Sommario: 1. Premessa; 2. I precedenti; 3. La sentenza della Grande Sezione del 4.10.2024; 4. La necessità di un’autorità “terza”

1. Appare opportuno esaminare la pronuncia resa di recente, in data 4 ottobre 2024, dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in materia, tra l’altro, di necessità di un’autorizzazione giudiziaria e, segnatamente da parte di un giudicante, per l’accesso e l’apprensione, ai fini delle indagini penali, di dati (messaggi, foto e altro) di regola contenuti in un telefonino (strumento, ormai, di uso comune, contenitore, di fatto, di dati potenzialmente idonei a ricostruire la vita di ciascuno di noi).

La riflessione si impone, a parere di chi scrive, perché pure collocandosi in linea con altre pronunce in materia della stessa Corte di Giustizia, quella che ci si accinge ad esaminare, a ben vedere, sembra confermare ciò che in altre occasioni si è avuto modo di sostenere: non necessariamente ogni accesso ai dati afferenti a comunicazioni deve essere soggetto a preventiva autorizzazione di un “giudice” in quanto tale[1].

2. Come detto la pronuncia che costituisce lo spunto per le presenti riflessioni è l’ultima di una serie in materia.

Il riferimento è, innanzitutto, alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, Grande Sezione, del 2 marzo 2021 (causa C-746/18) nel caso H.K., che ha stabilito che l’art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 luglio 20023 – relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche, come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento e del Consiglio del 25 novembre 2009 – letto alla luce degli artt. 7, 8 e 11, nonché dell’art. 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea “deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, la quale consenta l’accesso di autorità pubbliche ad un insieme di dati relativi al traffico o di dati relativi all’ubicazione, idonei a fornire informazioni sulle comunicazioni effettuate da un utente di un mezzo di comunicazione elettronica o sull’ubicazione delle apparecchiature terminali da costui utilizzate e a permettere di trarre precise conclusioni sulla sua vita privata, per finalità di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento di reati, senza che tale accesso sia circoscritto a procedure aventi per scopo la lotta contro forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica, e ciò indipendentemente dalla durata del periodo per il quale l’accesso ai dati suddetti viene richiesto, nonché dalla quantità o dalla natura dei dati disponibili per tale periodo[2].

Parimenti lo stesso art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE (modificato dalla direttiva 2009/136/CE), secondo la Corte di giustizia, “osta ad una normativa nazionale, la quale renda il Pubblico Ministero, il cui compito è dirigere il procedimento istruttorio penale e di esercitare, eventualmente, l’azione penale in un successivo procedimento, competente ad autorizzare l’accesso di un’autorità pubblica ai dati relativi al traffico e ai dati relativi all’ubicazione ai fini dell’istruttoria penale”.

Tale accesso, in sostanza, dovrebbe essere autorizzato solo da un giudice o, comunque, da un’autorità amministrativa indipendente, idonea, questa la logica sottostante, a contemperare gli interessi in gioco in modo imparziale.

Il legislatore, ritenendo di conformarsi a quanto indicato e assumendo, con tutta evidenza, l’idea che il P.M. nel nostro ordinamento non possa considerarsi autorità indipendente, ha reputato necessario intervenire in materia di tabulati telefonici, statuendo che anche per l’acquisizione dei tabulati, dati afferenti a comunicazioni, sia necessaria di regola l’autorizzazione di un giudice.

Più precisamente l’art. 132, terzo comma, del d.lgs. 196 del 2003, come novellato dalla L. 23 novembre n. 178, di conversione del d.l. 30 settembre 2021, n. 132, prevede che: «Entro il termine di conservazione imposto dalla legge, se sussistono sufficienti indizi di reati per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, determinata a norma dell’articolo 4 del codice di procedura penale, e di reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia e il disturbo sono gravi, ove rilevanti per l’accertamento dei fatti, i dati sono acquisiti previa autorizzazione rilasciata dal giudice con decreto motivato, su richiesta del pubblico ministero o su istanza del difensore dell’imputato, della persona sottoposta a indagini, della persona offesa e delle altre parti private».

