Sommario:1. Premessa – 2.La riabilitazione disciplinare – 3. Le condizioni per la riabilitazione; 3.1. I magistrati che hanno ancora in corso la valutazione di professionalità; 3.2. La valutazione del fatto oggetto della condanna disciplinare; 3.3. La valutazione di professionalità negativa o non positiva; 3.4. I magistrati che hanno conseguito la settima valutazione di professionalità – 4. L’organo competente a decidere sull’istanza: la Sezione disciplinare del CSM – 5. Il procedimento dinanzi alla Sezione disciplinare – 6. L’impugnazione della decisione della Sezione disciplinare – 7. L’esclusione dell’intervento del Ministro della giustizia – 8. Conclusioni.
1. Premessa.
La riabilitazione è un istituto di carattere generale, comune a diversi rami dell’ordinamento, di natura sostanziale e premiale che si prefigge, al ricorrere di determinate condizioni, lo scopo di emenda a favore di chi, avendo riportato una sanzione a seguito di un accertamento giudiziale o amministrativo, ha dato prova di fattivo ravvedimento.
Molteplici, infatti, sono le disposizioni di carattere riabilitativo, pur ciascuna con le sue peculiarità, che si rinvengono nell’ambito dei codici o in leggi speciali: gli artt. 178 e 179 c.p. dettano le condizioni per la concessione della riabilitazione penale al condannato e l’art. 70 d.lgs. n. 159 del 2011 quelle per far cessare gli effetti pregiudizievoli connessi allo stato di persona sottoposta a misure di prevenzione; gli artt. 142-145 r.d. n. 267 del 1942 prevedono il beneficio dell’esdebitazione in favore del fallito – persona fisica – per la liberazione dei debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti; l’art. 466 c.c. disciplina la riabilitazione dell’indegno in materia successoria e l’art. 17 della l. n. 108 del 1996 la riabilitazione del debitore protestato che abbia adempiuto l’obbligazione.
Con particolare riguardo al settore disciplinare, l’art. 87 del d.P.R. n. 3 del 1957 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) stabiliva che trascorsi due anni dalla data dell’atto con cui fu inflitta la sanzione disciplinare e sempre che l’impiegato abbia riportato nei due anni la qualifica di “ottimo”, possono essere resi nulli gli effetti di essa, esclusa ogni efficacia retroattiva, potendo anche essere modificati i giudizi complessivi riportati dal dipendente dopo la sanzione ed in conseguenza di questa[2].
Anche per i magistrati le condanne disciplinari, in forza della normativa consiliare, hanno un indubbio rilievo sfavorevole su molti aspetti della vita professionale e della progressione in “carriera”, assumendo incidenza sulle valutazioni di professionalità, sull’accesso agli incarichi direttivi e semidirettivi, sui trasferimenti orizzontali e sull’assunzione di incarichi di vario genere, tra cui anche quelli fuori ruolo o extra-giudiziari[3].
Il passare del tempo, unitamente al successivo percorso professionale virtuoso, costituisce per il magistrato un fattore idoneo a determinare un’attenuazione ovvero un totale venir meno degli effetti negativi conseguenti alle condanne disciplinari per fatti di non particolare gravità, soprattutto allorché all’affidamento ingenerato da precedenti valutazioni positive non si accompagnino elementi negativi sopravvenuti.
Per tale ragione, pur nell’assenza della previsione della riabilitazione nel previgente R.D.L. n. 511 del 1946, che regolava il procedimento disciplinare dei magistrati, le Sezioni unite civili della Corte di cassazione, nell’annullare con rinvio l’ordinanza con cui la Sezione disciplinare aveva dichiarato inammissibile l’istanza del magistrato volta ad ottenere la riabilitazione, avevano ritenuto estensibile «l’omologo istituto» previsto dal T.U. sugli impiegati civili dello Stato «in relazione al richiamo delle disposizioni generali relative a detti impiegati contenuto nell’art. 276 del R.D.L. 31 maggio 1946 n. 511, considerato che tale riabilitazione non si pone in contrasto con le norme dell’ordinamento giudiziario, ne’ con lo “status” riconosciuto ai giudici, mentre la mancanza, per questi ultimi, di “note caratteristiche”, con qualifiche di merito, implica, ai fini della riabilitazione, la necessità di acquisire parere del competente consiglio giudiziario (su domanda dell’interessato, ovvero su richiesta della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura)»[4].
Con la sentenza 22 giugno 1992, n. 289 la Corte costituzionale – investita nel corso del giudizio di rinvio dalla Sezione disciplinare che dubitava, in riferimento agli artt. 3, 101, 104 e 105 Cost., della legittimità costituzionale del diritto vivente che si sarebbe venuto a creare con l’interpretazione estensiva indicata dalle Sezioni unite – ritenendo fondata la questione sotto la violazione dell’art. 3 della Costituzione, ha escluso che si potesse estendere in via analogica l’istituto della riabilitazione di cui all’art. 87 del T.U. sugli impiegati civili dello Stato al procedimento disciplinare dei magistrati, stante l’eterogeneità della disciplina stabilita dal Legislatore per tale particolare categoria, improntata anche a paradigmi giurisdizionali[5].
Se si può ammettere – ha osservato la Corte – che la riabilitazione, come istituto in sé considerato, sia espressione di un principio generale e di un’esigenza che, ancorché non rispondenti ad alcuna norma costituzionale, possono comunque trovare applicazione anche all’interno di un sistema disciplinare ispirato a paradigmi giurisdizionali, come quello previsto per i magistrati, ciò non può significare che la raffigurazione di quell’istituto generale sia perfettamente rispecchiata nella particolare fattispecie regolata dall’art. 87 del T.U. sugli impiegati civili dello Stato.
