L’art. 3, comma 32, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, di attuazione, della legge delega 26 novembre 2021, n. 206 inserisce nel corpo del codice di procedura civile un nuovo capo I-bis, rubricato “Delle controversie in materia di licenziamenti”

Detto capo introduce tre nuove disposizioni, gli articoli 441-bis, ter e quater ed è sulla prima di queste disposizioni che concentreremo la nostra attenzione.

L’articolo 441-bis c.p.c., rubricato “Controversie in materia di licenziamento” disciplina la trattazione delle cause di licenziamento in cui sia proposta domanda di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

La norma di nuova introduzione stabilisce che La trattazione e la decisione delle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti nelle quali è proposta domanda di reintegrazione nel posto di lavoro hanno carattere prioritario rispetto alle altre pendenti sul ruolo del giudice, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto.

Salvo quanto stabilito nel presente articolo, le controversie di cui al primo comma sono assoggettate alle norme del capo primo. Tenuto conto delle circostanze esposte nel ricorso il giudice può ridurre i termini del procedimento fino alla metà, fermo restando che tra la data di notificazione al convenuto o al terzo chiamato e quella della udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venti giorni e che, in tal caso, il termine per la costituzione del convenuto o del terzo chiamato dovrà essere ridotto della metà. All’udienza di discussione il giudice dispone, in relazione alle esigenze di celerità anche prospettate dalle parti, la trattazione congiunta di eventuali domande connesse e riconvenzionali ovvero la loro separazione, assicurando in ogni caso la concentrazione della fase istruttoria e di quella decisoria in relazione alle domande di reintegrazione nel posto di lavoro. A tal fine il giudice riserva particolari giorni, anche ravvicinati, nel calendario delle udienze. I giudizi di appello e di cassazione sono decisi tenendo conto delle medesime esigenze di celerità e di concentrazione.

Contestualmente l’art. 37 lettera  e) abroga l’articolo 1, commi da 47 a 69, della legge 28 giugno 2012, n. 92, ossia quelle norme della cd. Legge Fornero che assoggettavano le cause in materia di licenziamenti ad uno speciale procedimento.

Il legislatore delegato ha dato quindi attuazione alla legge 206/2021 che delegava il Governo ad emanare norme volte ad unificare e coordinare la disciplina dei procedimenti di impugnazione dei licenziamenti, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro, e contestualmente assegnava carattere prioritario alle cause di licenziamenti (Per un approfondimento sulla legge delega sia consentito rinviare a P. SCOGNAMIGLIO, Il superamento del rito Fornero nella legge 26-11-2021, n.206., di riforma del processo civile, in questa rivista).

Del resto il cd. Rito Fornero non era mai stato particolarmente apprezzato dagli addetti ai lavori e ne era stata proposta l’abrogazione anche da parte della «Commissione per l’elaborazione di proposte di interventi in materia di processo civile e di strumenti alternativi» istituita presso il Ministero della Giustizia con D.M.12-3-2021 e presieduta dal prof. Luiso.

Il processo di progressivo superamento del rito Fornero era iniziato da tempo e già il decreto legislativo 23/2015 aveva sottratto al cd. Rito Fornero le impugnative dei licenziamenti dei lavoratori assoggettati al cd. Regime delle tutele crescenti e la legge delega completa questo processo

Se la scelta del legislatore appariva ormai scontata, non appare però inopportuna una riflessione sulla portata della novella.

Il neo introdotto art. 441 bis c.p.c. riconduce chiaramente le controversie in materia di licenziamento alle norme di cui agli art. 409 ss c.p.c. con la conseguenza che le cause in materia di licenziamento seguiranno le regole generali previste per le cause di lavoro, fatte salve alcune disposizioni previste dallo stesso art. 441 bis c.p.c.

Analogamente il ricorso in materia di impugnativa di licenziamenti seguirà le disposizioni di cui agli art. 414 ss c.p.c.; viene infatti abrogato l’art. 1, comma 48, legge 92/2012 secondo cui Il ricorso deve avere i requisiti di cui all’articolo 125 del  codice di procedura civile e non era prevista la specifica indicazione dei mezzi di prova.

Sempre l’art. 1, comma 48, legge 92/2012 statuisce che  A seguito della presentazione  del  ricorso  il  giudice fissa con decreto l’udienza di comparizione  delle  parti. L’udienza deve essere fissata non  oltre  quaranta  giorni  dal  deposito  del ricorso.

