Sommario: 1. La riunione. – 2. La sospensione del processo: i vari tipi. – 3. I presupposti della sospensione. – 4. Il regime giuridico della sospensione. – 5. L’impugnativa dell’ordinanza di sospensione. – 6. La sospensione cd. impropria. – 7. Fattispecie concrete. – 8. I rapporti con gli artt. 336, secondo comma, e 337, secondo comma, c.p.c.. – 9. La pregiudizialità penale. – 10. La pregiudizialità amministrativa. – 11. Altre pregiudizialità. – 12. La riassunzione del processo sospeso.
1.La riunione
Sez. U, n. 02245/2015, Spirito, Rv. 634424: in tema di connessione di cause, il provvedimento di riunione, fondandosi su valutazioni di mera opportunità, costituisce esercizio del potere discrezionale del giudice.
Sez. 1, n. 00567/2015, Cristiano, Rv. 633952: le decadenze processuali verificatesi nel giudizio di primo grado non possono essere aggirate dalla parte che vi sia incorsa mediante l’introduzione di un secondo giudizio identico al primo ed a questo riunito. In tale evenienza, il giudice – in osservanza del principio del ne bis in idem ed allo scopo di non favorire l’abuso dello strumento processuale e di non ledere il diritto di difesa della parte in cui favore sono maturate le preclusioni – deve trattare soltanto la causa iniziata per prima, decidendo in base ai fatti tempestivamente allegati ed al materiale istruttorio in essa raccolto, salva l’eventualità che, non potendo tale causa condurre ad una pronuncia sul merito, venga meno l’impedimento alla trattazione della causa successivamente instaurata.
2. La sospensione del processo: i vari tipi
Come è noto, l’art. 295 c.p.c. disciplinando la sospensione “necessaria” (così definita dalla rubrica del citato articolo), introduce una vicenda anomala o di crisi del processo di cognizione, la quale si pone in via autonoma al di fuori delle ipotesi in cui la sospensione è esplicitamente prevista dalla legge (cfr., ad es., il disposto dell’art. 75, comma 3, c.p.p., sul cui ambito di interpretazione v. la recente sentenza Sez. U., n. 13661/2019, Perrino, Rv. 653898-01) e che influisce sull’andamento normale del processo, cui imprime un arresto dello svolgimento. Accanto alla sospensione “necessaria”, vengono disciplinate due ulteriori ipotesi di sospensione: quella volontaria, concordata su istanza di tutte le parti di cui all’art. 296 c.p.c., che può avere una durata massima di “tre mesi” e può essere disposta “per una sola volta”, e quella cd. facoltativa prevista dall’art. 337, comma 2, c.p.c., secondo il quale “quando l’autorità di una sentenza è invocata in un diverso processo” può farsi luogo alla sospensione “se tale sentenza è impugnata”.
Per completezza, giova ricordare che nel codice di rito vengono disciplinate anche ulteriori e specifiche ipotesi di sospensione, tra le quali si richiamano quelle previste: dall’art. 279, comma 4, c.p.c., che legittima la sospensione dell’ulteriore istruttoria “sino alla definizione del giudizio di appello” contro le sentenze non definitive di cui al comma 2, n. 4, dello stesso articolo; dall’art. 129-bis, comma 1, disp. att. c.p.c., che consente, a sua volta, la sospensione dell’ulteriore istruttoria “sino alla definizione del giudizio di cassazione”; dall’art. 398, comma 4, c.p.c., il quale consente la sospensione “fino alla comunicazione della sentenza che ha pronunciato sulla revocazione”; dagli artt. 624 e 624-bis c.p.c., i quali dettano la disciplina della sospensione nel processo di esecuzione; dall’art. 819-bis c.p.c. in tema di procedimento arbitrale.
3. I presupposti della sospensione
La sospensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c. può essere disposta quando la decisione dipenda dall’esito di altra causa, la quale abbia portata pregiudiziale in senso stretto ovvero vincolante, con effetto di giudicato, nell’ambito della causa pregiudicata (Sez. 6-3, n. 03299/2018, Olivieri, non massimata).
Sez. 6 – 3, n. 18082/2020, Iannello, Rv. 658515 – 01, ponendosi nel solco di un orientamento inaugurato da S.U. n. 27846/2013, Petitti, Rv. 628456 – 01 (seguito, tra le altre, da Sez. 6-1, n. 19056/2017, Marulli, Rv. 645684 – 01; Sez. 6-3, n. 15981/2018, Olivieri, Rv. 649429 – 01), ha ribadito che la sospensione prevista dall’art. 295 c.p.c. presuppone la pendenza davanti allo stesso o ad altro giudice di una controversia avente ad oggetto questioni pregiudiziali necessariamente diverse rispetto a quelle dibattute nel giudizio da sospendere, mentre, ove si verta in ipotesi di identità di questioni in discussione innanzi al giudice del processo del quale si chiede la sospensione ed in altra, diversa sede, detto giudice conserva il potere di pronunciare sul thema decidendum devoluto alla sua cognizione, potendo soltanto configurarsi gli estremi per far luogo o alla riunione dei procedimenti o ad una declaratoria di litispendenza o di continenza di cause.
