È entrato in vigore il 7 gennaio scorso il d. lgs. 10 dicembre 2024 n. 198 che, modificando l’art. 114 c.p.p., ha introdotto ulteriori restrizioni alla pubblicazione degli atti dei procedimenti penali. In particolare ha vietato la pubblicazione, anche parziale, delle ordinanze che applicano misure cautelari personali, fino alla conclusione delle indagini preliminari o fino al termine dell’udienza preliminare. La modifica intervenuta non ha avuto molto risalto sulla stampa e non sembra avere suscitato un articolato dibattito politico.

Si tratta, invece, di un divieto la cui ratio, ad una prima lettura, è difficile cogliere.

Non può essere ricondotto nell’ambito delle modifiche frutto della particolare attenzione che da qualche tempo l’attuale maggioranza di governo (ma non solo) manifesta verso la figura ed i poteri del Pubblico Ministero, poiché l’ordinanza cautelare è un atto del Giudice per le indagini preliminari, deve essere obbligatoriamente motivato, è impugnabile e non è coperto dal segreto investigativo.

Né si può ipotizzare che lo scopo del divieto sia quello di proteggere la privacy delle persone attinte dal provvedimento, perché non è stata vietata (né avrebbe potuto esserlo in ossequio all’art. 21 Cost.) la diffusione da parte della stampa della notizia dell’avvenuta esecuzione di una o più misure cautelari personali, purché nel rispetto dei principi di pertinenza della notizia e di non eccedenza nel trattamento dei dati personali, come raccomandato dal Garante della privacy.

La censura introdotta dal nuovo decreto legislativo, perciò, riguarda solo la pubblicazione dei motivi su cui si fonda il provvedimento restrittivo, che sono  destinati a rimanere sconosciuti al pubblico per un tempo più o meno lungo dopo l’esecuzione, presumibilmente quando sarà ormai venuta meno l’attualità della notizia .

Sarà possibile perciò sapere nell’immediatezza solo che Tizio è stato attinto da misura cautelare personale e per quali reati, ma non anche per quali motivi. La censura introdotta determina così un impoverimento irragionevole delle fonti pubbliche di conoscenza, in aderenza ad una cultura del processo ispirata al segreto, che si riteneva essere stata ormai superata dal vigente codice di procedura penale, che persegue invece, nella sua originaria formulazione, finalità di trasparenza delle decisioni giurisdizionali.

Oltre tutto, sotto l’aspetto pratico, il segreto imposto sulla motivazione delle misure cautelari personali  può ritorcersi in danno delle  stesse persone attinte; non pochi infatti potrebbero pensare  che un motivo valido ci deve pur essere stato, proprio perché non può essere conosciuto dal pubblico.

Il nome attribuito al decreto in esame è “disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa alle disposizioni delle direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del  marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”. Sembra dunque che il legislatore abbia avvertito questa volta (a differenza di altre) la necessità di adeguare la legislazione statale a quella europea.

Ma la lettura della direttiva U.E. di riferimento non supporta questa conclusione. Essa infatti non contiene affatto il divieto di pubblicazione della motivazione delle misure cautelari personali, né nei “considerando” da 16 a 21 né nel testo dell’art. 4.

La norma europea si limita invece ad assicurare che “nel fornire informazioni ai media le autorità pubbliche non presentino gli indagati o imputati come colpevoli” precisando inoltre che “l’obbligo stabilito al par. 1 di non presentare gli indagati o imputati come colpevoli non impedisce alle autorità pubbliche di divulgare informazioni sui procedimenti penali, qualora ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all’indagine penale o per l’interesse pubblico”.

Per soddisfare questo requisito sarebbe sufficiente che la pubblicazione dell’ordinanza fosse accompagnata dalla precisazione che le persone attinte dalla misura sono gravemente indiziate ma non colpevoli dei reati loro contestati, in attesa del processo e della sentenza definitiva. Garanzia, per altro, che era stata già introdotta nell’ordinamento dall’art. 115 bis c.p.p. approvato con d.lgs. n. 188/2021.

In conclusione, il divieto di pubblicazione introdotto dal d.lgs. n. 198/2024 appare per un verso inconferente e per altro verso sovrabbondante rispetto alla direttiva europea cui il Legislatore nazionale afferma di volersi adeguare, e rimane dubbia e sfuggente la sua ragione giuridica.  

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