di Alessandro Andronio
La parte prima del presente contributo è uscita con il precedente numero della Rivista.
Sommario: 1. Introduzione: la peculiarità dell’obbligazione tributaria. – 2. Le fattispecie penali-tributarie di omesso pagamento e le situazioni di crisi dell’impresa nell’attuale quadro normativo e giurisprudenziale. – 2.1. La configurabilità dei reati di omesso pagamento in relazione al concordato preventivo. – 2.2. I reati di omesso versamento in rapporto alla transazione fiscale e al trattamento dei crediti tributari e contributivi: evoluzione normativa e giurisprudenziale. – 3. La disciplina attuale: la mancata soluzione del problema dell’interazione fra diritto penale tributario e Codice della crisi. – 4. Brevi riflessioni conclusive.
2.2. I reati di omesso versamento in rapporto alla transazione fiscale e al trattamento dei crediti tributari e contributivi: evoluzione normativa e giurisprudenziale.
A norma dell’art. 182-ter legge fall.[1], nella formulazione precedente rispetto a quella introdotta dall’art. 1, comma 81, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, a decorrere dal 1° gennaio 2017, con il piano per l’ammissione al concordato preventivo di cui all’art. 160, il debitore poteva proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria anche se non iscritti a ruolo, ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea; con riguardo all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, la proposta poteva prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento. Se il credito tributario o contributivo era assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non potevano essere inferiori a quelli offerti ai creditori con un grado di privilegio inferiore o a quelli con una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie; se il credito tributario o contributivo aveva natura chirografaria, il trattamento non poteva essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole. Inoltre il debitore poteva effettuare la proposta di cui al primo comma anche nell’ambito delle trattative precedenti la stipula dell’accordo di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis. La proposta di transazione fiscale, unitamente con la documentazione di cui all’art. 161, era depositata presso gli uffici indicati nel comma 2, che procedevano alla trasmissione ed alla liquidazione ivi previste. Alla proposta di transazione doveva altresì essere allegata la dichiarazione sostitutiva, resa dal debitore o dal suo legale rappresentante ai sensi del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, art. 47, che la documentazione di cui al periodo che precede rappresentava fedelmente ed integralmente la situazione dell’impresa, con particolare riguardo alle poste attive del patrimonio. Nei successivi trenta giorni l’assenso alla proposta di transazione era espresso relativamente ai tributi non iscritti a ruolo, ovvero non ancora consegnati al concessionario del servizio nazionale della riscossione alla data di presentazione della domanda, con atto del direttore dell’ufficio, su conforme parere della competente direzione regionale, e relativamente ai tributi iscritti a ruolo e già consegnati al concessionario del servizio nazionale della riscossione alla data di presentazione della domanda, con atto del concessionario su indicazione del direttore dell’ufficio, previo conforme parere della competente direzione generale. L’assenso così espresso equivaleva a sottoscrizione dell’accordo di ristrutturazione. La transazione fiscale conclusa nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis, era revocata di diritto se il debitore non eseguiva integralmente, entro 90 giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle Agenzie fiscali ed agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie.
In tale quadro normativo, sono intervenute due rilevanti decisioni della Corte di cassazione penale. Con la prima[2], pronunciata in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, si è affermato che non è configurabile il fumus commissi delicti del reato di cui all’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000 per il mancato versamento del debito Iva scaduto, nel caso in cui il debitore sia stato ammesso al concordato preventivo in epoca anteriore alla scadenza del termine per il relativo versamento, per effetto della inclusione nel piano concordatario del debito d’imposta, degli interessi e delle sanzioni amministrative. La decisione delinea in termini inclusivi il rapporto tra concordato preventivo e obblighi fiscali, valorizzando il contenuto del piano concordatario in relazione alla proposta di pagamento del credito fiscale e prendendo atto del fatto che, per volontà legislativa, la transazione fiscale si poteva tradurre solo in una postergazione dell’obbligo di pagamento, essendo vietata qualsiasi falcidia concordataria. Si realizzava, dunque, uno spostamento temporale dell’adempimento del debito fiscale nell’ambito del procedimento concordatario, avente rilievo pubblicistico, in quanto diretto alla tutela di interessi economici collettivi; con la conseguenza che l’ammissione alla procedura di concordato prima della scadenza del termine per il versamento delle imposte, oggetto di un piano di dilazione di pagamento, valeva ad escludere i relativi reati. Il momento rilevante ai fini dell’esclusione della responsabilità penale è, secondo questa pronuncia, quello dell’ammissione al concordato.