Il giudice assegna un termine per la notifica del ricorso  e del decreto non inferiore a venticinque  giorni  prima  dell’udienza, nonché un termine, non inferiore a cinque giorni prima della stessa udienza, per la costituzione del resistente.

Il legislatore delegato invece riconduce, come detto, la disciplina delle cause di licenziamento nell’alveo degli artt. 409 ss c.p.c. con la conseguenza che di norma troverà applicazione la disciplina di cui all’art. 415 c.p.c.  con la fissazione da parte del giudice dell’udienza di discussione nel termine di sessanta giorni dal deposito del ricorso (e non quaranta come nel rito Fornero) e l’obbligo di notifica almeno 30 giorni prima (e non venticinque giorni prima come nel rito di cui alla legge 92/2012).

La peculiarità delle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti nelle quali è proposta domanda di reintegrazione nel posti di lavoro viene in qualche modo assicurata prevedendo la possibilità per il giudice di ridurre i termini del procedimento fino alla metà, fermo restando che tra la data di notificazione al convenuto o al terzo chiamato e quella della udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venti giorni e che, in tal caso, il termine per la costituzione del convenuto o del terzo chiamato dovrà essere ridotto della metà.

Ebbene deve innanzitutto ribadirsi che tale previsione opera solo per le impugnative di licenziamenti in cui si chiede la reintegra, con la conseguenza che l’abbreviazione dei termini non potrà essere disposta nei giudizi volti ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento, ma nei quali si formulano solo richieste indennitarie.

Venendo al contenuto della previsione, sembra evidente la volontà del legislatore delegato di non introdurre disposizioni che possano assoggettare le cause di licenziamento ad un rito speciale e riprodurre i problemi interpretativi emersi in sede di applicazione del cd. rito Fornero.

Vengono quindi introdotte solo piccole modifiche funzionali soprattutto a garantire un iter più celere delle cause nelle quali aventi ad oggetto la reintegra nel posto di lavoro.

Il potere del giudice di ridurre i termini del procedimento sembra poter essere esercitato anche d’ufficio, ma laddove vi siano particolari ragioni di urgenza è opportuno che sia la parte ricorrente a richiedere l’abbreviazione dei termini (in relazione alle esigenze di celerità anche prospettate dalle parti) fermo restando che da un lato il giudice non è obbligato a ridurre i termini del procedimento (può ridurre) e che comunque particolari esigenze di urgenza potranno comunque essere coltivate dalla parte con un ricorso ex art. 700 c.p.c. (anche se nella relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo si legge che L’introduzione di questi nuovi strumenti dovrebbe scongiurare la proliferazione di domande cautelari ante causam, anche in considerazione del fatto che la particolare celerità garantita dalle nuove disposizioni potrà essere valutata dal giudice in relazione al presupposto del periculum in mora)

Continuando nel raffronto tra l’abrogato art. 1, comma 48, legge 92/2012 ed il nuovo art. 441 bis c.p.c., si osserva che l’art. 1, comma 48, legge 92/2012  prevedeva che il giudice assegnasse un termine di cinque giorni prima nell’udienza per la costituzione del resistente, ma era pacifico che anche in caso di tardiva costituzione non vi fossero decadenze istruttorie per il convenuto, non essendo prevista alcuna decadenza per l’attore.

La novella riconduce, come detto, le cause di licenziamento alla disciplina di cui all’art. 409 c.p.c. ss con la conseguenza che  il ricorso ex art. 414 c.p.c. dovrà contenere, come già detto, l’indicazione specifica dei mezzi di prova ed in particolare dei documenti che si offrono in comunicazione  mentre il convenuto . ai sensi dell’art. 416 c.p.c. deve costituirsi almeno dieci giorni prima della udienza, mediante deposito in cancelleria di una memoria difensiva nella quale devono essere proposte a pena di decadenza le eventuali domande in via riconvenzionale e le  eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio.

Maggiori problemi interpretativi sembra porre l’art. 441 bis, quarto comma, c.p.c. secondo cui all’udienza di discussione il giudice dispone, in relazione alle esigenze di celerità anche prospettate dalle parti, la trattazione congiunta di eventuali domande connesse e riconvenzionali ovvero la loro separazione, assicurando in ogni caso la concentrazione della fase istruttoria e di quella decisoria in relazione alle domande di reintegrazione nel posto di lavoro.

Come è noto la legge 92/2012 consentiva la trattazione con il rito Fornero solo delle domande di impugnativa di licenziamento e delle domande fondate sugli stessi fatti costitutivi.

