1. L’Arte alla Corte
La Corte di giustizia dell’Unione europea, luogo in cui le culture giuridiche dialogano quotidianamente, dedica all’arte una particolare attenzione.

Grazie al contributo degli Stati membri, l’istituzione giudiziaria dell’Unione ospita un’ampia collezione di opere d’arte, rappresentativa del patrimonio multiculturale europeo. Tali opere, oggetto di dono, deposito o prestito, rivelano le particolari tradizioni degli Stati membri e, nella loro diversità, contribuiscono alla creazione di uno «spirito europeo». Di varia natura e risalenti ad epoche diverse, esse evocano sovente le idee di Europa, di giustizia, di armonia, di cooperazione e di pace.

Col passare del tempo, alle prime opere – quella prestata dalla Francia nel 1969 per decorare la prima sala d’udienza della Corte, e quelle commissionate dal Lussemburgo, ad artisti rappresentativi dei sei Stati fondatori, per adornare il Palazzo inaugurato nel 1973 – se ne aggiungono di nuove.

Nell’aprile 2023 l’Italia ha contribuito ad ampliare il patrimonio artistico della Corte.


La Vittoria alata, affresco pompeiano, è stata data in prestito dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN) alla Corte per esservi esposto. Simbolo di pace e prosperità risalente al primo secolo d.C., tale affresco illustra il legame tra l’arte e l’istituzione giudiziaria. La figura femminile ha un ramoscello di palma nella mano destra e una cornucopia, simbolo dell’abbondanza, in quella sinistra.

2. Rassegna di giurisprudenza
Corte di Giustizia, Grande Sezione, 25 giugno 2024, sentenza C-626/22, ILVA e a. (Rinvio pregiudiziale – Ambiente – Articolo 191 TFUE – Emissioni industriali – Direttiva 2010/75/UE – Prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento – Articoli 1, 3, 8, 11, 12, 14, 18, 21 e 23 – Articoli 35 e 37 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Procedimenti di rilascio e riesame di un’autorizzazione all’esercizio di un’installazione)

Nel 2019 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accertato che l’acciaieria ILVA provocava significativi effetti dannosi sull’ambiente e sulla salute degli abitanti della zona. Varie misure per la riduzione del suo impatto sono state previste sin dal 2012, ma i termini stabiliti per la loro attuazione sono stati ripetutamente differiti. Numerosi abitanti della zona di Taranto hanno agito in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano contro il proseguimento dell’esercizio dell’acciaieria, sostenendo che le sue emissioni nuocciono alla loro salute e che l’installazione non è conforme ai requisiti della direttiva relativa alle emissioni industriali.

Il Tribunale di Milano ha chiesto alla Corte di Giustizia, con rinvio pregiudiziale, se la normativa italiana e le norme derogatorie speciali applicabili all’acciaieria Ilva al fine di garantirne la continuità siano in contrasto con la direttiva.

Secondo la Corte di Giustizia, la nozione di «inquinamento» ai sensi della direttiva relativa alle emissioni industriali include i danni all’ambiente e alla salute umana. La previa valutazione dell’impatto dell’attività di un’installazione, come l’acciaieria Ilva, deve quindi costituire atto interno ai procedimenti di rilascio e riesame dell’autorizzazione all’esercizio previsti da tale direttiva. Nel procedimento di riesame occorre considerare le sostanze inquinanti connesse all’attività dell’installazione, anche se non sono state valutate nel procedimento di autorizzazione iniziale. In caso di pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana, l’esercizio dell’installazione deve essere sospeso.

Corte di Giustizia, Grande sezione, 30 aprile 2024, sentenza C-670/22, M.N. (EncroChat), (Rinvio pregiudiziale – Cooperazione giudiziaria in materia penale – Direttiva 2014/41/UE – Ordine europeo di indagine – Acquisizione di prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione –
Condizioni di emissione – Servizio di telecomunicazioni cifrate – EncroChat)


La polizia francese è riuscita, con l’ausilio di esperti dei Paesi Bassi e l’autorizzazione di un tribunale francese, ad infiltrarsi nel servizio di telecomunicazioni cifrate EncroChat, utilizzato su scala mondiale, mediante telefoni cellulari criptati, a scopi di traffico illecito di stupefacenti. Dando seguito ad ordini europei di indagine emessi dalle autorità giudiziarie di diversi Stati membri- tra cui una Procura tedesca-, un tribunale francese ha autorizzato la trasmissione di tali dati, nonché il loro utilizzo nell’ambito di svariati procedimenti penali.