La seconda[3] ha approfondito ulteriormente il tema del rapporto tra reato di omesso versamento e transazione fiscale concordata ai sensi dell’art. 182-ter legge fallimentare, ove omologata prima della consumazione del reato coincidente con la data di scadenza prevista per il versamento omesso. Con particolare riferimento al reato di omesso versamento di ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituti d’imposta (art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000), si è evidenziato che lo stesso ha carattere istantaneo, perfezionandosi alla scadenza del termine di legge, con la conseguenza che l’ammissione al concordato preventivo della società, in epoca successiva alla scadenza del debito erariale, non elide la responsabilità del rappresentante legale. Pertanto, la transazione fiscale omologata non estingue il reato ormai già consumato; e ciò anche se la proposta è stata fatta in epoca antecedente e, per la stessa ragione, non sono applicabili gli speciali istituti previsti dagli art. 12-bis e 13 del d.lgs. n. 74 del 2000. Diverso discorso va fatto, invece, nel caso di transazione omologata prima della scadenza del termine per il versamento dell’imposta: questa, infatti, incide sulla struttura della fattispecie incriminatrice perché ne muta gli elementi costitutivi e, in particolare, il termine del pagamento, che può essere dilazionato ovvero frazionato in più rate, e, nel caso di imposte diverse dall’Iva e da quelle armonizzate, addirittura ridotto (con eventuale rimodulazione del debito al di sotto della soglia di punibilità), sostituendo lo stesso titolo del pagamento, costituito non più ormai dalla dichiarazione annuale di sostituto di imposta o dai certificati rilasciati ai sostituti, bensì dalla transazione fiscale; con la conseguenza che l’inadempimento futuro ed eventuale della transazione ne comporta la revoca, ma non comporta la reviviscenza del reato. Dunque, il momento rilevante ai fini dell’esclusione della responsabilità penale è, secondo questa pronuncia, quello dell’omologa della transazione fiscale.
Il quadro normativo è poi significativamente mutato, a seguito della modificazione dell’art. 182-ter legge fall. (con una nuova intitolazione: “Trattamento dei crediti tributari e contributivi”) ad opera dell’art. 1, comma 81, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, il quale ha consentito la falcidia dei tributi, Iva compresa, e contributi previdenziali[4], a seguito della sentenza della Corte giustizia UE, 7 aprile 2016, n. 546[5], la quale aveva affermato che l’art. 4, par. 3, TUE e gli artt. 2, 250, par. 1, e 273 della direttiva 2006/112/CE (sistema comune d’IVA) non ostano a una normativa nazionale, come quella italiana, interpretata in senso evolutivo, ovvero nel senso che un imprenditore in stato di insolvenza può presentare a un giudice una domanda di apertura di una procedura di concordato preventivo, al fine di saldare i propri debiti mediante la liquidazione del suo patrimonio, con la quale proponga di pagare solo parzialmente un debito dell’imposta sul valore aggiunto, attestando, sulla base dell’accertamento di un esperto indipendente, che tale debito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di proprio fallimento.
Di tale mutamento prende atto la sentenza Sez. 3, n. 39696 del 08/06/2018, Rv. 273838[6], la quale esclude la configurabilità del fumus del reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 per l’omesso versamento del debito IVA scaduto, nel caso in cui il debitore sia stato ammesso, prima della scadenza, al concordato preventivo con pagamento dilazionato e/o parziale dell’imposta, in quanto, in forza dell’art. 182-ter del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, come modificato dall’art. 1, comma 81, della n. 232 del 2016, anche per l’IVA è possibile un accordo nel concordato preventivo per un pagamento dilazionato o parziale[7]. Dunque, il momento rilevante ai fini dell’esclusione della responsabilità penale torna ad essere, secondo questa pronuncia, quello dell’ammissione al concordato e non quello dell’omologa. Sul punto, la sentenza afferma espressamente di discostarsi dall’orientamento che fa perno sul momento dell’omologa, affermando che lo stesso è rigido sulla prevalenza della ragione tributaria penale e muove essenzialmente dal «presupposto che l’IVA è un tributo comunitario, armonizzato, e che in base al diritto dell’Unione ed alle decisioni della Corte di Giustizia (sentenza 29/03/2012, causa C 500/10) gli Stati membri sono tenuti a garantire la riscossione integrale sul proprio territorio. Non essendo, quindi, possibile tagliare il debito IVA, anche in un concordato preventivo, il debitore anche se ammesso al concordato deve comunque pagare l’imposta per intero, e rispettare le scadenze dei pagamenti, anche sotto il profilo penale, con la configurabilità (sempre) del reato di omesso versamento IVA».