L’art. 1, comma 56, legge 92/2012 consentiva poi la trattazione delle domande riconvenzionali solo nella fase di opposizione e sempre che le cause fossero fondate su fatti costitutivi identici a quelli posti a base della domanda principale.

Erano queste forse le disposizioni più problematiche del cd. Rito Fornero e sicuramente non erano proponibili  domande di differenze retributive fondate su fatti diversi dal licenziamento perché rispetto a tali domande il rapporto di lavoro funziona da semplice presupposto, mentre il fatto costitutivo è rappresentato dalla effettiva prestazione di lavoro o dalle sue modalità (es: diritto a lavoro straordinario, a premio di risultato etc…..)

Potevano essere attratte invece nel rito Fornero  le domande risarcitorie legate all’atto di recesso, come l’ulteriore danno derivante da un licenziamento ingiurioso (V. F.P. LUISO, La disciplina processuale speciale della L. 92 del 2012 nell’ambito del processo civile: modelli di riferimento ed inquadramento sistematico, relazione al Corso CSM 5966 La riforma del mercato del Lavoro nella legge 28 giugno 2012, n. 92, Roma, 29-31 ottobre 2012. Si sono ritenute ammissibili le domande di risarcimento dei danni ulteriori quali quelli alla salute od all’onore; in tal senso Trib. Genova, 29 gennaio 2013, Guida lav, 2013, n. 21, 29; Trib. Roma, 29 gennaio 2013, est. Pucci: Trib. Roma, 28 novembre 2012).

Sostanzialmente potevano essere proposte nel rito Fornero tutte quelle domande che, al pari di quelle ex art. 18 St.Lav, riconoscessero tra i propri fatti costitutivi sia il preesistente rapporto di lavoro subordinato, sia l’illegittimità del licenziamento.

Non erano mancate critiche alla disposizione e si era osservato come la previsione della legge 92/2012 che limitava la contemporanea trattazione alle sole questioni ulteriori rispetto all’impugnativa di licenziamento che siano fondate sui medesimi fatti costitutivi costituisse in sé un grave appesantimento dell’ intero sistema della giustizia del lavoro e contraddicesse vistosamente il disposto di cui all’art. 151 disp. att. c.p.c. che impone l’obbligo della riunione delle cause di lavoro in presenza di elementi di connessione (M. LEONE- A.TORRICE, Il procedimento per la impugnativa dei licenziamenti:  il legislatore strabico, in   La Legge n. 92 del 2012: un’analisi ragionata a cura di F.AMATO- R. SANLORENZO).

E proprio  per evitare tali conseguenze alcuni Tribunali avevano affermato che l’ espressione identici fatti costitutivi non dovesse essere intesa in senso strettamente letterale,  ma andasse vista con riferimento all’oggetto del vaglio giudiziale che deve riguardare i medesimi fatti sia pure con l’aggiunta di elementi valutativi in diritto.

Anche la giurisprudenza sella Suprema Corte aveva cercato di ampliare il campo di applicazione del rito Fornero statuendo  che con il rito speciale fosse possibile anche chiedere il pagamento delle spettanze dovute nel caso in cui sia riconosciuta la validità del licenziamento, e quindi anche il trattamento di fine rapporto e l’indennità di mancato preavviso (Cass. 12-8-2016, n. 17091. Per approfondimenti v. G. FALASCA, Anche il Tfr nel rito Fornero, Il Sole 24 ore, 13 agosto 2016.).

La Suprema Corte, a sostegno di tale affermazione, aveva osservato che la norma di cui all’art. 1, comma 48, legge 92/2012 nella parte in cui stabilisce che nell’ambito del rito Fornero non possono essere proposte domande diverse dall’impugnazione del licenziamento, a meno che non siano fondate sugli identici fatti costitutivi, non deve essere intesa in senso stretto, ma serve solo ad impedire che, nell’ambito del rito sommario, il lavoratore allarghi il thema decidendum a fatti diversi dal licenziamento, vanificando le esigenze di celerità che caratterizzano questa prima fase processuale.

Secondo i giudici di legittimità le domande subordinate aventi ad oggetto il pagamento del tfr e dell’indennità di mancato preavviso non ampliano l’oggetto del giudizio, in quanto nascono sempre in relazione al medesimo fatto- il licenziamento- su cui è chiamato a pronunciarsi il giudice, e come tali sono ammissibili.