Sez. 1, n. 12999/2019, Falabella, Rv. 653913 – 01, nel richiamare Sez. L, n. 05229/2016, Cavallaro, Rv. 639276 – 01 (secondo cui la ratio della sospensione del processo ai sensi dell’art. 295 c.p.c. è quella di evitare il rischio di un conflitto tra giudicati), ha affermato che la sospensione necessaria del giudizio, ex art. 295 c.p.c., ha lo scopo di evitare il conflitto di giudicati, sicché può trovare applicazione solo quando in altro giudizio (pendenti dinanzi allo stesso giudice o a due giudici diversi) debba essere decisa con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale in senso tecnico-giuridico, non anche qualora oggetto dell’altra controversia sia una questione pregiudiziale soltanto in senso logico, soccorrendo in tal caso la previsione dell’art. 336, comma 2, c.p.c. sul cd. effetto espansivo esterno della riforma o della cassazione di una sentenza sugli atti e i provvedimenti (comprese le sentenze) dipendenti dalla sentenza riformata o cassata.
Sez. 6 – 3, n. 26716/2019, Scoditti, Rv. 655509 – 01, ha confermato (conf. Sez. 3, n. 22878/2015, Armano, Rv. 638037 – 01) che la sospensione del processo presuppone, inoltre, che il rapporto di pregiudizialità tra due cause sia concreto ed attuale, nel senso che la causa ritenuta pregiudiziale deve essere tuttora pendente; nessun giudice, di legittimità o di rinvio, può disporre la sospensione del giudizio in attesa della definizione di altra causa non più effettivamente in corso.
Sez. 6 – L, n. 12996/2018, Di Paola, Rv. 648748-01, ha ribadito che, ai fini della sospensione necessaria del processo, non è configurabile un rapporto di pregiudizialità necessaria tra cause pendenti fra soggetti diversi, seppur legate fra loro da pregiudizialità logica, in quanto la parte rimasta estranea ad uno di essi può sempre eccepire l’inopponibilità, nei propri confronti, della relativa decisione.
Sulla falsariga di quanto statuito in tema di interruzione del processo, Sez. 6 – 2, n. 30738/2018, Grasso Giu., Rv. 651570-02, ha affermato che la sussistenza di una causa di sospensione del giudizio relativamente ad una sola di più domande cumulate nello stesso processo non è idonea, di per sè, a giustificare la sospensione del processo relativamente a tutte le domande, giacché l’art. 103, comma 2, c.p.c., richiamato dal successivo art. 104, comma 2, attribuisce al giudice il potere di disporre la separazione delle cause quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo ovvero di non disporla quando la separazione sia inopportuna.
4. Il regime giuridico della sospensione
La sospensione necessaria del processo per pregiudizialità, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., rispondendo, come detto, all’esigenza, di ordine pubblico, di evitare il conflitto di giudicati, deve essere disposta dal giudice di merito, non appena ne ravvisi i presupposti, anche d’ufficio, indipendentemente, cioè, da un’istanza di parte che, qualora formulata, equivale ad una semplice sollecitazione all’esercizio del potere officioso. Il principio, già enunciato da Sez. 3, n. 06572/2005, Segreto, Rv. 580622 – 01, è stato ribadito da Sez. 6 – 3, n. 23989/2019, Scrima, Rv. 655125 – 01.
Sez. 6-2, n. 17129/2015, Giusti, Rv. 636136, ha chiarito che il provvedimento di sospensione del processo, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., pur avendo la forma dell’ordinanza, non è revocabile dal giudice che lo ha pronunciato, poiché tale revocabilità confliggerebbe con la previsione della sua impugnabilità mediante regolamento necessario di competenza.
Sez. 6-3, n. 14469/2017, Sestini, Rv. 644629-01, ha affermato l’importante principio secondo cui, in tema di sospensione del processo ex art. 295 c.p.c., se nel giudizio pregiudicato si pone una questione pregiudiziale di rito idonea alla sua definizione, il giudice dello stesso non può adottare il provvedimento di sospensione senza averla prima decisa, in quanto la sua eventuale fondatezza rende irrilevante il vincolo di pregiudizialità.
5. L’impugnativa dell’ordinanza di sospensione
La sospensione del processo per pregiudizialità, detta anche propria, è disciplinata dall’art. 295 del codice di rito e comporta un arresto delle attività processuali, nella prospettiva, tuttavia, di una loro ripresa. Occorre preliminarmente evidenziare, nel quadro della disciplina di cui all’art. 42 c.p.c. – come novellato dalla legge 26 novembre 1990 n. 353 – che non vi è più spazio per una discrezionale, e non sindacabile, facoltà di sospensione del processo, esercitabile dal giudice al di fuori dei casi tassativi di sospensione legale: ove ammessa, infatti, una tale facoltà – oltre che inconciliabile con il disfavore nei confronti del fenomeno sospensivo, sotteso alla riforma del citato art. 42 del codice di rito – si porrebbe in insanabile contrasto sia con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), sia con il canone della durata ragionevole, che la legge deve assicurare nel quadro del giusto processo ai sensi del nuovo art. 111 Cost.; dalla esclusione della configurabilità di una sospensione facoltativa ope iudicis del giudizio, deriva sistematicamente, come logico corollario, la impugnabilità, ai sensi dell’art. 42 c.p.c., di ogni sospensione del processo, quale che ne sia la motivazione, e che il ricorso deve essere accolto ogni qualvolta non si sia in presenza di un caso di sospensione ex lege (Cass. S.U. n. 14670/2003, n. 16198/2013, n. 26863/2016; conf. Sez. 6 – 2, n. 30738/2018, Grasso Giu., Rv. 651570-01). Per contro il regolamento necessario di competenza non è ammesso contro il provvedimento che neghi la sospensione del processo, poiché la formulazione letterale dell’art. 42 c.p.c., di carattere eccezionale, prevede un controllo immediato solo sulla legittimità del provvedimento che tale sospensione concede, che incide significativamente sui tempi di definizione del processo stesso (Sez. 6-1, n. 05645/2017, Cristiano, Rv. 643987-01; Cass. n. 20344/2020). Tale diversità di disciplina manifestamente non si pone in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. – in quanto la proponibilità del regolamento avverso il provvedimento che dichiara la sospensione si fonda sull’esigenza di assicurare un controllo immediato avverso un provvedimento idoneo ad arrecare un irrimediabile pregiudizio alla parte che ne contesta la fondatezza, mentre l’illegittimità del provvedimento di rigetto della chiesta sospensione può utilmente dedursi con l’impugnazione della sentenza resa all’esito del processo, determinando, ove ritenuta sussistente, la riforma o la cassazione della sentenza pronunziata in violazione delle norme sulla sospensione necessaria – né con l’art. 111 Cost., atteso che il differente trattamento si fonda sulla diversità di effetti che le due ordinanze determinano e sull’esigenza di privilegiare il principio della durata ragionevole del processo, che rischierebbe di essere esposto ad un non lieve pregiudizio ove l’ordinamento non apprestasse un sollecito rimedio per assicurare l’immediata verifica della legittimità dell’ordinanza che abbia disposto la sospensione per pregiudizialità (Cass. n. 31694/2019).