Si tratta di una conclusione che può essere criticata, perché muove da una visione parziale del problema dell’interferenza fra diritto penale e procedure concorsuali, facendo leva sul solo dato di novità rappresentato dalla falcidiabilità e dilazionabilità dei crediti fiscali e previdenziali, senza considerare che – come ampiamente visto – il momento rilevante per escludere la responsabilità penale è, in generale, quello nel quale il giudice vieta il pagamento di ogni debito pregresso. Inoltre, non tiene conto del fatto che solo con l’omologa si realizza l’effetto novativo dell’obbligazione tributaria, che subisce una rimodulazione nell’ammontare e nei tempi di adempimento. Sul punto, può farsi richiamo al principio affermato da una precedente pronuncia[8], nel senso che la rateazione di un debito contributivo – ma altrettanto può dirsi del debito tributario – comporta novazione dell’obbligazione di versamento delle ritenute. Ci si riferisce, in particolare, al principio affermato dal Consiglio di Stato, con la pronuncia Ad. Plen. 5 giugno 2013, n. 15, il quale ha chiarito che la rateizzazione del debito tributario si traduce in un beneficio che, una volta accordato, comporta la sostituzione del debito originario con uno diverso, secondo un meccanismo di stampo estintivo-costitutivo che origina una novazione dell’obbligazione originaria. Per tali ragioni, secondo la richiamata sentenza della Corte di cassazione, l’ammissione alla rateizzazione, rimodulando la scadenza dei debiti è riconducibile allo schema di cui agli artt. 1230 ss. c.c., ma la novazione non può comportare che le omissioni obiettivamente poste in essere vengano ad essere private di rilevanza penale, non potendo l’elemento oggettivo del reato, irreversibilmente perfezionatosi alle scadenze originariamente previste e non rispettate, venire meno per effetto di un provvedimento che, pur avendo effetto sul piano civilistico, non può certo vanificare ex tunc il disvalore penale del fatto. Diversa è, ovviamente, la fattispecie in cui la novazione si realizzi tra il momento della scadenza dell’obbligazione rilevante ai fini tributari e l’ulteriore termine rilevante ai fini penali, nella quale deve essere ritenuta esclusa, proprio per l’efficacia preclusiva della stessa novazione, la sussistenza dei reati di omesso versamento.
3. La disciplina attuale: la mancata soluzione del problema dell’interazione fra diritto penale tributario e Codice della crisi.
La disciplina attuale è il frutto delle novità apportate alla legge fallimentare dal d.l. n. 125 del 2020 (art. 3, comma 1-bis), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 159 del 2020, che rappresenta una anticipazione delle disposizioni sulla transazione fiscale-previdenziale, contenute nel CCII (la cui entrata in vigore è ora prevista per il 16 maggio 2022) finalizzate a superare la rigidità e la lentezza degli enti impositori manifestatasi nel vigore dell’istituto dopo la sua prima introduzione nella legge fallimentare. La modifica – per quanto qui rileva – ha riguardato gli artt. 180, 182-bis e 182-ter legge fall. Si consente, così, la ristrutturazione “coattiva” (c.d. cram down) dei debiti fiscali e contributivi negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nel concordato preventivo.