Il tribunale del Land di Berlino si è interrogato sulla legittimità di tali ordini europei di indagine ed ha pertanto sottoposto alla Corte di giustizia una serie di questioni pregiudiziali concernenti la direttiva relativa all’ordine europeo di indagine penale.

Interpretando la direttiva sull’OIE, la CGUE ha affermato che: 1) un ordine d’indagine europeo inteso a ottenere la trasmissione di prove già raccolte da un altro Stato membro può, a determinate condizioni, essere adottato da un pubblico ministero; 2). La sua emissione non richiede che siano rispettate le condizioni applicabili alla raccolta di prove nello Stato di emissione; 3) Tuttavia, deve esistere la possibilità di un controllo giurisdizionale successivo sul rispetto dei diritti fondamentali delle persone interessate 4) alla luce del principio del riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie che è alla base della cooperazione giudiziaria in materia penale, nella quale rientra la direttiva 2014/41, l’autorità di emissione non è autorizzata a controllare la regolarità del procedimento distinto mediante il quale lo Stato membro di esecuzione ha raccolto le prove già in possesso di quest’ultimo 1 .

Corte di Giustizia, 30 gennaio 2024, sentenza nella causa C-442/22, Dyrektor Izby Administracji Skarbowej w Lublinie (Frode di un dipendente) – (Rinvio pregiudiziale – Sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (IVA) – Direttiva 2006/112/CE – Articolo 203 – Obbligo di pagamento – Persona debitrice dell’IVA)

La Corte di Giustizia si è pronunciata sull’interpretazione dell’articolo 203 della direttiva IVA, su richiesta di un giudice polacco chiamato a decidere una causa di false fatture. La questione sottoposta alla Corte è: chi sia il soggetto debitore dell’IVA indicata in una fattura, se la società i cui dati sono stati illecitamente utilizzati nella fattura o il dipendente che si è servito di tali dati per emettere fatture false. Secondo la Corte, qualora un dipendente di un soggetto passivo IVA abbia emesso una fattura falsa utilizzando l’identità del suo datore di lavoro come soggetto passivo, all’insaputa di quest’ultimo e senza il suo consenso, tale dipendente va considerato quale persona che indica l’IVA ai sensi dell’articolo 203 e, di conseguenza, debitore dell’IVA evasa.

Per essere considerato in buona fede, il datore di lavoro è tenuto a dar prova della diligenza ragionevolmente dovuta nel controllare le condotte del suo dipendente e nell’evitare che i propri dati siano utilizzati per emettere fatture false. In assenza di tale prova, il datore di lavoro deve essere considerato soggetto obbligato a pagare l’IVA indicata nelle fatture fraudolente.

Corte di Giustizia, Grande sezione, 16 gennaio 2024, sentenza nella causa C-621/21, Intervyuirasht organ na DAB pri MS (Donne vittime di violenza domestica) – (Politica comune in materia di asilo – Direttiva 2011/95/UE – Condizioni per la concessione dello status di rifugiato – Articolo 2, lettera d) – Motivi di persecuzione – “Appartenenza a un determinato gruppo sociale”- violenza domestica)

In Bulgaria una cittadina turca, di origine curda, di confessione musulmana e divorziata, ha presentato una domanda di protezione internazionale adducendo di essere stata costretta a sposarsi dalla sua famiglia, e poi picchiata e minacciata dal marito, sicchè teme per la propria vita in caso di ritorno in Turchia.

Il giudice bulgaro, investito della causa, ha sottoposto talune questioni interpretative alla Corte di giustizia.

La direttiva 2011/951 stabilisce le condizioni per il riconoscimento, da un lato, dello status di rifugiato e, dall’altro, della protezione sussidiaria di cui possono beneficiare i cittadini di paesi terzi. Lo status di rifugiato è previsto in caso di persecuzione di qualunque cittadino di un paese terzo per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale. La protezione sussidiaria, invece, è prevista per qualunque cittadino di un paese terzo che non possieda i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se fosse rinviato nel paese di origine, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno, il che include segnatamente l’essere giustiziato e trattamenti inumani o degradanti.