L’ordinanza di sospensione è irrevocabile e l’eventuale provvedimento di revoca provoca la nullità dei successivi atti del procedimento e della sentenza emessa a definizione di esso. (Cass. n. 6479/2005).
Il giudice dell’unica causa concretamente pendente non può revocare, nè altrimenti sindacare, l’ordine di sospensione impartito nell’altra controversia, il quale può essere rimosso soltanto mediante l’impugnazione accordata alle parti dall’art. 42 c.p.c. (cfr. Cass. n. 24742/2006; n. 28520/2005).
6. La sospensione cd. impropria
In questa categoria sono ricomprese ipotesi in cui il processo, lungi dall’essere sospeso, viene deviato verso una specie di subprocedimento, deciso da un giudice diverso, destinato a rimuovere un ostacolo che ne impedisce la normale trattazione. Per esempio, quando è proposto regolamento di competenza o di giurisdizione davanti la Corte di cassazione, quando è stato ricusato il giudice adito, se è stata proposta querela di falso in appello o davanti al giudice di pace, se si verifica la rimessione alla Corte costituzionale affinché si pronunci sulla legittimità di una norma di legge o alla Corte di giustizia dell’Unione Europea per l’interpretazione di una norma comunitaria, etc.. Ai fini della tempestiva prosecuzione del processo, sospeso per la pendenza di un giudizio di legittimità costituzionale sulla disciplina applicabile nella causa a seguito di questione sollevata da altro giudice, il termine per la riassunzione decorre dalla data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale sulla Gazzetta ufficiale – che integra un idoneo sistema di pubblicità legale per la conoscenza delle sorti del processo costituzionale – e non dalla notificazione operata dalla parte interessata alle controparti a fini sollecitatori (Cass. n. 7580/2013).
7. Fattispecie concrete
«La sospensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c., nell’ipotesi di giudizio promosso per il riconoscimento di diritti derivanti da titolo, ricorre quando in un diverso giudizio tra le stesse parti si controverta dell’inesistenza o della nullità assoluta del titolo stesso, poiché al giudicato di accertamento della nullità, la quale impedisce all’atto di produrre ab origine qualunque effetto, sia pure interinale, si potrebbe contrapporre un distinto giudicato, di accoglimento della pretesa basata su quel medesimo titolo, contrastante con il primo; detto nesso di pregiudizialità necessaria non ricorre, invece, ove nel diverso giudizio si controverta di meri vizi di annullabilità del titolo, poiché l’eventuale annullamento non è incompatibile con la sua efficacia medio tempore, salvo restando la retroattività inter partes con i connessi obblighi di restituzione delle obbligazioni già eseguite» (Sez. 6-2, n. 5599/2022, Abete, Rv. 663817-01).
In tema di eccezione di compensazione cd. “impropria”, volta a contrapporre al credito principale una pretesa creditoria fondata sul medesimo rapporto Sez. 6-1, n. 23167/2022, Di Marzio, Rv. 665249-01, ha ritenuto che, qualora nel giudizio finalizzato all’accertamento di un credito sia opposto in compensazione un controcredito oggetto di contemporaneo accertamento in un separato procedimento, il primo giudizio non è suscettibile d’essere sospeso ex art. 295 c.p.c. nelle more della definizione del secondo con provvedimento coperto dal giudicato, ma deve essere, viceversa, deciso nel merito, con il rigetto dell’eccezione di compensazione in esso sollevata.
Sez. 2, n. 04672/2017, D’Ascola, Rv. 643364-02, ha escluso che tra il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per il pagamento di oneri condominiali e la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della delibera assembleare posta a sostegno della ingiunzione sussista un rapporto di pregiudizialità necessaria, tale da giustificare la sospensione del procedimento di opposizione ex art. 295 c.p.c., tenuto conto, da un lato, che il diritto di credito del condominio alla corresponsione delle quote di spesa per il godimento delle cose e dei servizi comuni non sorge con la delibera assembleare che ne approva il riparto, ma inerisce alla gestione dei beni e servizi comuni, sicché l’eventuale venir meno della delibera per invalidità, se implica la perdita di efficacia del decreto ingiuntivo, non comporta anche l’insussistenza del diritto del condominio di pretendere la contribuzione alle spese per i beni e servizi comuni di fatto erogati e considerato, dall’altro, che l’eventuale contrasto tra giudicati che potrebbe, in ipotesi, verificarsi in seguito al rigetto della opposizione ed all’accoglimento della impugnativa della delibera, potrebbe essere superato in sede esecutiva, facendo valere la perdita di efficacia del decreto ingiuntivo come conseguenza della dichiarata invalidità della delibera.
