneggiata muoia prima della liquidazione del risarcimento, per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in occasione dell’illecito, la determinazione del danno biologico che gli eredi del defunto richiedano iure successionis e non iure proprio va effettuata non con riferimento alla durata probabile della vita futura del soggetto[12], ma alla sua durata effettiva (Cass. 07.04.1998, n. 3561; Cass. 20.01.1999, n. 489; Cass. 09.08.2001, n. 10980; Cass. 03.10.2003, n. 14767), in quanto la durata della vita, in questo caso, non costituisce più un dato presunto, ma un dato reale (con la conseguenza che il giudice deve tener conto non della vita media futura presumibile della vittima[13], ma della vita effettivamente vissuta). Pertanto, il danneggiato, in forza del condiviso orientamento della Cassazione, acquisisce (e quindi trasferisce agli eredi) il diritto al risarcimento del danno biologico da inabilità temporanea − per quanto assoluta − quale effettiva menomazione dell’integrità psicofisica subita dal soggetto per il periodo di tempo tra il verificarsi delle lesioni e il sopraggiungere della morte, per il solo tempo di permanenza in vita[14], e non già in relazione ad un periodo di tempo pari alle sue speranze di vita per il caso di mancata morte a causa delle lesioni (così Cass. civ., 16.06.2003, n. 9620; Cass. civ., 16.05.2003, n. 7632[15]).
Tuttavia, nel panorama giurisprudenziale si registra un altro precedente della Sezione Lavoro, in cui la Cassazione ha affermato che la valutazione del danno biologico va commisurata alla speranza di vita futura, e quindi alla durata della vita media “restando priva di rilievo la durata effettiva della vita” (Cass. civ. n. 2357/2003).
Sembrerebbe, del resto muoversi in questa direzione la Suprema Corte nel momento in cui, sia pure con riferimento al danno morale, ha statuito che, ai fini del risarcimento del danno, lo stesso, quale sofferenza patita dalla sfera morale del soggetto leso, deve considerarsi verificato nel momento stesso in cui l’evento dannoso si realizza. Ne consegue che la liquidazione del danno deve effettuarsi con riferimento al momento dell’evento dannoso ed alle caratteristiche indicate, mentre non incidono su di essa fatti ed avvenimenti successivi, quale la morte del soggetto leso (in tal senso già Cass. 06.05.1983, n. 3100, con riferimento al danno morale derivante dalla perdita della moglie, in un soggetto passato successivamente a nuove nozze; conf. Cass. 01.03.1993, n. 2491, Cass. 30.03.2001, n. 4733, e Cass. 09.08.2001 n. 10980). Pertanto, il danno non patrimoniale si produce in coincidenza del fatto illecito, da cui deriva la sofferenza nella quale consiste. E’ anche vero, però, che questa impostazione appare condivisibile soprattutto allorquando l’illecito non abbia carattere permanente, nel qual caso va riscontrato e liquidato, appunto, con riferimento al momento della verificazione di esso senza che rilevino fatti o avvenimenti successivi.
[1] CHIRIATTI G., Alla ricerca dell’equità: i danni da premorienza e terminali nelle nuove Tabelle milanesi, in Ridare.it, 25 settembre 2018, ha osservato che tali nuovi criteri liquidativi, contenuti nelle “nuove tabelle” afferenti, tra l’altro, i danni da premorienza, non possono certo godere di quel rango “paranormativo” che è stato riconosciuto dalla c.d. sentenza Amatucci (Cass. n. 12408/2011) alle tabelle “storiche” per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante dalla lesione del bene salute (in questo senso BONA M., Tabelle milanesi oltre il seminato: critica ai parametri per i danni da premorienza e terminali, in Ridare.it, 17 aprile 2018; SPERA D., Le tabelle milanesi edizione 2018, in Ridare.it, 20 giugno 2018).
[2] In dottrina, si segnalano NAPOLITANO C., Le Tabelle di Milano quale parametro di conformità per la valutazione equitativa del danno biologico, in Danno e Responsabilità, n. 1, 1 gennaio 2021, 95; PARDOLESI R. e SIMONE R, Le nuove Tabelle milanesi e il fascino discreto della para-normatività, in Danno e Responsabilità, n. 4, 1 luglio 2021, 423; BONA M., Danno non patrimoniale permanente e morte sopravvenuta per cause indipendenti: critica al “criterio della proporzione” e soluzioni alternative, su Ridare.it 15 Febbraio 2016; BREGGIA C., Danno biologico intermittente: le nuove proposte del Tribunale di Milano, su Ridare.it, 16 Marzo 2017; DE GIOVANNI C., Morte sopravvenuta del danneggiato per cause indipendenti dal fatto oggetto del giudizio e liquidazione del danno biologico, su Ridare.it, 15 Luglio 2019; MORO D., Danno biologico intermittente: la soluzione “milanese”, su Ridare.it 22 Maggio 2017; SPERA D., VENTRIGLIA L., Danno alla persona, su Ridare.it, 15 Luglio 2019; SPERA D., Roma – Milano ancora più distanti: le due Tabelle di liquidazione del danno non patrimoniale a confronto, su Ridare.it, 17 dicembre 2019.
[3] I cinque anni nei quali la de cuius era sopravvissuta non possono essere liquidati con una somma inferiore, rispetto ai medesimi cinque anni vissuti da un’altra persona che, viceversa, sia sopravvissuta fino al termine del giudizio e sia morta, in ipotesi, molti anni dopo.