Il primo ingresso nel sistema di queste disposizioni è effettivamente avvenuto con il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (di seguito, CCII), il cui art. 48, comma 5, prevede che «il tribunale omologa gli accordi di ristrutturazione o il concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’articolo 57, comma 1, 60 comma 1, e 109, comma 1, e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria»; e una disposizione simile è prevista per il concordato minore nel sovraindebitamento (art. 80, comma 3, CCII)[9]. Rinviata più volte l’entrata in vigore del nuovo Codice della crisi, nel contesto degli interventi di carattere emergenziale adottati per fronteggiare gli effetti economici dell’epidemia da Covid-19, la possibilità di applicazione delle disposizioni è stata anticipata, attraverso il loro inserimento nell’attuale legge fallimentare. Con riferimento al concordato preventivo, è stato modificato l’art. 180, comma 4, l. fall., con l’aggiunta della seguente disposizione: «Il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di voto da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze di cui all’articolo 177 e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui all’articolo 161, terzo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria». Con riferimento agli accordi di ristrutturazione dei debiti, l’art. 182-bis, comma 4, l.fall. è stato integrato con il seguente periodo: «Il tribunale omologa l’accordo anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale di cui al primo comma[10] e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui al medesimo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria». Quanto all’art. 182-ter l. fall., in tema di transazione fiscale e previdenziale, diversi sono i punti oggetto di modifica: è specificato che il debito chirografario tributario e previdenziale, anche se originato dalla degradazione a chirografo, per incapienza dei beni su cui insiste il privilegio (quindi non solo quello “originariamente” chirografario), non può avere un trattamento “differenziato” rispetto agli altri crediti chirografari oppure “deteriore”, in caso di suddivisione in classi, rispetto alle classi con trattamento “più favorevole”; per quanto riguarda gli accordi di ristrutturazione dei debiti, il professionista deve attestare, la convenienza della proposta transazione fiscale e previdenziale rispetto alla soluzione fallimentare, con una valutazione oggetto di specifico esame da parte del Tribunale[11]. Si tratta di un tentativo di rispondere alla rigidità e alla lentezza con le quali l’amministrazione finanziaria e gli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie si pongono davanti alle proposte di ristrutturazione dei debiti fiscali o previdenziali, trovando un punto di equilibrio tra la tutela dell’esigenza dell’amministrazione e quella degli altri interessi rilevanti[12].
Manca però, sia nell’attuale disciplina “anticipatoria”, sia nel Codice della crisi, la soluzione del problema del rapporto tra omessi versamenti rilevanti a fini penali tributari e concordato preventivo: l’art. 88, sulla transazione fiscale, prevede che il debito tributario possa essere falcidiato fino a concorrenza del valore di realizzo in sede di liquidazione giudiziale, ma nulla dispone in merito ai reati omissivi. Parimenti l’art. 25, in tema di misure premiali, non concede alcuna esclusione della punibilità per i casi di omesso versamento dipendente da dissesto finanziario regolato mediante gli strumenti negoziali ivi istituiti[13].
Va comunque segnalato, nell’ambito della nuova disciplina, lo spazio attribuito allo strumento degli accordi di ristrutturazione dei debiti – attualmente ancora disciplinati, come visto, dall’art. 182-bis legge fall. – di cui all’art. 57 del Codice della crisi[14]. Si tratta, sostanzialmente, di un contratto, in quanto i debitori hanno facoltà di accettare o meno la ristrutturazione del debito e, ai fini dell’omologa, è richiesta l’adesione di almeno il 60% dei creditori, i cui crediti devono essere pagati integralmente, con la sola condizione consentita di una dilazione di pagamento fino a un massimo di 120 giorni dall’omologa dell’accordo. L’accordo di ristrutturazione, avendo natura contrattuale, non è dunque soggetto alla regola della par condicio creditorum, per cui si potrebbero avere falcidiate le pretese di creditori privilegiati e non falcidiate quelle dei creditori chirografari, a differenza di quanto avviene con il concordato preventivo. Vi è, inoltre, la predisposizione dello strumento degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 61 CCII), i quali, a certe condizioni, hanno effetto non solo per i creditori aderenti ma anche per i creditori estranei all’accordo, imponendo una falcidia del credito anche a questi ultimi. Per quanto qui più strettamente interessa, tra questi assumono rilevanza gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa nei confronti dell’amministrazione finanziaria (art. 48, comma 5, CCII), alla condizione della convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria. Tale maggiore convenienza deve risultare dalla relazione del professionista, da allegare alla proposta di accordo, che viene valutata dal giudice il quale, previa verifica della convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria, si sostituisce al mancato assenso dell’erario, omologando l’accordo qualora necessario per il raggiungimento del 60%[15]. Dunque, l’effetto di ristrutturazione si produce – come già evidenziato – dal momento dell’omologa da parte del Tribunale: del resto – per quanto qui rileva – la struttura del concordato preventivo non muta, nella sostanza, rispetto a quella delineata della legge fallimentare, perché continua ad articolarsi in una fase introduttiva (artt. 44 e 46 CCII), in una fase di ammissione (art. 47 CCII), in una di omologazione (art. 48 CCII). Quanto agli effetti della domanda, l’art. 46, comma 1, CCII prevede che, dopo il deposito della domanda di accesso e fino al decreto di apertura di cui all’art. 47, il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale. In difetto di autorizzazione gli atti sono inefficaci e il tribunale dispone la revoca del decreto di cui all’art. 44, comma 1, CCII. Riguardo agli effetti della presentazione della domanda, l’art. 94 CCII prevede che, dalla data di presentazione della domanda di accesso al concordato preventivo e fino all’omologazione, il debitore conserva l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale. Inoltre, fermo il disposto del già richiamato art. 46, gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, compiuti senza l’autorizzazione del giudice delegato, sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato e l’autorizzazione può essere concessa prima dell’omologazione se l’atto è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori.