La norma, in sostanza, ha recepito la necessità di un provvedimento del giudice, con l’unica eccezione delle ragioni di urgenza connesse a un eventuale pregiudizio alle indagini, posto che in tale evenienza: «Quando ricorrono ragioni di urgenza e vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio alle indagini, il pubblico ministero dispone la acquisizione dei dati con decreto motivato che è comunicato immediatamente, e comunque non oltre quarantotto ore, al giudice competente per il rilascio dell’autorizzazione in via ordinaria. Il giudice, nelle quarantotto ore successive, decide sulla convalida con decreto motivato» – art. 132, comma 3 bis -.

Nello stesso solco si sono collocate, sul piano giurisprudenziale, le pronunce nn. 44154 e 44155 del 2023, emesse dalla Suprema Corte.

Con le predette pronunce l’organo nomofilattico è intervenuto a seguito di ricorsi avverso provvedimenti di due distinti Tribunali del Riesame che hanno confermato le ordinanze con cui i GIP, in prima istanza, avevano applicato misure cautelari personali ritenendo integrata la gravità indiziaria in forza di intercettazioni telematiche di cui il ricorrente eccepiva l’inutilizzabilità assoluta (sentenza 44155) o in forza di messaggi scambiati su una chat operante sulla piattaforma di messaggistica criptata “SKYECC” (sentenza 44154).

In entrambi casi il materiale probatorio era stato acquisito dal pubblico ministero mediante l’emissione di ordini europei di indagine.

Nella prima ipotesi il nucleo della questione posto al vaglio della Suprema Corte era la legittimità della acquisizione al processo penale italiano, tramite O.E.I. emesso da pubblico ministero italiano, delle risultanze di captazioni di conversazioni vere e proprie intercettate, a mezzo captatore informatico, su disposizione delle Autorità dello Stato estero.

La Suprema Corte ha osservato che nell’attuale sistema per l’acquisizione dei risultati di una intercettazione svolta all’estero, non sia sufficiente che tale prova sia stata autorizzata da un giudice di uno Stato membro nel rispetto della legislazione di tale Stato, ma occorre il controllo – che non può che essere affidato al giudice nazionale – sulla ammissibilità e sulla utilizzazione della prova stessa secondo la legislazione italiana.

Ciò sulla base della considerazione che la direttiva O.E.I. non ha disciplinato l’utilizzabilità della prova acquisita tramite O.E.I., rinviando per tale aspetto al diritto della Stato di emissione, fatti salvi in ogni caso i «diritti della difesa» e la garanzia di «un giusto processo» nel valutare le prove acquisite tramite l’O.E.I.

Nel caso delle intercettazioni ciò significa avere riguardo sia all’art. 270 c.p.p.  – che regola l’utilizzazione di intercettazioni acquisite in altro procedimento – sia alle norme che regolamento l’ammissibilità di tale mezzo di ricerca della prova nel nostro ordinamento.

Parzialmente diverso il caso oggetto della pronuncia n. 44154.

La censura mossa dal ricorrente in Cassazione atteneva sempre alla utilizzabilità di materiale probatorio acquisito dallo stato estero tramite O.E.I. emesso dal pubblico ministero italiano, ma il materiale probatorio era costituito da messaggi scambiati dagli indagati su una chat operante sulla piattaforma di messaggistica criptata «Skyecc».

Nell’impostazione accusatoria, di fatto condivisa dal giudice di prime cure e dal Tribunale del riesame, tale materiale probatorio doveva considerarsi legittimamente acquisito ed utilizzabile in quanto integrante dei veri e propri «documenti informatici».

La Corte, invece, ha valorizzato la forza di invadenza della sfera privata dei messaggi di testo, sottolineando come  sebbene gli stessi non siano comunicazione in senso dinamico e, dunque, certo la loro apprensione non sia assimilabile alla vera e propria attività captativa, sono, tuttavia, anche quando conservati e successivamente acquisiti, dati esterni relativi ad una avvenuta comunicazione che nell’attuale contesto normativo nazionale e sovranazionale richiedono necessariamente il provvedimento di un Giudice per essere legittimamente acquisiti, con ciò, peraltro, in linea con gli antecedenti della stessa Corte di Giustizia e le scelte normative in materia di tabulati.

