Francesco Angelini

La mia esperienza come magistrato ha avuto inizio circa quattro anni fa, con la  nomina di cui al D.M. 12.02.2019 e l’assegnazione – in seguito – presso il tribunale di Terni, quale giudice delle esecuzioni immobiliari.

La materia delle esecuzioni immobiliari costituisce uno dei settori “delicati” nell’ambito della giurisdizione civile, sia in quanto costituisce un ruolo gestorio, sia in quanto i valori in gioco richiedono una costante attività di bilanciamento nell’esercizio quotidiano della giurisdizione.

La normativa primaria e secondaria (nonché gli orientamenti giurisprudenziali) non è infatti in grado di coprire tutte le svariate fattispecie che si presentano dinanzi al Giudice delle esecuzioni (si pensi – a mero titolo di esempio – alle tecniche di conservazione degli immobili, all’esecuzione degli ordini di liberazione, alle variegate ipotesi di irregolarità e vizi commessi in sede di presentazione delle offerte).

Come è possibile pertanto colmare e attuare nel caso concreto le relative norme?

Prima di tutto, viene in rilievo l’insostituibile ruolo svolto dalla Carta costituzionale. Essa infatti, sebbene non individui risposte specifiche, costituisce lo strumento principe che guida l’interprete nel bilanciamento dei valori sottesi alla normativa codicistica e che pertanto consente a quest’ultimo di risolvere questioni mai trattate prima d’ora con il sicuro apporto del testo fondamentale del nostro Paese.

Secondo poi, risulta quanto mai essenziale il dialogo con gli altri interlocutori, sia nella forma istituzionalizzata del contraddittorio con le parti e con gli ausiliari (custode giudiziario, esperto stimatore, assistenti sociali, e altre figure istituzionali), sia nella forma meno rigida del dialogo e del confronto con i colleghi giudici dell’esecuzione, con i colleghi di sezione; nei casi più delicati anche con il presidente del Tribunale, figura la quale – senza mai oltrepassare i limiti nella cognizione del fascicolo – risulta in grado di poter fornire un valido supporto e preziosi consigli sulle modalità più opportune di azione.

Da ultimo – ma non per questo meno importante – un fondamentale e insostituibile apporto non può che derivare dalla continua attività di studio, tanto delle questioni giuridiche, quanto di quelle extragiudiziarie e lato sensu culturali, nell’incrollabile certezza che il giudice è tenuto a dover conoscere, capire e approfondire la realtà in cui è chiamato ad operare e in questo campo, solo l’apporto di uno studio serio e diligente è in grado di consentire una decisione calata in un contesto concreto e capace di poter far fronte alle innumerevoli esigenze emergenti nel contesto sociale.

I principi della Costituzione, il dialogo con gli altri e lo studio della realtà che ci circonda sono ad avviso di chi scrive gli strumenti indispensabili per lo svolgimento del proprio ruolo in società – tanto per i magistrati, quanto per i giovani studenti che stanno costruendo, giorno dopo giorno, il loro futuro.

                                                      

Chiara Contesini

Se mi venisse chiesto quando ho iniziato a pensare che avrei voluto diventare magistrato, non rientrerei in quella categoria di persone che si porta con sé questo sogno sin da bambina. Ho capito ciò che volevo fare solo studiando, durante l’università, comprendendo il ruolo e la funzione del pubblico ministero, un ruolo che mi affascinava e mi incuriosiva.

A quel punto, ho scelto di fare il pubblico ministero e ho portato avanti questa decisione sino al momento della scelta delle funzioni.

Ad oggi sono circa due anni e mezzo che ho preso servizio come sostituto procuratore a Pistoia e non posso non descrivere questo lavoro come impegnativo, ma allo stesso tempo appassionante: uno degli aspetti per me più interessanti sta proprio nel ricostruire i piccoli tasselli di ogni indagine, dalle più semplici (se così si può dire) alle più complesse, che poi portano all’instaurazione di un processo.

Non appena si indossa la toga diviene chiaro, però, che il ruolo del pubblico ministero (come, del resto, quello del giudice) è estremamente delicato, dal momento che le nostre decisioni hanno il potere di incidere sensibilmente e significativamente sulla vita delle persone.

Proprio per questo motivo, la funzione del pubblico ministero richiede grande attenzione e competenza.

Può sembrare banale, ma credo che tra i motivi che spingono a svolgere questo mestiere vi sia anche la sensazione e il desiderio di dare il proprio contributo, di fornire un apporto concreto alla società e di fare qualcosa di buono.

Si impara, difatti, a comprendere che più che fare il magistrato, si è un magistrato, poiché il nostro ruolo consiste nel testimoniare il rispetto dei valori di legalità e giustizia anche al di fuori delle aule di Tribunale e a prescindere dall’attività prettamente istituzionale che svolgiamo quando siamo in servizio.

Diventando magistrati si assume un onere che va oltre la mera funzione giurisdizionale, poiché si è chiamati ad impersonificare quei diritti e quei valori che invochiamo durante un processo anche nei nostri comportamenti quotidiani.

In questo, le iniziative come il progetto “Testimoni Capaci” rispecchiano questo dovere di testimonianza che il magistrato riveste, soprattutto nel confronto con i giovani.