Il giudizio di opposizione all’esecuzione e quello nel quale sia impugnata la sentenza fatta valere come titolo esecutivo hanno, invece, presupposti diversi, cosicché tra di essi non ricorre un rapporto di pregiudizialità in senso tecnico-giuridico tale da giustificare, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., la sospensione necessaria del processo di opposizione (Sez. 6 – 1, n. 04035/2018, Falabella, Rv. 648476-01).
Per Sez. L, n. 04442/2017, Patti, Rv. 643266-01, tra il giudizio sull’an debeatur e quello sul quantum, contemporaneamente pendenti davanti a due giudici diversi, sussiste un rapporto di pregiudizialità in senso logico, e non anche in senso tecnico-giuridico, sicché non ricorre un’ipotesi di sospensione necessaria, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., essendo eventualmente applicabile l’art. 337, comma 2, c.p.c., che, in caso di impugnazione di una sentenza la cui autorità sia stata invocata in un separato processo, prevede soltanto la possibilità della sospensione facoltativa di quest’ultimo, con esclusione del rischio di un conflitto di giudicati in quanto, giusta l’art. 336, comma 2, c.p.c., la riforma o la cassazione della sentenza sull’an debeatur determina l’automatica caducazione di quella sul quantum.
Con riferimento invece al rapporto fra il giudizio di impugnazione di una sentenza parziale e quello che sia proseguito davanti al giudice che ha pronunciato detta sentenza, Sez. 6 – 3, n. 08664/2020, Tatangelo, Rv. 657832 – 01, ribadendo un consolidato orientamento di legittimità, ha nuovamente puntualizzato che l’unica possibilità di sospensione di quest’ultimo giudizio é quella su richiesta concorde delle parti ex art. 279, comma 4, c.p.c., che trova applicazione anche nel caso di sentenza parziale sul solo an debeatur, restando esclusa sia la sospensione ai sensi dell’art. 295 c.p.c. sia quella di cui al comma 2 dell’art. 337 c.p.c., per l’assorbente ragione che il giudizio é unico e che, per tale ragione, la sentenza resa in via definitiva é sempre soggetta alle conseguenze di una decisione incompatibile sulla statuizione oggetto della sentenza parziale.
Il credito litigioso, che trovi fonte in un atto illecito o in un rapporto contrattuale contestato in separato giudizio, è idoneo a determinare l’insorgere della qualità di creditore abilitato all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria avverso l’atto dispositivo compiuto dal debitore, sicché il relativo giudizio, come confermato da Sez. 6 – 3, n. 03369/2019, Scoditti, Rv. 653004 – 01 (v. Sez. 3, n. 02673/2016, Frasca, Rv. 638928 – 01), non è soggetto a sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. in rapporto alla pendenza della controversia sul credito da accertare e per la cui conservazione è stata proposta domanda revocatoria, poiché tale accertamento non costituisce l’indispensabile antecedente logico-giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, né può ipotizzarsi un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell’allegato credito litigioso, dichiari inefficace l’atto di disposizione e la sentenza negativa sull’esistenza del credito.
In tema di controversia tra l’avvocato ed il suo cliente per il pagamento del compenso spettante al primo, la trattazione della domanda introdotta dal cliente (anche se proposta in via riconvenzionale) deve, di regola, avvenire, previa separazione, con il rito ordinario a cognizione piena, con la conseguenza che, qualora la decisione sulla domanda separata sia pregiudiziale rispetto a quella della domanda di pagamento degli onorari, verrà in considerazione (anche se i processi rimangano incardinati davanti allo stesso giudice) l’art. 295 c.p.c., con conseguente sospensione della domanda proposta dal professionista sino alla definizione della domanda riconvenzionale (Cass., sez, II, 25.7.2023, n. 22382, Carrato).
Sez. 6-3, n. 21914/2015, Frasca, Rv. 637590, ha, tra l’altro, ricordato che, nell’ambito del rito sommario, è illegittima l’adozione di un provvedimento di sospensione ai sensi degli artt. 295 c.p.c. o 337, comma 2, c.p.c. (dovendosi, quando ricorrano i presupposti delle menzionate norme, procedere a disporre il passaggio dal rito sommario a quello di cognizione piena, atteso che si determina la necessità di un’istruzione non sommaria).
In ipotesi di cause in rapporto di continenza, ove non sia possibile rimettere, ai sensi dell’art. 39, comma 2, c.p.c., la causa successivamente proposta dinanzi al giudice preventivamente adito, perché le cause pendono in gradi diversi, l’esigenza di coordinamento, sottesa alla disciplina della continenza, va assicurata sospendendo, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., il processo che avrebbe dovuto subire l’attrazione dell’altro, in attesa della sua definizione con sentenza passata in giudicato (Sez. 6-2, n. 5340/2022, Dongiacomo, Rv. 664063-02 che, in applicazione del principio, ha ritenuto corretta la sospensione, ex art. 295 c.p.c., del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo emesso per il pagamento del medesimo credito, oggetto di altra causa, già pendente in un diverso grado e dinanzi ad un diverso ufficio giudiziario, legata da nesso di continenza).