Ugualmente si era affermata la possibilità di chiedere in via subordinata la tutela obbligatoria di cui alla legge 604/1966 laddove all’esito del giudizio si fossero ritenuti insussistenti i requisiti dimensionali per l’applicazione delle tutele di cui all’art. 18 St. Lav. (Cass. 13-6-2016, n. 12094 in Mass. Giur.lav., 2017, fasc. 3, p. 172, con nota di G. GAETA, Il tramonto del rito Fornero; in senso contrario inizialmente Cass. 10-8-2015, n. 16662, in Riv. giur.lav. prev. Soc. 2016, fasc. 2. P.II, p.241 con nota di MUTARELLI M., E’ davvero “improponibile” nel rito Fornero la domanda di tutela ex art.8 l. n. 604/1996?)

Il nuovo art. 441 bis c.p.c. supera queste problematiche consentendo anche nelle cause aventi ad oggetto la reintegra nel posto di lavoro la trattazione delle domande connesse e delle riconvenzionali.

Il legislatore delegato, consapevole che la trattazione di ulteriori domande può rallentare l’iter della causa in materia di licenziamento, prevede che il giudice possa disporre la separazione delle domande.

E’ evidente che però provvedimenti di separazione potrebbero rendere più difficoltosa la conciliazione tra le parti e creare problemi di ordine pratico anche in relazione all’aggravio di lavoro per le cancellerie notoriamente alle prese con gravi carenze di organico.

In ogni caso il legislatore delegato impone al giudice di assicurare la concentrazione della fase istruttoria e di quella decisoria in relazione alle domande di reintegrazione nel posto di lavoro, riservando particolari giorni, anche ravvicinati, nel calendario delle udienze.

Quest’ultima previsione riproduce l’articolo 1, comma 65, legge 92/2012 che già imponeva di riservare particolari giorni nel calendario delle udienze alle cause introdotte con il rito Fornero.

Non sono poi previste particolari disposizioni per i giudizi di impugnazione dal momento che il legislatore si limita a precisare che i principi di celerità e concentrazione dovranno caratterizzare anche la trattazione delle controversie in materia di licenziamento con tutela reale in grado d’appello e in cassazione.

Infine, sotto il profilo organizzativo, si introduce nel corpo delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie il nuovo articolo 144 quinquies, rubricato “Controversie in materia di licenziamento”, a tenore del quale il presidente di sezione ed il dirigente dell’ufficio giudiziario favoriscono e verificano la trattazione prioritaria dei procedimenti di cui al Capo I bis del titolo IV del libro II del c.p.c., prevedendosi altresì che in ciascun ufficio giudiziario siano effettuate estrazioni statistiche trimestrali che consentano di valutare la durata media dei processi di cui all’art. 441 bis del codice di procedura civile, in confronto con la durata degli altri processi in materia di lavoro.

La norma sembra avere soprattutto lo scopo di richiamare i giudici del lavoro e la vigilanza dei capi degli uffici sull’esigenza che le cause di licenziamento aventi ad oggetto la reintegra nel posto di lavoro abbiano priorità assoluta rispetto ad ogni tipo di controversi.

Va poi segnalato che l’art. 35 del decreto legislativo 149/2022 statuisce che le disposizioni recate dal decreto legislativo, tra cui le norme sopra esaminate, hanno effetto a decorrere dal 30 giugno 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data, con la precisazione – a fugare possibili dubbi interpretativi – che ai procedimenti pendenti a quella data continuano ad applicarsi le disposizioni anteriormente vigenti. Così facendo, ci si è assicurati che l’abrogazione delle norme preesistenti e l’applicazione delle nuove norme (come l’abrogazione del c.d. “rito Fornero” e le nuove disposizioni in tema di procedimenti di impugnazione dei licenziamenti) operino contestualmente.

Di conseguenza tutte le cause introdotte sino al 30 giugno 2023 nelle quali si richiede una tutela di cui all’art. 18 St.lav. continueranno ad essere assoggettate al rito Fornero e deve ritenersi che anche le impugnazioni dei provvedimenti emessi con il rito Fornero (si pensi alla fase di opposizione), pur se successive alla predetta data,  dovranno continuare a seguire le disposizioni di cui alla legge 92/2012.

E’evidente quindi che con il rito Fornero dovremo fare i conti   ancora per un po’ ed è auspicabile che le nuove disposizioni riescano a preservare quella celerità dei procedimenti in materia di licenziamenti, cui il rito Fornero ha contribuito non poco (per un approfondimento sull’incidenza del rito Fornero nella riduzione dei tempi per le controversie in materia di licenziamenti si veda P. SCOGNAMIGLIO, cit, in questa rivista)

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