3. Nel predetto contesto si inserisce la pronuncia in oggetto.

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte, anche nel caso in esame, sull’interpretazione dell’articolo 5 e dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche) (GU 2002, L 201,pag. 37), come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25novembre 2009 (GU 2009, L 337, pag. 11) (in prosieguo: la «direttiva 2002/58»), letto alla luce degli articoli 7, 8, 11, 41 e 47 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra CG e la BezirkshauptmannschaftLandeck (autorità amministrativa distrettuale di Landeck, Austria) in merito al sequestro del telefono cellulare di CG da parte delle autorità di polizia e ai tentativi di queste ultime, nell’ambito di un’indagine in materia di traffico di stupefacenti, di sbloccare tale telefono per accedere ai dati in esso contenuti.

Il fatto storico che ha originato il giudizio nell’ambito del quale sono state sollevate le questioni pregiudiziali era il seguente: durante un controllo in materia di stupefacenti, un pacco indirizzato a CG, contenente 85 grammi di cannabis, è stato sequestrato dagli agenti dell’ufficio doganale di Innsbruck (Austria). Tale pacco è stato trasmesso, per esame, al commissariato centrale di polizia di St. Anton amArlberg (Austria); due agenti di polizia di tale commissariato hanno effettuato una perquisizione nell’appartamento di CG, nel corso della quale hanno anche proceduto ad interrogarlo in merito al mittente del pacco; durante tale perquisizione, i funzionari di polizia hanno chiesto di accedere ai dati di connessione del telefono cellulare di CG; a seguito del rifiuto opposto da quest’ultimo, gli agenti di polizia hanno proceduto al sequestro del telefono cellulare, contenente una carta SIM e una carta SD, e hanno consegnato a CG il verbale di sequestro; successivamente, detto telefono cellulare è stato consegnato, ai fini del suo sblocco, ad un esperto della stazione di polizia del distretto di Landeck (Austria); poiché questi non era riuscito a sbloccare il telefono cellulare di cui trattasi, quest’ultimo è stato inviato al Bundeskriminalamt (Ufficio federale di polizia giudiziaria) di Vienna (Austria), dove è stato compiuto un nuovo tentativo di sblocco; il sequestro del telefono cellulare di CG nonché i successivi tentativi di analizzare tale telefono sono stati effettuati di propria iniziativa dagli agenti di polizia interessati, senza che questi ultimi fossero stati autorizzati dal pubblico ministero o da un giudice; il 31 marzo 2021 CG ha proposto dinanzi al Landesverwaltungsgericht Tirol (Tribunale amministrativo regionale del Tirolo, Austria), il giudice del rinvio, un ricorso diretto a contestare la legittimità del sequestro del suo telefono cellulare.

La Corte si premura, innanzitutto, di ricostruire il contesto normativo[3].

Ricostruito il contesto normativo e con specifico riferimento alla questione che in questa sede rileva osserva la Corte:

78 Il giudice del rinvio ha espressamente contemplato, nelle sue questioni prima e seconda, da un lato, l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, il quale richiede in particolare che le misure legislative di cui consente l’adozione da parte degli Stati membri, volte a limitare la portata dei diritti e degli obblighi previsti da varie disposizioni di tale direttiva, costituiscano una misura necessaria, opportuna e proporzionata all’interno di una società democratica per la salvaguardia della sicurezza nazionale (cioè della sicurezza dello Stato), della difesa, della sicurezza pubblica, o per garantire la prevenzione, la ricerca, l’accertamento e il perseguimento dei reati, o dell’uso non autorizzato del sistema di comunicazione elettronica e, dall’altro, l’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, che sancisce il principio di proporzionalità nel contesto della limitazione all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Carta.

79 Orbene, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2016/680, gli Stati membri devono prevedere che i dati personali siano adeguati, pertinenti e non eccessivi rispetto alle finalità perle quali sono trattati. Tale disposizione richiede quindi il rispetto, da parte degli Stati membri, del principio di «minimizzazione dei dati», che dà espressione al principio di proporzionalità [sentenza del30 gennaio 2024, Direktor na Glavna direktsia «Natsionalna politsia» pri MVR – Sofia, C‑118/22,EU:C:2024:97, punto 41 e giurisprudenza citata).

80 Ne consegue che, in particolare, la raccolta di dati personali nell’ambito di un procedimento penale e la loro conservazione da parte delle autorità di polizia per le finalità di cui all’articolo 1, paragrafo 1, di tale direttiva devono, come qualsiasi trattamento rientrante nel campo di applicazione di quest’ultima, rispettare quest’ultimo principio (sentenza del 30 gennaio 2024, Direktor na Glavna direktsia«Natsionalna politsia» pri MVR – Sofia, C‑118/22, EU:C:2024:97, punto 42 e giurisprudenza citata).