8. I rapporti con gli artt. 336, secondo comma, e 337, secondo comma, c.p.c.
In tema di sospensione del giudizio per pregiudizialità necessaria, di particolare rilievo è l’arresto di Sez. U, n. 21763/2021, Carrato, Rv. 662227-03, che, pronunciando su una questione di massima di particolare importanza prospettata dall’ordinanza di remissione di Sez. 6-3, n. 362/2021, Graziosi, non massimata, ha enunciato, nell’interesse della legge ex art. 363, terzo comma, c.p.c., il principio secondo il quale, salvi i casi in cui la sospensione sia imposta da una disposizione normativa specifica che richieda di attendere la pronuncia con efficacia di giudicato sulla causa pregiudicante, quando fra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità tecnica e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato non può ritenersi obbligatoria ai sensi dell’art. 295 c.p.c. (e, se disposta, può essere proposta subito istanza di prosecuzione ex art. 297 c.p.c.), ma può essere adottata, in via facoltativa, ai sensi dell’art. 337, secondo comma, c.p.c., applicandosi, nel caso del sopravvenuto verificarsi di un conflitto tra giudicati, il disposto dell’art. 336, secondo comma, c.p.c. La citata ordinanza di remissione n. 00362/2021 aveva invocato una possibile rimeditazione sulla sentenza delle Sezioni unite n. 10027 del 2012 (sull’interpretazione dell’endiadi composta dagli artt. 295 e 297 c.p.c.), la cui portata, peraltro, non era stata pienamente condivisa nella successiva giurisprudenza dalla Corte (cfr., per tutte, Sez. 6-1 n. 17623/2020, Valitutti, Rv. 658720 – 01), con la quale era stato affermato che, pur essendo solo facoltativa la sospensione del processo ex art. 337, comma 2, c.p.c., perché può essere disposta in presenza di un rapporto di pregiudizialità in senso lato tra la causa pregiudicante e quella pregiudicata senza che la statuizione assunta nella prima abbia effetto di giudicato nella seconda, né richiede che le parti dei due giudizi siano identiche, quella disciplinata dall’art. 295 c.p.c. è sempre necessaria (e va mantenuta fino alla formazione del predetto giudicato), essendo, per l’appunto, finalizzata ad evitare il contrasto tra giudicati nei casi di pregiudizialità (tecnica) in senso stretto (e presuppone altresì l’identità delle parti dei procedimenti).
Sez. U, n. 21763/2021, Carrato, Rv. 662227-03, nell’enunciare il principio sopra riportato, pur evidenziando qualche distinguo e apportando ulteriori argomenti per corroborarne la fondatezza, ha ritenuto di condividere l’approdo raggiunto con la precedente sentenza n. 10027/2012, sottolineando che essa “si pone nella giusta – e ormai imprescindibile – ottica di limitare per quanto possibile i casi di applicazione dell’art. 295 c.p.c. per evitare l’enorme dilatazione della durata dei processi che la sospensione (forzatamente) necessaria comporterebbe (e, quindi, per assicurare, nella sua effettività, il principio della durata ragionevole del processo, nella specie di quello “pregiudicato”), esigenza alla quale contribuisce una razionale e mirata concezione dell’ambito e dei presupposti di operatività dell’art. 337, comma 2, c.p.c.” . La soluzione adottata dalle Sezioni unite nel 2012 costituisce, secondo le stesse Sezioni Unite del 2021, “un giusto bilanciamento tra diverse esigenze”: fin tanto che la causa pregiudicante penderà in primo grado, la causa dipendente resterà comunque soggetta a sospensione ai sensi dell’art. 295 c.p.c.. Negli ulteriori sviluppi processuali, si configurerà tuttavia la possibilità di sciogliere il vincolo necessario della sospensione ove una parte del giudizio pregiudicato si attivi per riassumerlo e sempre che il giudice non reputi opportuno mantenere lo stato di sospensione (ovvero di quiescenza), ma, a tal riguardo, facendo ricorso all’esercizio del potere facoltativo di sospensione previsto dall’art. 337, comma 2, c.p.c.
Per effetto dell’applicabilità del citato art. 336, comma 2, c.p.c. – che verrebbe ad assumere il ruolo di “norma di chiusura” (esplicante, cioè, la funzione di una sorta di “valvola di sicurezza”) la sentenza (già eventualmente) passata in giudicato sulla causa pregiudicata sarà colpita di riflesso in forza dell’effetto espansivo esterno conseguente alla riforma o alla cassazione della sentenza che definisce la causa pregiudiziale, ristabilendosi – ancorché ex post – l’armonia tra i giudicati. Nel solco di tale arresto si colloca la successiva Sez. 5 n. 34966/2021, Condello, Rv. 663052-01, secondo la quale l’ambito di applicazione dell’art. 337, comma 2, c.p.c. deve essere esteso alle impugnazioni diverse dalla revocazione straordinaria e dalla opposizione di terzo, e la stessa disposizione deve essere interpretata nel senso che essa impone al giudice l’alternativa di tenere conto della sentenza invocata – che è quella sulla quale può essere fondata un’azione o un’eccezione – senza alcun impedimento derivante dalla sua impugnazione o dalla sua impugnabilità, o di sospendere il processo nell’esercizio del suo potere discrezionale [cioè, una volta che la causa pregiudicante sia definita con sentenza non passata in giudicato, spetta al giudice della causa dipendente scegliere se 1) conformarsi alla predetta decisione, sciogliendo il vincolo necessario della sospensione, ove una parte del giudizio pregiudicato si attivi per riassumerlo, ovvero 2) attendere la sua stabilizzazione con il passaggio in giudicato, mantenendo lo stato di sospensione (ovvero di quiescenza) attraverso però il ricorso all’esercizio del potere facoltativo di sospensione previsto dall’art. 337, comma 2, c.p.c., ovvero 3) decidere in senso difforme quando, sulla base di una ragionevole valutazione prognostica, ritenga che tale sentenza possa essere riformata o cassata» (Sez. 2, n. 9470/2022, Falaschi, Rv. 664320-01).