La Corte ritiene che la direttiva debba essere interpretata nel rispetto della Convenzione di Istanbul, che vincola l’Unione europea e riconosce la violenza contro le donne basata sul genere come una forma di persecuzione. Secondo la Corte di Giustizia, le donne, nel loro insieme, possono essere considerate come appartenenti a un gruppo sociale ai sensi della direttiva 2011/95 e beneficiare dello status di rifugiato qualora siano soddisfatte le condizioni previste da tale direttiva. È quanto avviene quando, nel loro paese d’origine, sono esposte, a causa del loro sesso, a violenze fisiche o mentali, incluse le violenze sessuali e domestiche.

Qualora le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato non siano soddisfatte, esse possono beneficiare dello status di protezione sussidiaria, in particolare se corrono un rischio effettivo di essere uccise o di subire violenze.

Corte di Giustizia, Grande sezione, 21 dicembre 2023, sentenza C-333/21, European Superleague Company (Rinvio pregiudiziale – Concorrenza – Mercato interno – Normative istituite da associazioni portive internazionali – Calcio professionistico)

La FIFA e la UEFA sono associazioni di diritto privato con sede in Svizzera, aventi l’obiettivo di promuovere e disciplinare il calcio a livello mondiale ed europeo. Esse hanno adottato norme che conferiscono loro il potere di autorizzare le competizioni di calcio tra club in Europa e di sfruttarne i diversi diritti mediatici Dodici club europei di calcio hanno inteso realizzare, attraverso la società spagnola European Superleague Company, un progetto di nuova competizione calcistica: la Superlega.

La FIFA e la UEFA si sono opposte a detto progetto, minacciando sanzioni a carico dei club e dei giocatori che avessero deciso di parteciparvi. In risposta, la European Superleague Company ha agito dinanzi al Tribunale di commercio di Madrid (Spagna) contro la FIFA e la UEFA, deducendo che le norme da esse adottate in materia di autorizzazione delle competizioni e di sfruttamento dei diritti mediatici violino il diritto dell’Unione e che la FIFA e la UEFA si trovino in una situazione di monopolio.

Adita dal giudice spagnolo, la Corte di Giustizia constata che l’organizzazione di competizioni calcistiche tra club e lo sfruttamento dei diritti mediatici sono attività economiche e, in quanto tali, devono rispettare le norme in materia di concorrenza e le libertà di circolazione, anche se l’esercizio dell’attività sportiva quale attività economica presenta talune specificità, come l’esistenza di federazioni dotate di poteri di regolamentazione, di controllo e sanzionatori.

La Corte ha poi dichiarato che, quando un’impresa in posizione dominante ha il potere di stabilire a quali condizioni imprese potenzialmente concorrenti possano accedere al mercato, detto potere deve essere accompagnato da criteri idonei a garantirne il carattere trasparente, oggettivo, non discriminatorio e proporzionato. tenuto conto del rischio di conflitto di interessi che esso comporta. Orbene, i poteri della FIFA e della UEFA non sono disciplinati da alcun criterio con tali caratteristiche, per cui la FIFA e la UEFA si trovano in una situazione di abuso di posizione dominante.

In maniera analoga, le norme da esse adottate in materia di autorizzazione, di controllo e sanzionatorie devono essere qualificate quali restrizioni non giustificate alla libera prestazione dei servizi, tenuto conto del loro carattere arbitrario.

La Corte di Giustizia non prende specificamente posizione sul progetto Superlega e sulla necessità di autorizzazione dello stesso da parte delle federazioni calcistiche europee, essendo stata chiamata a pronunciarsi in termini generali sulle norme della FIFA e della UEFA.

Osserva, infine, che le norme della FIFA e della UEFA in materia di sfruttamento dei diritti mediatici possono essere lesive per i club europei di calcio, per l’insieme delle imprese operanti sui mercati dei media e per i consumatori e telespettatori, poiché impediscono loro di beneficiare di nuove competizioni potenzialmente innovative o interessanti. A meno che dette norme possano comunque andare a vantaggio di diversi soggetti operanti nel mondo del calcio, ad esempio garantendo una ridistribuzione solidale dei ricavi generati da detti diritti.

1 Sulle condizioni di utilizzabilità delle chat in base al diritto italiano, si vedano le due sentenze gemelle delle Sezioni Unite Penali del 29 febbraio 2024, n. 23756, Giorgi e n. 23755 Gjuzi.

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