81 Pertanto, occorre considerare che, con le sue questioni prima e seconda, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2016/680, letto alla luce degli articoli 7 e 8 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, osti a una normativa nazionale che riconosce alle autorità competenti la possibilità di accedere ai dati contenuti in un telefono cellulare, a fini di prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento dei reati in generale e che non assoggetta l’esercizio di tale possibilità a un controllo preventivo da parte di un giudice o di un organo amministrativo indipendente.

82 In via preliminare, occorre rilevare che, come risulta dai considerando 2 e 4 della direttiva 2016/680, costruendo al contempo un quadro giuridico solido e coerente in materia di protezione dei dati personali al fine di garantire il rispetto del diritto fondamentale alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei loro dati personali, riconosciuto all’articolo 8, paragrafo 1, della Carta e all’articolo 16, paragrafo 1, TFUE, tale direttiva è intesa a contribuire alla realizzazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia all’interno dell’Unione [v., in tal senso, sentenza del 25 febbraio 2021,Commissione/Spagna (Direttiva sui dati personali – Settore penale), C‑658/19, EU:C:2021:138, punto75].

83 A tal fine, la direttiva 2016/680 mira in particolare, come rilevato al punto 74 della presente sentenza, a garantire un livello elevato di protezione dei dati personali delle persone fisiche.

84 A tale proposito, occorre ricordare che, come evidenziato dal considerando 104 della direttiva 2016/680, le limitazioni che tale direttiva consente di apportare al diritto alla protezione dei dati personali, previsto all’articolo 8 della Carta, nonché al diritto al rispetto della vita privata e familiare, tutelato dall’articolo 7 di tale Carta, devono essere interpretate conformemente ai requisiti di cui all’articolo 52, paragrafo 1, di quest’ultima, i quali includono il rispetto del principio di proporzionalità (v., in tal senso, sentenza del 30 gennaio 2024, Direktor na Glavna direktsia «Natsionalna politsia» priMVR – Sofia, C‑118/22, EU:C:2024:97, punto 33).

85 Infatti, tali diritti fondamentali non sono prerogative assolute, ma vanno considerati alla luce della loro funzione sociale e bilanciati con altri diritti fondamentali. Eventuali limitazioni all’esercizio di detti diritti fondamentali, conformemente all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, deve essere prevista dalla legge e rispettare il contenuto essenziale dei medesimi diritti fondamentali nonché il principio di proporzionalità. In virtù di tale principio, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui. Esse devono operare nei limiti dello stretto necessario e la normativa che comporta le limitazioni controverse deve prevedere norme chiare e precise che ne disciplinano la portata e l’applicazione (sentenza del 30 gennaio 2024, Direktor naGlavna direktsia «Natsionalna politsia» pri MVR – Sofia, C‑118/22, EU:C:2024:97, punto 39 e giurisprudenza citata).

86 Per quanto riguarda, in primo luogo, la finalità di interesse generale che può giustificare una limitazione all’esercizio dei diritti fondamentali sanciti agli articoli 7 e 8 della Carta, come quella derivante dalla normativa di cui trattasi nel procedimento principale, occorre sottolineare che un trattamento di dati personali nell’ambito di un’indagine di polizia diretta alla repressione di un reato, come un tentativo di accesso ai dati contenuti in un telefono cellulare, deve essere considerato, in linea di principio, effettivamente rispondente a una finalità di interesse generale riconosciuta dall’Unione, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta.

87 Per quanto attiene, in secondo luogo, al requisito della necessità di tale limitazione, come sottolineato, in sostanza, nel considerando 26 della direttiva 2016/680, tale requisito non è soddisfatto quando l’obiettivo di interesse generale perseguito sia ragionevolmente conseguibile in modo altrettanto efficace con altri mezzi, meno pregiudizievoli per i diritti fondamentali degli interessati (v., in tal senso, sentenza del 30 gennaio 2024, Direktor na Glavna direktsia «Natsionalna politsia» pri MVR – Sofia,C‑118/22, EU:C:2024:97, punto 40 e giurisprudenza citata).