Sez. 6-L, n. 00798/2015, Mancino, Rv. 634272, ha ritenuto che, quando tra due giudizi esista rapporto di pregiudizialità, e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato la sospensione del giudizio pregiudicato può essere disposta soltanto ai sensi dell’art. 337, comma 2, c.p.c., sicché, ove il giudice abbia provveduto ai sensi dell’art. 295 c.p.c., il relativo provvedimento, a prescindere da ogni accertamento circa la sussistenza del rapporto di pregiudizialità, è illegittimo e va annullato, ferma restando la possibilità, da parte del giudice di merito dinanzi al quale il giudizio andrà riassunto, di un nuovo e motivato provvedimento di sospensione ai sensi dell’art. 337, comma 2, c.p.c.
Salvi i casi in cui la sospensione del giudizio sulla causa pregiudicata sia imposta da una disposizione specifica (cfr. Sez. 6 – 2, n. 30738/2018, Giuseppe Grasso, Rv. 651570 – 01), che richieda di attendere la pronuncia con efficacia di giudicato sulla causa pregiudicante, quando fra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità, e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato non è, per Sez. L, n. 00080/2019, Ponterio, Rv. 652448 – 01, doverosa, ma può essere disposta, ai sensi dell’art. 337 c.p.c.
Riguardo alla sospensione del processo ex art. 337, comma 2, c.p.c. Sez. 6 – 1 n. 17623/2020, Valitutti, Rv. 658720 – 01 ha precisato che è solo facoltativa, perché può essere disposta in presenza di un rapporto di pregiudizialità in senso lato tra la causa pregiudicante e quella pregiudicata, senza che la statuizione assunta nella prima abbia effetto di giudicato nella seconda, né richiede che le parti dei due giudizi siano identiche, mentre quella disciplinata dall’art. 295 c.p.c. è sempre necessaria, essendo finalizzata ad evitare il contrasto tra giudicati nei casi di pregiudizialità in senso stretto e presuppone altresì l’identità delle parti dei procedimenti.
Anche il provvedimento di sospensione del processo ex art. 337, comma 2, c.p.c. può essere impugnato, in applicazione analogica di quanto previsto dall’art. 42 c.p.c. per le ordinanze di sospensione del processo per cd. pregiudizialità-dipendenza, mediante regolamento di competenza (Cass. n. 14337/2019).
9. La pregiudizialità penale
Per quanto concerne l’azione di risarcimento danni da reato, a differenza del passato in cui il nostro ordinamento, in ossequio anche al dogma della coerenza ed unitarietà del sistema processuale, sanciva la prevalenza del giudizio penale su quello civile con la conseguente necessaria sospensione di quest’ultimo quando i fatti base della controversia civile erano gli stessi oggetto di accertamento in sede penale, oggi vale di regola il principio della separazione.
Sez. 6-2, n. 00313/2015, Giusti, Rv. 633943, ha precisato che la sospensione necessaria del processo civile per pregiudizialità penale, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., nell’ipotesi in cui alla commissione del reato oggetto dell’imputazione penale una norma di diritto sostanziale ricolleghi un effetto sul diritto oggetto del giudizio civile, è subordinata alla condizione della contemporanea pendenza dei due processi, civile e penale, e, quindi, dell’avvenuto esercizio dell’azione penale da parte del P.M. nei modi previsti dall’art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione o la richiesta di rinvio a giudizio, sicché tale sospensione non può essere disposta sul presupposto della mera presentazione di una denuncia e della conseguente apertura di indagini preliminari. In quest’ottica, Sez. 6 – 2, n. 11688/2018, Cosentino, Rv. 648376-01, ha accolto il ricorso proposto da un avvocato avverso l’ordinanza con la quale il giudice civile aveva sospeso il giudizio relativo all’accertamento di un suo credito professionale sul presupposto della mera presentazione, dalla parte patrocinata, di una querela di falso relativa alla sottoscrizione della procura ad litem.
Per Sez. 6-2, n. 06510/2016, Giusti, Rv. 639706, non sussiste rapporto di pregiudizialità tra il processo penale avente ad oggetto i reati di falso e truffa ed il processo civile volto ad ottenere una pronuncia ex art. 2932 c.c., atteso che, per rendere dipendente la decisione civile dalla definizione del giudizio penale, non basta che nei due processi rilevino gli stessi fatti, ma occorre che l’effetto giuridico dedotto nel processo civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto di imputazione nel giudizio penale.
La sospensione necessaria del processo civile ai sensi degli artt. 295 c.p.c., 654 c.p.p. e 211 disp. att. c.p.p., in attesa del giudicato penale, può essere disposta solo se una norma di diritto sostanziale ricolleghi alla commissione del reato un effetto sul diritto oggetto del giudizio civile ed a condizione che la sentenza penale possa avere, nel caso concreto, valore di giudicato nel processo civile (cfr. Sez. 6 – 3, n. 07617/2017, Frasca, Rv. 643820; conf. Sez. 6-3, n. 15248/2021, Cirillo F. M., Rv. 661669-01).