[4] Nel caso in esame, infatti, una persona di 72 anni con il 62% di invalidità si sarebbe vista riconoscere, sulla base delle tabelle milanesi relative alla liquidazione del danno non patrimoniale del 2018, la somma di euro 434.647,00. Tenuto conto dell’aspettativa di vita, secondo le tabelle ISTAT, di una donna di 83-85 anni, prosegue la Corte, anche calcolando per eccesso, come ha fatto il ricorrente, ulteriori 15 anni di aspettativa, si otterrebbe un risarcimento pari ad almeno 28.976,00 per ogni anno (euro 434.647,00: 15); moltiplicando tale somma per i cinque anni di sopravvivenza, si ottiene la somma di euro 144.880,00, ben superiore al risarcimento di euro 94.172,00 liquidabile sulla base delle tabelle da premorienza.
[5] Nella specie, la Corte d’appello aveva liquidato il complessivo superiore importo di euro 153.753,00 comprensivo di 12.495,00 a titolo di danno da inabilità temporanea.
[6] In dottrina, L. BERTI, Morte non causata dalle lesioni: i criteri di liquidazione del danno da premorienza fra tabelle pretorie e principi giurisprudenziali dopo la Cass. 41933/2021, su Ridare.it 8 Marzo 2022.
[7] Pertanto, il criterio proporzionale, che sia pieno o limitato ad una parte del danno, conduce a premiare le vittime più anziane rispetto a quelle più giovani, senza alcun apparente supporto logico, giuridico e medico legale, comportando liquidazioni ugualmente criticabili sotto il profilo dell’incoerenza con il principio di equità.
[8] Anche in siffatta evenienza verrebbe, infatti, vieppiù trascurato l’aspetto della coerenza del risarcimento fra vittime di età diverse a parità di sopravvivenza, perché ad un 96enne per un 30% di invalidità potrebbe essere riconosciuto l’importo pieno di € 99.064,00, senza alcuna detrazione, quando al giovane di 10 anni che deceda a 15 potrebbe essere riconosciuto solo l’importo di € 12.013,46.
[9] Sulla base di tale considerazione, la giurisprudenza ormai pacifica ha affermato il principio secondo il quale nella aestimatio del danno il giudice deve tener conto non della vita media futura presumibile della vittima, ma della vita effettivamente vissuta (fra le varie si veda Cass. n. 489/1999 e Cass. n. 22338/2007).
[10] La durata del processo non è elemento costitutivo del credito risarcitorio, né elemento determinativo della valutazione della entità del danno e della sua commisurazione per equivalente monetario. Si vedano, per analoghe considerazioni, le motivazioni di Cass. sez. VI- 3, 31 ottobre 2019, n. 28168.
[11] Si veda al riguardo la sentenza Trib. Milano, sez. I, 14 maggio 2019 (F. MARTINI, Il risarcimento del danno non patrimoniale in forma di rendita vitalizia, Percorribilità e praticabilità dell’istituto, su Ridare.it 2019), ove si è affermato che “Il risarcimento del danno non patrimoniale per la grave lesione del bene salute ben può essere risarcito, in alternativa al metodo tradizionale, con lo strumento della rendita vitalizia ex art. 2057 c.c., ove le circostanze del caso lo indichino, quali la oggettiva gravità della situazione in cui versi la vittima, il carattere permanente del danno e l’impossibilità di stabilire, in modo oggettivo, una durata presumibile della vita della danneggiata (ormai già in età molto avanzata)”.
[12] In generale, l’età in tanto assume rilevanza in quanto con il suo crescere diminuisce l’aspettativa di vita, sicché è progressivamente inferiore il tempo per il quale il soggetto leso subirà le conseguenze non patrimoniali della lesione della sua integrità psicofisica. Trib. Milano 10 settembre 2011 ha sostenuto che, laddove il danneggiato, al momento del sinistro, abbia già superato la media statistica di aspettativa di vita e si verifichi il suo decesso in corso di giudizio (per causa diversa dal sinistro), la liquidazione del danno biologico non può che essere effettuata in via equitativa, dovendosi tenere conto, in simili casi, non più del criterio (inversamente proporzionale) dell’età del danneggiato in relazione all’aspettativa di vita, ma della durata effettiva del periodo in cui la vittima ha subìto la menomazione. Il giudice ha evidenziato che, ai fini della suddetta liquidazione, l’età in tanto assume rilevanza in quanto con il suo crescere diminuisce l’aspettativa di vita, sicché è progressivamente inferiore il tempo per il quale il soggetto leso subirà le conseguenze non patrimoniali della lesione della sua integrità psicofisica.
[13] In Italia stimata pari a circa 79 anni e mezzo per l’uomo e ad 84 anni e mezzo per la donna, sulla base delle ultime stime ufficiali ISTAT effettuate nel lontano 2011.
[14] Va, peraltro, evidenziato che, ove la prognosi di speranza di vita per il danneggiato sia accertata sulla base di conoscenze scientifiche (ad esempio, tramite consulenza tecnica), il giudice deve liquidare il danno biologico non con riferimento alla speranza di vita media nazionale, ma alla prognosi di durata della vita dello specifico soggetto danneggiato, ed al contempo deve tenere conto della gravità particolare della lesione, che abbia inciso anche sulla capacità recuperatoria o stabilizzatrice della salute, procedendo ad una adeguata e prudente maggiorazione (Cass. 04.11.2003, n. 16525).
[15] In senso contrario, ma isolato, ha ritenuto che la valutazione della entità del danno vada commisurata alla speranza di vita futura, e quindi alla durata della vita media, restando priva di rilievo la durata effettiva della vita, Cass. civ., 23.05.2003, n. 8204.