Vi sono, poi, la transazione fiscale e gli accordi su crediti contributivi, che possono essere proposti del debitore (art. 63 CCII) nell’ambito delle trattative che precedono la stipulazione degli accordi di ristrutturazione di cui agli artt. 57, 60 e 61 CCII. In tali casi l’attestazione del professionista indipendente, relativamente ai crediti fiscali e previdenziali, deve inerire anche alla convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale; circostanza che costituisce oggetto di specifica valutazione da parte del tribunale. E l’assenso espresso dall’amministrazione equivale a sottoscrizione dell’accordo di ristrutturazione. Si precisa, inoltre che, ai fini dell’art. 48, comma 5, CCII l’eventuale adesione deve intervenire entro sessanta giorni dal deposito della proposta di transazione fiscale e che la transazione fiscale conclusa nell’ambito degli accordi di ristrutturazione è risolta di diritto se il debitore non esegue integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle agenzie fiscali e agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie.
Anche in relazione a tali istituti, può trovare applicazione il principio generale secondo cui la punibilità per i reati di omesso versamento può essere esclusa solo nel caso in cui l’obbligazione tributaria muti la sua natura (in relazione all’ammontare o ai termini di pagamento) prima della scadenza del termine rilevante ai fini penali.
La ragion d’essere della nuova disciplina è, dunque, quella di anticipare il più possibile l’emersione della crisi, in modo da consentire la continuità dell’attività imprenditoriale attraverso un intervento pubblico privo delle connotazioni marcatamente sanzionatorie e liquidatorie che caratterizzano l’impianto della legge fallimentare. Ciò emerge già dall’art. 2, comma 1, lettera a), CCII, il quale contiene la definizione di “crisi” come stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate. Mettendo a confronto tale nozione con quella di insolvenza – che rimane invariata, continuando a riferirsi a uno stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni – la stessa dovrebbe riguardare le situazioni in cui sussista semplicemente una probabilità di insolvenza futura e, come tale, per sua natura incerta[16]. La prospettiva è, dunque, quella di attuare in via preventiva l’intervento pubblico in modo da consentire un superamento della crisi[17]. In tale ottica, gli artt. 12, 14, 15 del Codice della crisi fissano obblighi di segnalazione diretti alla tempestiva rilevazione degli indizi di crisi dell’impresa e alla sollecita adozione delle misure più idonee alla sua composizione. In particolare, l’art. 15 regola l’obbligo di segnalazione di creditori pubblici qualificati, stabilendo che l’Agenzia delle Entrate, l’Inps e l’agente della riscossione sono tenuti a dare avviso al debitore, mediante apposita comunicazione, che la sua esposizione debitoria ha superato l’importo rilevante indicato al comma 2[18] e che essi provvederanno a segnalare tale situazione all’organismo di composizione della crisi d’impresa (di cui al successivo articolo 16), qualora il debitore non provveda entro 90 giorni dalla ricezione dell’avviso, alternativamente, all’estinzione o alla regolarizzazione dell’intero debito nei modi previsti ex lege, oppure alla presentazione di istanza di composizione assistita della crisi o di domanda per accedere ad una procedura di regolazione della crisi e dell’insolvenza. L’art. 15 stabilisce, inoltre, che il mancato avviso al debitore comporta l’inefficacia del titolo di prelazione spettante su crediti di cui l’Agenzia delle Entrate è titolare[19] e che l’amministrazione finanziaria è tenuta ad attivarsi a decorrere dalle comunicazioni di verificazione periodica Iva relative al primo trimestre dell’anno d’imposta successivo all’entrata in vigore del codice della crisi (comma 7). Il creditore pubblico qualificato non deve, però, effettuare la segnalazione nel caso in cui il debitore documenti di essere titolare di crediti di imposta o di altri crediti verso pubbliche amministrazioni di importo complessivamente non inferiore alla metà del debito verso il creditore pubblico qualificato. L’obbligo di segnalazione cessa anche in pendenza di una delle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza (art. 12, ultimo comma).