Si inserisce nel solco di un orientamento ormai consolidato Sez. 1, n. 15470/2017, Genovese, Rv. 644464-01, secondo cui, in materia di rapporti tra giudizio civile e penale, l’art. 652 c.p.p., innovando rispetto alla disciplina di cui al previgente sistema, fondato sulla prevalenza del processo penale su quello civile, si ispira al principio della separatezza dei due giudizi, prevedendo che il giudizio civile di danno debba essere sospeso soltanto allorché l’azione civile, ex art. 75 c.p.p., sia stata proposta dopo la costituzione di parte civile in sede penale o dopo la sentenza penale di primo grado, in quanto esclusivamente in tali casi si verifica una concreta interferenza del giudicato penale nel giudizio civile di danno, che pertanto non può pervenire anticipatamente ad un esito potenzialmente difforme da quello penale in ordine alla sussistenza di uno o più dei comuni presupposti di fatto.
Inoltre, il giudizio civile di risarcimento del danno da fatto illecito è soggetto a sospensione necessaria per pregiudizialità penale, ai sensi dell’art. 295 c.p.c. ed in relazione all’art. 211 disp. att. c.p.p., solo quando tra i fatti costitutivi del diritto risarcitorio vi sia una fattispecie di reato ascritta al soggetto convenuto in giudizio.
Sez. 2, n. 1443/2022, Orilia, Rv. 663628-01, ha escluso la sospensione totale o parziale del processo civile, quando non vi è una perfetta coincidenza delle parti dei due giudizi, configurabile quando non solo l’imputato, ma anche il responsabile civile e la parte civile abbiano partecipato al processo penale.
Sez. U, n. 13661/2019, Perrino, Rv. 653898 – 01, ha statuito che la sospensione non si applica qualora il danneggiato proponga azione di danno nei confronti del danneggiante e dell’impresa assicuratrice della responsabilità civile dopo la pronuncia di primo grado nel processo penale nel quale il (solo) danneggiante sia imputato.
Sulla scia di Sez. 3, n. 6185/2009, Frasca, Rv. 607661 – 01, Sez. 6 – 3, n. 9066/2020, Rubino, Rv. 657663 – 01, ha ribadito che la sospensione necessaria del processo civile ai sensi dell’art. 75, comma 3, c.p.p. presuppone che il danneggiato abbia prima esercitato l’azione civile in sede penale mediante la costituzione di parte civile e, successivamente, proposto la medesima azione in sede civile, non trovando applicazione detta norma quando il danneggiato agisca in sede civile non solo contro l’imputato, ma anche contro altri coobbligati al risarcimento.
10. La pregiudizialità amministrativa
In base agli artt. 4 e 5 della legge 20.3.1865 n. 2248 allegato E (la legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo) possono porsi tre ipotesi: l’atto amministrativo emesso è nullo o inesistente ed allora il g.o. può conoscerne; l’atto della p.a. è valido ovvero, anche se invalido, è efficace ed allora il g.o. non può sindacarlo; è possibile eccezionalmente una doppia tutela ed il g.o. può disapplicare l’atto amministrativo illegittimo, ma solo nelle controversie tra privati (Verde). Dopo l’introduzione di numerosi settori di giurisdizione esclusiva riservata al giudice amministrativo (il quale ha dunque cognizione sia dei diritti soggettivi che degli interessi legittimi) e, soprattutto, dopo l’emanazione del codice del processo amministrativo (che riconosce il potere generale del g.a. di emettere sentenze di condanna anche in ambiti nei quali per il passato era necessario rivolgersi al g.o. per il risarcimento e/o le reintegrazioni dopo aver ottenuto l’annullamento dell’atto amministrativo: cd. pregiudiziale amministrativa), sono sempre più rari i casi di pregiudizialità tra giudice ordinario e giudice amministrativo. Per la S.C., la pregiudizialità di una controversia amministrativa è configurabile solo laddove entrambi i giudizi pendano tra le stesse parti ed il giudice amministrativo sia chiamato a definire questioni di diritto soggettivo in sede di giurisdizione esclusiva e non anche qualora innanzi allo stesso sia impugnato un provvedimento incidente su interessi legittimi, potendo, in quest’ultima ipotesi, il giudice ordinario (sempre che la controversia penda tra privati) disapplicare il provvedimento amministrativo (Cass. n. 20491/2018). Altrimenti il giudice ordinario deve decidere la controversia considerando validi ed efficaci i provvedimenti amministrativi se ed in quanto non impugnati o non utilmente contestati presso l’A.G.A., titolare di giurisdizione esclusiva al riguardo, mentre, qualora siano sub iudice, è tenuto a sospendere il processo ex art. 295 c.p.c. (Cass. S.U. n. 23536/2019).
In tema di sospensione necessaria del processo si segnala che sono intervenute, in sede di regolamento di competenza, le Sezioni Unite della Corte (Sez. U, n. 30148/2022, Falaschi, Rv. 666057-01) affermando che, benché nel testo dell’art. 295 c. p. c., modificato dall’art. 35 della l. n. 353 del 1990, manchi il riferimento ad una pregiudiziale “controversia amministrativa” (presente, invece, nella precedente formulazione), non può escludersi, in via di principio, la configurabilità di una sospensione necessaria in pendenza di un giudizio amministrativo, che deve ritenersi ammissibile qualora sia imposta dall’esigenza di evitare un conflitto di giudicati, ipotesi che però non ricorre se il possibile contrasto riguardi soltanto gli effetti pratici dell’una o dell’altra pronuncia, e se, in particolare, tra i giudizi sussista diversità di parti, ostandovi in questo caso il rispetto del principio del contraddittorio.