88 Per contro, il requisito della necessità è soddisfatto qualora l’obiettivo perseguito dal trattamento di dati di cui trattasi non possa ragionevolmente essere conseguito in modo altrettanto efficace con altri mezzi meno lesivi dei diritti fondamentali delle persone interessate, in particolare dei diritti al rispetto della vita privata e familiare e alla protezione dei dati personali garantiti agli articoli 7 e 8 della Carta[sentenza del 26 gennaio 2023, Ministerstvo na vatreshnite raboti (Registrazione di dati biometrici egenetici da parte della polizia) C‑205/21, EU:C:2023:49, punto 126 e giurisprudenza citata).

89 Per quanto concerne, in terzo luogo, la proporzionalità della limitazione all’esercizio dei diritti fondamentali garantiti agli articoli 7 e 8 della Carta, derivante da tali trattamenti, essa implica una ponderazione di tutti gli elementi pertinenti del caso di specie (v., in tal senso, sentenza del 30 gennaio2024, Direktor na Glavna direktsia «Natsionalna politsia» pri MVR – Sofia, C‑118/22, EU:C:2024:97,punti 62 e 63 e giurisprudenza citata).

90 Tra tali elementi rientrano, in particolare, la gravità della limitazione così apportata all’esercizio dei diritti fondamentali di cui trattasi, la quale dipende dalla natura e dalla sensibilità dei dati ai quali le autorità di polizia competenti possono avere accesso, l’importanza dell’obiettivo di interesse generale perseguito da tale limitazione, il collegamento esistente tra il proprietario del telefono cellulare e il reato di cui trattasi o, ancora, la pertinenza dei dati in questione per l’accertamento dei fatti”.

In sostanza, la Corte delinea, innanzitutto, i presupposti sostanziali che possono legittimare l’accesso ai dati contenuti in un telefonino, accesso che, correttamente si osserva, può essere di assoluta gravità, in termini di grado di penetrazione della sfera privata dell’individuo.

Da qui la necessità che i presupposti per l’accesso, e per tale grave penetrazione nella sfera privata di chi è indagato in un procedimento penale, siano vagliati con particolare rigore, da un’autortità indipendente, che possa serenamente esplorarli e realizzare il contemperamento degli interessi in gioco.

Tale autorità non potrà che esser un giudice o un’autorità amministrativa indipendente.

Si riportano, in merito gli eloquenti paragrafi nn. 101 e ss. della sentenza in esame:

101 A tale proposito, per quanto riguarda, in particolare, l’accesso a dati contenuti nel telefono cellulare della persona sottoposta ad indagine penale, come nel procedimento principale, è necessario che l’esistenza di sospetti ragionevoli nei suoi confronti, indicanti che essa ha commesso, commette o intende commettere un reato, o che è implicata in un modo o nell’altro in tale reato, sia suffragata da elementi oggettivi e sufficienti.

102 Segnatamente al fine di garantire che il principio di proporzionalità sia rispettato in ciascun caso concreto effettuando una ponderazione di tutti gli elementi pertinenti, qualora l’accesso ai dati personali da parte delle autorità nazionali competenti comporti il rischio di un’ingerenza grave, o addirittura particolarmente grave, nei diritti fondamentali dell’interessato, è essenziale che tale accesso sia subordinato a un controllo preventivo effettuato da un giudice o da un organo amministrativo indipendente.

103 Tale controllo preventivo richiede che il giudice o l’organo amministrativo indipendente incaricato di effettuarlo disponga di tutti i poteri e presenti tutte le garanzie necessarie per assicurare un contemperamento dei vari legittimi interessi e diritti in gioco. Per quanto riguarda più in particolare un’indagine penale, un controllo di questo tipo esige che tale giudice o tale organo sia in grado di garantire un giusto equilibrio tra, da un lato, i legittimi interessi connessi alle necessità dell’indagine nell’ambito della lotta alla criminalità e, dall’altro, i diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali delle persone i cui dati sono interessati dall’accesso.

104 Tale controllo indipendente, in una situazione come quella descritta al punto 102 della presente sentenza, deve intervenire prima di qualsiasi tentativo di accesso ai dati di cui trattasi, salvo in casi di urgenza debitamente comprovati, nel qual caso detto controllo deve avvenire in tempi brevi. Infatti, un controllo successivo non consentirebbe di rispondere all’obiettivo del controllo preventivo, che consiste nell’impedire che sia autorizzato un accesso ai dati di cui trattasi che ecceda i limiti dello stretto necessario”.