Per quanto qui rileva ai fini del reato di mancato versamento dell’Iva, l’intervento obbligatorio dell’Agenzia delle Entrate, ai sensi del richiamato art. 15, ha la funzione di far emergere in modo tempestivo[20] debenze di importo tale da superare la soglia di punibilità. A questo punto, se il contribuente non riuscirà a rimediare a tali omissioni, si aprirà una crisi sorvegliata con il coinvolgimento dell’OCRI e il probabile ricorso alle misure protettive di cui all’art. 20 del Codice. E da questa situazione il contribuente potrà uscire o con il superamento della crisi, cioè con il recupero della capacità di adempiere le proprie obbligazioni, oppure con l’accesso ad una procedura concorsuale.
Al di là di ogni considerazione di tipo pratico sull’effettiva capacità dell’Agenzia delle Entrate di adempiere al proprio obbligo di segnalazione, l’intento del legislatore appare evidentemente positivo, facendo venire meno in radice quelle situazioni di incertezza nelle quali maturano i reati fiscali da omesso versamento, perché la situazione di crisi riconosciuta sarà per il contribuente foriera di obblighi, ma anche di misure protettive[21].
4. Brevi riflessioni conclusive.
La peculiarità dell’obbligazione tributaria giustifica la scelta del legislatore di punire il suo inadempimento – se protrattasi al di là degli ulteriori termini appositamente fissati e superiore alle soglie di punibilità – con la sanzione penale. Ciò pone, come visto, un grave problema di interferenza con la disciplina del concordato preventivo nel caso in cui la procedura concorsuale si apra nel periodo che intercorre fra la scadenza del termine per l’adempimento rilevante ai fini tributari e la scadenza di quello rilevante a fini penali. La soluzione della giurisprudenza maggioritaria – che svaluta a tal fine la mera proposizione di una domanda di concordato, richiedendo per la non punibilità penale che il debitore abbia assunto l’iniziativa di procedere al pagamento e che il giudice abbia espressamente negato questa possibilità – non pare messa in discussione dall’entrata in vigore di discipline (prima quella del 2017, poi quella del Codice della crisi anticipata nella legge fallimentare) che consentano falcidie e dilazioni delle pretese tributarie e previdenziali aprendo la strada addirittura al meccanismo del cram down, attraverso il quale il giudice può sostituirsi alle amministrazioni finanziarie e previdenziali nello stabilire in concreto la convenienza di tali falcidie e dilazioni. Tali discipline, infatti, possono incidere sui reati di omesso versamento solo nel caso in cui le falcidie e le dilazioni siano oggetto di omologa da parte del giudice prima della scadenza del termine di adempimento rilevante ai fini penali, perché prima di tale momento non sembra realizzarsi alcuna rilevante novazione dell’obbligazione tributaria.
In questo quadro, la scelta del legislatore di non occuparsi espressamente del tema del coordinamento tra diritto penale tributario e diritto della crisi d’impresa lascia attualmente aperti e sostanzialmente immutati i problemi giuridici già dibattuti dalla giurisprudenza di legittimità formatasi prima dell’ultima riforma. Analoghe considerazioni possono valere, più in generale, quanto al rapporto fra reati di omesso versamento e situazioni di crisi del mercato, accentuati dall’attuale emergenza Covid-19, mancando anche su questo aspetto un intervento di razionalizzazione da parte del legislatore.
[1] L’articolo inserito dall’art. 146, comma 1, D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, a decorrere dal 16 luglio 2006, ha subito numerose modifiche, precedenti e successive alle sentenze richoiamate subito infra: da ultimo, ad opera dell’art. 3, comma 1-bis del D.L. 7 ottobre 2020, n. 125, convertito, con modificazioni, dalla L. 27 novembre 2020, n. 159.
[2] Sez. 3, n. 15853 del 12/03/2015, Rv. 263436. Si ricorda che l’istituto del concordato preventivo costituisce un’alternativa al fallimento e, dunque, si delinea come uno di quegli strumenti di tutela non solo dei creditori ma anche degli interessi economici collettivi che il legislatore ha predisposto per le crisi d’impresa. Si tratta di una procedura che, pur originandosi da un impulso del debitore, non è confinata in un dispositivo privatistico governato esclusivamente dalle parti (debitore e creditore) dei negozi coinvolti in quell’inadempimento complessivo che integra lo “stato di crisi” (art. 160, comma 1, l. fall.) o addirittura “lo stato di insolvenza” (l. fall., art. 160, u.c.), bensì attinge alla soglia pubblicistica, si snoda in un percorso giurisdizionalmente disegnato e vigilato, per ricevere infine una ratifica di quanto deliberato dai creditori sulla proposta del debitore da parte dell’organo giurisdizionale.