Tra le “rose spezzate” che abbiamo ricordato, non posso far a meno di pensare a Rocco Chinnici, che rappresenta un esempio di personificazione dei valori di legalità e giustizia, non solo per la sua indiscussa professionalità, ma anche attraverso il modo di vivere il suo ruolo.

Rocco Chinnici è stato tra i primi magistrati a recarsi nelle scuole, poiché aveva compreso l’importanza di rivolgersi ai ragazzi, di renderli partecipi degli eventi che impattavano sulla società e di sensibilizzarli e responsabilizzarli rispetto alle dinamiche di quella realtà sociale in cui si approntavano ad entrare dopo il diploma.

Rocco Chinnici credeva fortemente nei giovani e sapeva che la mafia aveva (ed ha) paura della scuola, della cultura, del pensiero libero. Perché sono proprio lo studio e la cultura a rendere liberi, liberi di comprendere la realtà che ci circonda, liberi di scegliere da che parte stare, liberi di capire che le promesse che possono apparentemente provenire dalla criminalità organizzata non sono altro che uno strumento di sottomissione al potere e alla forza di intimidazione della mafia.

Occorre, però, dire che parlare con i ragazzi nelle scuole è fondamentale anche per svolgere al meglio la funzione di magistrati: è un’attività che arricchisce moltissimo e che soprattutto non fa perdere il contatto con la società su cui le nostre decisioni vanno ad incidere.

Uno dei timori più grandi che accompagna la mia funzione consiste, in effetti, nella paura di “abituarsi” nel tempo a questo lavoro e di perdere la sensibilità necessaria per affrontare coerentemente ogni singolo caso che ci viene sottoposto. La ripetitività di determinate dinamiche e la mole di lavoro che ci impegna quotidianamente possono indurre a lavorare in maniera automatica, quasi dimenticando che tra le mani non abbiamo semplicemente un fascicolo, ma la vita di una persona che si è rivolta alle istituzioni per avere giustizia e che merita rispetto e umanità a prescindere dalla parte che riveste nel processo, sia essa imputato o persona offesa.

Io tratto reati molto diversi fra loro e che presentano profili di complessità per diverse ragioni.

I reati economici in apparenza possono sembrare di minore impatto sulla società, ma in realtà spesso celano situazioni capaci di destabilizzare il contesto economico di una determinata zona e per questo richiedono un attento impegno che consenta di cogliere anche sfumature di non immediata percezione.

I reati in materia di “fasce deboli”, dai maltrattamenti alla violenza sessuale, sino ad ogni forma di violenza domestica, richiedono invece grande sensibilità, oltre che celerità di intervento. Trattare questo tipo di reati può essere molto complicato (oltre che emotivamente difficile), soprattutto perché si è chiamati a valutare fatti che difficilmente potranno essere scissi da una valutazione che coinvolge le parti della vicenda e, pertanto, diventa essenziale cercare di comprendere il punto di vista di una persona che spesso da anni è esposta ad un clima di violenza e finalmente ha trovato il coraggio di denunciare e chiedere aiuto.

Quello del magistrato è un mestiere difficile, perché significa imparare ad ascoltare le persone, significa assumere decisioni di grande responsabilità con fermezza, significa non perdere la propria umanità quando si è chiamati a valutare i fatti e significa garantire a tutti i cittadini pari dignità di fronte alla legge.

                                                                                          

Vittoria Giansanti

Sono Vittoria Giansanti e sono nata a Perugia nel 1989, anno di entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale.

Ho iniziato a lavorare come magistrato da poco più di un anno e mezzo e svolgo le funzioni di giudice penale, monocratico e collegiale, al Tribunale di Padova.

Ho spiegato ai ragazzi la differenza di significato tra i termini “magistrato” (genus), “giudice” e “pubblico ministero” (species) spesso ignorata dai non addetti ai lavori.

Ho altresì illustrato loro che fino al 1963 le donne non erano ammesse al concorso in magistratura – perché ritenute poco equilibratore soprattutto in certi periodi del mese – mentre ora sono la maggioranza dei magistrati.

Da ragazza sono sempre stata appassionata di cronaca nera, libri gialli e film drammatici; ho visto tutte le puntate di un giorno in Pretura.

A 18 anni volevo iscrivermi a medicina e fare il medico legale ma mio padre (medico) mi ha suggerito di iscrivermi a giurisprudenza (ignorava il percorso lungo e complesso che sarebbe stato).

Ora come giudice mi occupo per lo più di reati contro la persona (maltrattamenti, stalking, violenza sessuale). Ho spiegato ai ragazzi cosa si intenda per “violenza sessuale”, anche un semplice bacio o una carezza non voluti, e la enorme difficoltà nel decidere della responsabilità penale di una persona quando l’unica prova è rappresentata – come avviene quasi sempre nei reati a sfondo sessuale – solo ed esclusivamente dalle dichiarazioni della persona offesa.

Spesso le riflessioni migliori, per cui decidi se condannare o assolvere una persona, arrivano nei momenti più inaspettati, mentre guidi in macchina o fai la doccia, perché i pensieri del lavoro si portano spesso anche a casa.

Mi sento fortunata perché sono riuscita a realizzare i miei desideri e nonostante le fatiche quotidiane credo in quello che faccio e credo in un futuro migliore del nostro Paese.

                                                                                 

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