4. Come accennato in premessa l’esame della pronuncia della Grande Sezione appare interessante per chi volesse sostenere che nel nostro ordinamento, per porsi in linea con i principi della Unione in materia, non è necessario che tutto sia rimesso all’autorizzazione del giudice.

Si badi bene, un conto è la legittima discrezionalità del legislatore, che ben può scegliere che un certo strumento di indagine sia autorizzato dal giudice (si pensi alle intercettazioni) e che ben può legittimamente scegliere che una tale soglia di garanzia, ritenuta più alta, sia estesa ad altri mezzi probatori, altro conto è affermare che tale necessità sia imposta, e dunque resa obbligata, dal diritto della Unione come interpretato dalla Corte di Giustizia.

Ebbene, tale obbligo non pare realmente sussistere.

Proprio perché ciò emergesse in modo lapalissiano, nel paragrafo che precede si è ritenuto opportuno riportare i passaggi salienti della pronuncia in esame che, di fatto, concludono richiedendo che i presupposti per l’apprensione di dati afferenti alle comunicazioni e, dunque, nella sostanza, per una limitazione della libertà di comunicare, sia possibile solo previo provvedimento di un giudice o di un’autorità amministrativa indipendente.

Si coglie cioè, come si è già cercato di evidenziare, che ciò che preme all’Unione è che a valutare i presupposti normativi sia un’autorità terza, non “parte”, indicata come il giudice o, addirittura, come un’autorità amministrativa, purchè indipendente.

Allora perché non potrebbe essere il p.m. nel nostro ordinamento?

V’è davvero un dato ostativo in proposito?

E’ opinione di chi scrive che tale ostacolo non sia seriamente ravvisabile, una volta sfrondato l’approccio giuridico dall’eco dei dibattiti politici sul ruolo del P.M. nel nostro ordinamento.

Non sfugge, si badi bene, che l’opinione pubblica ha sempre più percepito il p.m. come “Pubblica Accusa”[4], nell’intento di legittimare la visione di un P.M. parte e forse, secondo alcune critiche, non sempre dotato di sufficiente oggettività e terzietà, ma ciò non toglie che ciò non sia nell’intenzioni del nostro Costituente e che ciò non sia, ad oggi, ad assetto costituzionale invariato.

Ed, infatti, come il giudicante anche il requirente è magistrato soggetto solo alla legge, insieme con il giudicante il requirente fa parte di un unico medesimo ordine giudiziario, a cui, allo stato, e salve le prospettive di riforma, si accede per mezzo di un unico medesimo concorso.

E, d’altra parte, che il p.m. sia terzo emerge anche nelle intenzioni del nostro legislatore.

Solo in quest’ottica si spiega, infatti, il disposto dell’art. 358 c.p.p. a mente del quale “il pubblico ministero compie ogni attività necessaria ai fini indicati nell’art. 326 e svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta ad indagini”.

Nessuna “parte” in senso stretto, priva di terzietà, potrebbe mai essere tenuta a cercare elementi in favore della asserita controparte.

In definitiva, nulla vieta, allo stato, a ben vedere, che quella autorità terza a cui fanno riferimento le pronunce della Corte di Giustizia e, da ultimo, quella della Grande Sezione in esame, sia, nel nostro ordinamento, il P.M., senza che ciò comprometta in alcun modo l’adeguata salvaguardia della sfera privata dei soggetti indagati.


[1] cfr. F. PAGANA Intercettazioni e messaggi di testo: tra esigenza di conformità al diritto sovranazionale e riscoperta di garanzie già immanenti al diritto interno, in Il Foro Napoletano, 2/2024, pagg. 339, ss.

[2] cfr. F. Rinaldini, Data retention e procedimento penale. Gli effetti della sentenza della Corte di giustizia nel caso H.K. sul regime di acquisizione dei tabulati telefonici e telematici: urge l’intervento del legislatore, in Giur. pen., 2021, p. 5 ss.

[3] Paragrafi dal n. 3 al n. 30 della sentenza.

[4] In taluni casi si è assistito al diffondersi, nei mezzi di comunicazione, di locuzioni quali “Avvocato dell’Accusa”.

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