[3] Sez. 3, n. 6591 del 26/10/2016, dep. 2017, Rv. 269146.
[4] Per quanto qui strettamente rileva, si è previsto, al comma 1, che: «Con il piano di cui all’articolo 160 il debitore, esclusivamente mediante proposta presentata ai sensi del presente articolo, può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori […]». Sull’obbligatorietà di tale procedura nell’attuale quadro normativo, v. Cass. civ., Sez. U, ord. n. 8504 del 25/03/2021, Rv. 660876 – 02.
[5] Con note di: Milizia, L’imprenditore in crisi può chiedere la riduzione del saldo dell’IVA in sede di concordato preventivo, in Diritto & Giustizia, 18, 2016, 37; De Quattro, La falcidia del credito Iva nel concordato preventivo: profili europei e problematiche di diritto nazionale, in Giur. Comm., 2, 2017, 327, il quale ripercorre l’evoluzione della successiva giurisprudenza civile – che non può in questa sede essere analizzata – evidenziando le ragioni della scelta del legislatore di adeguare il già esistente istituto della transazione fiscale, nel senso di una sostanziale equiparabilità tra crediti tributari e contributivi ed altri crediti.
[6] Con nota critica di Di Vizio, I rapporti tra la dilazione concordataria ed il reato di omesso versamento dell’IVA, in Il Fallimento, 3, 2019, 364.
[7] Valorizza questa novità normativa anche Bottai, op. cit., che richiama Corte Cost. 29 novembre 2019, n. 245, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, della legge n. 3 del 2012, proprio per la disparità di trattamento con il concordato preventivo, e Corte cost. 4 luglio 2013, n. 170.
[8] Sez. 3, 16/05/2014, n. 32598.
[9] Cfr. Zorzi, Piani di risanamento e accordi di ristrutturazione nel codice della crisi, in Il Fallimento, 2019, 1003 ss.; Bogoni – Artuso, La transazione fiscale: profili tributari e processuali, in Dir. e prat. trib., 2020, 409; D’Attorre, La ristrutturazione “coattiva” dei debiti fiscali e contributivi negli adr e nel concordato preventivo, in Il Fallimento, 2, 2021, 153 ss.
[10] Ovvero il 60%.
[11] Va aggiunto che il d.l. n. 137 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 176 del 2020, ha modificato la disciplina degli accordi di composizione della crisi da sovraindebitamento, introducendo anche in quel settore la regola del “cram down” fiscale: l’accordo può essere omologato, quindi, anche in assenza di adesione dell’Erario, quando tale adesione è decisiva ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’art. 11, comma 2, della legge n. 3 del 2012 (che disciplina le situazioni di sovraindebitamento non soggette né assoggettabili a procedure concorsuali) e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione dell’organismo di composizione della crisi, la proposta di soddisfacimento dell’Erario è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria (art. 12, comma 3-quater, della legge n. 3 del 2012, inserito dall’art. 4-ter, comma 1, lettera f), del richiamato d.l.).
[12] Secondo la relazione di accompagnamento al Codice della crisi (sub art. 48): «Al fine di superare ingiustificate resistenze alle soluzioni concordate, spesso registrate nella prassi, è previsto che il tribunale possa omologare gli accordi di ristrutturazione anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria quando l’adesione è decisiva ai fini del raggiungimento delle percentuali di legge sempre che, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria». Da condividere, sul punto, l’osservazione di D’Attorre, op. cit., 154, secondo cui dalla prassi pare desumersi che i frequenti pareri negativi dell’amministrazione alle proposte di ristrutturazione costituiscano l’effetto di un atteggiamento pregiudizialmente “difensivo” dei funzionari chiamati a decidere, timorosi di una possibile responsabilità erariale, piuttosto che il riflesso di una valutazione razionale sulle effettive prospettive di recupero del credito, come quella che invece generalmente caratterizza le scelte dei creditori di natura privata e che dovrebbe orientare l’agire della stessa amministrazione in conformità al principio del buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost.