Ai fini della sospensione necessaria del processo civile ai sensi dell’art. 295 c.p.c., la pregiudizialità di una controversia amministrativa è configurabile, alla stregua di quanto chiarito da Sez. 6 – 3, n. 20491/2018, Olivieri, Rv. 650478-01, solo ove entrambi i giudizi pendano tra le stesse parti ed il giudice amministrativo sia chiamato a definire questioni di diritto soggettivo in sede di giurisdizione esclusiva e non anche qualora innanzi allo stesso sia impugnato un provvedimento incidente su interessi legittimi, potendo, in quest’ultima ipotesi, il giudice ordinario disapplicare il provvedimento amministrativo.
11. Altre pregiudizialità
Una particolare ipotesi di sospensione è stata evidenziata da Sez. 3, n. 12685/2021, Rossetti, Rv. 661329-01, in relazione alla sospensione del processo esecutivo nelle more della divisione dei beni pignorati, ai sensi dell’art. 601 c.p.c. (cd. divisione “endoesecutiva”): tale disposizione, precisa la pronuncia citata, integra una ipotesi speciale della sospensione per pregiudizialità necessaria prevista in via generale dall’art. 295 c.p.c.; pertanto, in applicazione estensiva dell’art. 297 c.p.c., il processo va riassunto nel termine di tre o sei mesi (secondo la disciplina applicabile ratione temporis) dalla pronuncia dell’ordinanza non impugnabile di cui all’art. 789, comma 3, c.p.c., ove non vi siano contestazioni, oppure dal passaggio in giudicato della sentenza che risolve le eventuali contestazioni.
Merita di essere segnalata altresì una pronuncia relativa al giudizio tributario, al quale la sospensione ex art. 295 c.p.c. è applicabile in forza dell’art. 1 del d.lgs. n. 546 del 1992.
Sez. 5, n. 01574/2021, Federici, Rv. 660244-01, in tema di redditi da partecipazione in società di capitali a base ristretta, ha statuito che, ogni qual volta vi sia pendenza separata dei giudizi relativi all’accertamento del maggior reddito contestato alla società di capitali e di quello di partecipazione conseguentemente contestato al singolo socio, si impone la sospensione ex art. 295 c.p.c. in attesa del passaggio in giudicato della sentenza emessa nei confronti della società, costituente l’antecedente logico-giuridico non solo nelle ipotesi di controversie su contestazioni di utili extracontabili ma in tutti i casi di contestazione rivolti alla compagine sociale relativi ai maggiori redditi derivanti da ricavi non dichiarati o da costi non sostenuti.
12. La riassunzione del processo sospeso
Sez. 3, n. 05955/2016, Cirillo, Rv. 639367, ha chiarito che la riassunzione di un processo sospeso (nella specie a seguito del terremoto che ha colpito la città di L’Aquila il 6 aprile 2009), è tempestiva quando il corrispondente ricorso sia stato depositato in cancelleria nel termine perentorio previsto dall’art. 297, comma 1, c.p.c,, per cui la mancata successiva notifica del detto ricorso, unitamente al pedissequo decreto di fissazione dell’udienza, non determina l’estinzione del giudizio, dovendo invece il giudice fissare un nuovo termine per la notifica a norma dell’art. 291 c.p.c..
Il termine per la riassunzione del processo a seguito della cessazione della causa di sospensione, costituita dall’esistenza di una controversia pregiudiziale, decorre solo in forza di una conoscenza legale del provvedimento finale, conseguita per effetto di un’attività svolta nel processo, della quale la parte sia destinataria o che essa stessa ponga in essere, che sia dunque normativamente idonea a determinare di per sé detta conoscenza, o tale, comunque, da farla considerare acquisita con effetti esterni rilevanti sul piano processuale (Sez. 1, n. 19936/2017, Nazzicone, Rv. 645201-01).
Durante la sospensione del processo, come affermato da Sez. 3, n. 01580/2020, Dell’Utri, Rv. 656649 – 01 (dando continuità ad un principio enunciato da Sez. U., n. 23836/2004, Vitrone, Rv. 581549 – 01, seguite, tra le altre, da Sez. 2, n. 3718/2013, Bertuzzi, Rv. 624941 – 01) non possono essere compiuti, ai sensi dell’art. 298, comma 1, c.p.c., atti del procedimento, con la conseguenza che è inefficace, poiché funzionalmente inidonea a provocare la riattivazione del giudizio e motivo di nullità per derivazione di tutti gli eventuali atti successivi, l’istanza di riassunzione proposta prima della cessazione della causa di sospensione, ovvero anteriormente al passaggio in giudicato della sentenza che abbia definito la controversia pregiudiziale, senza che rilevi, al fine del superamento di detta sanzione, il sopravvenuto venire meno della medesima causa.
In ordine alla riassunzione del processo sospeso la Corte ha ritenuto, in un caso in cui il ricorso ex art. 297 c.p.c. era stato depositato dagli eredi di una delle parti, che non è richiesta la notifica al convenuto contumace, non rientrando nell’elenco degli atti tassativamente indicati dall’art. 292 c.p.c., né comportando un radicale mutamento della preesistente situazione processuale, sotto il profilo oggettivo o soggettivo, posto che gli eredi subentrano al loro dante causa nella medesima posizione processuale in cui quest’ultimo si trovava, senza poter operare alcuna sostanziale modificazione delle domande e delle eccezioni già precedentemente proposte in giudizio (Sez. 1, n. 26800/2022, Meloni, Rv. 665632-01).
Quando il processo sospeso viene proseguito, le parti già costituite prima della sospensione conservano tale qualità, quand’anche non dovessero comparire in udienza, e non possono perciò essere dichiarate contumaci (Cass. n. 12790/2012).