[13] Ferrajoli, Crisi d’impresa e reati tributari di omesso versamento: i nodi lasciati irrisolti dalla riforma, in Il Fisco, 26, 2020, 2559 evidenzia come il codice della crisi non si sia occupato del problema del coordinamento tra procedure concorsuali e reati tributari e individua, quale possibile soluzione, la riscrittura dell’art. 13 del D.Lgs. n. 74/2000, con la sostituzione del non negoziabile termine di tre mesi e introducendo una discrezionalità del giudice di merito nell’individuazione, anche tenuto conto delle ragioni poste alla base dell’intervenuto omesso versamento e di eventuali termini di dilazione pattuiti proprio con l’Erario, di un ragionevole arco temporale entro cui estinguere integralmente il debito tributario beneficiando della relativa causa di non punibilità.
[14] Riferimenti generali in Zanichelli, Il corposo restyling della legge sul sovraindebitamento, in Il Fallimento, 4, 2021, 454 ss.
[15] Evidenzia D’Attorre, op. cit., 163, che – delle tre condizioni che consentono l’operare dell’istituto: a) la “mancanza di voto” o “mancanza di adesione” da parte dell’amministrazione; b) il carattere decisivo della “adesione” dell’amministra- zione ai fini del raggiungimento delle maggioranze; c) il superamento del test di convenienza della proposta di soddisfacimento dell’amministrazione – la prima deve essere interpretata nel senso che comprende sia il caso in cui l’amministrazione abbia votato in senso contrario in modo espresso, sia l’ipotesi in cui l’amministrazione non abbia espresso il voto, operando la regola del silenzio- dissenso. Contra Trib. Bari, decreto 18/01/2021, secondo cui tale interpretazione dottrinale si scontra con la lettera della disposizione e genera un trattamento differenziato irragionevole per i creditori concordatari ammessi al voto, in quanto solo il voto contrario dell’amministrazione finanziaria sarebbe superabile dal Collegio con la valutazione di cui all’art. 180 l. fall. e non invece il voto contrario di un altro creditore.
Va evidenziato che l’art. 48, comma 5, CCII trova applicazione anche in relazione agli accordi di ristrutturazione agevolati, di cui all’articolo 60, per i quali «la percentuale di cui al all’articolo 57, comma 1, è ridotta della metà quando il debitore: a) non proponga la moratoria dei creditori estranei agli accordi; b) non abbia richiesto e rinunci a richiedere misure protettive temporanee».
[16] Cfr. Lo Cascio, Il Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza: considerazioni a prima lettura, in Il Fallimento, 3, 2019, 264-265; Rossi, Dalla crisi tipica ex CCII alla resilienza della twilight zone, in Il Fallimento, 3, 2019, 291 ss.; Ambrosini, Crisi e insolvenza: distinzione teorica e incertezze applicative. Il nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, in Italia Oggi, serie speciale, 2, anno 29, 23 gennaio 2019, 25; Fauceglia, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Giappichelli, 2019, 27.
[17] Si tratta di una prospettiva che si riflette nelle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, finalizzate ad incentivare l’emersione anticipata della crisi stessa e ad agevolare lo svolgimento di trattative fra debitore e creditori (titolo II della parte I del decreto legislativo n. 14 del 2019).
[18] Il quale prevede che l’esposizione debitoria è di importo rilevante, per l’Agenzia delle Entrate, quando l’ammontare totale del debito scaduto e non versato per l’imposta sul valore aggiunto, risultante dalla comunicazione della liquidazione periodica, «sia pari ad almeno il 30 per cento del volume d’affari del medesimo periodo e non inferiore a euro 25.000 per volume d’affari risultante dalla dichiarazione modello IVA relativa all’anno precedente fino a 2.000.000 di euro, non inferiore a euro 50.000 per volume d’affari risultante dalla dichiarazione modello IVA relativa all’anno precedente fino a 10.000.000 di euro, non inferiore a euro 100.000, per volume d’affari risultante dalla dichiarazione modello IVA relativa all’anno precedente oltre 10.000.000 di euro».
[19] Analoghe conseguenze sono previste per l’Inps, mentre l’inerzia dell’agente della riscossione determina l’inopponibilità del credito per spese e oneri di riscossione.
[20] Tempestivo rispetto al termine di consumazione del reato, che non coincide – come visto – con i singoli mancati pagamenti.
[21] Sul punto, cfr. Perini, op. cit., 153-154, il quale, richiamando e condividendo l’orientamento minoritario della Corte di cassazione – che attribuisce alla presentazione della domanda di concordato una efficacia impeditiva del pagamento del debito tributario – giunge a preconizzare un incremento numerico delle situazioni di irrilevanza penale dell’omesso versamento dell’Iva.