Infatti, se è vero che in ciascuna delle forme di riabilitazione previste nell’ordinamento vigente si riscontra un nucleo normativo comune, tanto con riferimento ai presupposti per l’applicazione (decorso del tempo e valutazione della buona condotta), quanto con riferimento agli effetti (estinzione di specifiche incapacità giuridiche e di effetti ulteriori rispetto alla sanzione principale della condanna), non è meno vero che ciascuna delle forme di riabilitazione indicate costituiscono un modello a sé, composto da una diversa combinazione e determinazione degli elementi essenziali.
E non vi è dubbio che la scelta di un modello ovvero di un altro e, persino, di affidare alla riabilitazione ovvero a meccanismi diversi l’eliminazione degli effetti ulteriori della condanna disciplinare spettano al Legislatore, il quale, nell’esercizio non irragionevole della sua discrezionalità politica, deve valutare quale istituto o quale modello sia più coerente con il sistema disciplinare considerato[6].
In conseguenza di tale decisione restava, quindi, precluso ai magistrati di accedere al beneficio della riabilitazione, per come ribadito dallo stesso CSM con risposta a quesito del 21 luglio 1999 in ordine alla sussistenza o meno del requisito del termine di anni due perché un magistrato, raggiunto da una sanzione disciplinare, potesse fruire del riconoscimento riabilitativo ai sensi del T.U. sugli impiegati civili dello Stato[7].
Nonostante il Legislatore, con l’introduzione del d.lgs. n. 109 del 2006 (“Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell’art. 1, lettera f), della legge 25 luglio, n. 150”), avesse riscritto le norme relative al procedimento disciplinare dei magistrati, con particolare riguardo alla tipizzazione degli illeciti e al catalogo delle sanzioni, nessuna previsione è stata dedicata all’istituto della riabilitazione, restando così ancora preclusa per i magistrati la possibilità di ottenere l’eliminazione degli effetti pregiudizievoli delle condanne.
Con la delibera approvata il 31 maggio 2017, il CSM aveva sollecitato il Ministro della giustizia, ex art. 10 l. n. 195 del 1958, ad attivarsi in tal senso, delineando un regime in cui, a richiesta del magistrato interessato, potesse dichiararsi la riabilitazione per gli illeciti disciplinari sanzionati con l’ammonimento e la censura, tra i quali rientrano per la gran parte quelli relativi al ritardo nel deposito dei provvedimenti.
L’opportunità dell’introduzione della riabilitazione era stata poi sollecitata dall’ANM anche con una delibera del Comitato direttivo centrale de 13 marzo 2021, valutata positivamente nella relazione della commissione Vietti (istituita con D.M. Giustizia del 12 agosto 2015), i cui lavori non si sono però tradotti in iniziativa legislativa e ribadita dallo stesso CSM nel parere espresso sulla riforma dell’ordinamento giudiziario con delibera del 21 aprile 2021[8].
Con l’art. 11, comma 1, lett. f) della l. n. 71 del 2022, il Legislatore ha (finalmente) introdotto nel decreto legislativo n. 109 del 2006 (che regola il procedimento disciplinare dei magistrati), l’art. 25-bis dal titolo «Condizioni per la riabilitazione», quale causa estintiva degli effetti conseguenti all’applicazione delle condanne disciplinari “lievi”, che hanno comportato l’applicazione della sanzione dell’ammonimento o della censura, demandando al CSM, al comma 4 dell’art. 25-bis, lo stabilire le forme e i modi per l’accertamento delle condizioni previste per la riabilitazione e, comunque, assicurando che vi si provveda in occasione del primo procedimento in cui ciò sia rilevante[9].
Il CSM, con la circolare n. 5162 del 15 marzo 2024 (delibera del 14 marzo 2024), in attuazione dell’art. 25-bis, comma 4, d.lgs. n. 109 del 2006, ha dettato i criteri in materia di «accertamento delle condizioni per la riabilitazione e procedimento di riabilitazione».
Con la normativa di dettaglio l’istituto è, dunque, entrato definitivamente a far parte dell’ordinamento disciplinare del magistrato ordinario.
Nei paragrafi seguenti si affronteranno – ad una prima lettura – le questioni di maggior rilievo che la nuova previsione pone, con riguardo all’individuazione e alla competenza dell’organo chiamato a provvedere, alle forme della decisione e ai rimedi esperibili, ai rapporti con le attribuzioni in materia spettanti al CSM e agli effetti sulla posizione giuridica del magistrato.
2. La riabilitazione disciplinare.
La riabilitazione, in quanto destinata ad estinguere ogni effetto della condanna disciplinare, ha natura sostanziale e riguarda sia gli illeciti funzionali che extra-funzionali commessi dal magistrato in relazione ai quali non è stabilita una sanzione più grave della censura. Restano, pertanto, esclusi dall’applicazione del beneficio gli illeciti per i quali i commi 2, 3 e 4 dell’art. 12 d.lgs. n. 109 del 2006 stabilisce rispettivamente la sanzione minima della perdita di anzianità, dell’incapacità ad esercitare un incarico direttivo o semidirettivo, della sospensione delle funzioni o, infine, della rimozione[10].
Il riferimento alla condanna, anziché alla cessazione degli effetti dell’illecito disciplinare, risolve le criticità evidenziate nel parere reso dal CSM rispetto al testo originario del provvedimento legislativo che avrebbe determinato la violazione del principio di eguaglianza, poiché risulterebbe sempre valutabile il fatto illecito accertato con una sentenza di assoluzione emessa ai sensi dell’art. 3-bis del d.lgs. n. 109 del 2006, mentre non lo sarebbe, dopo la riabilitazione, il fatto oggetto della sentenza di condanna.
Si sono così correttamente ricondotte nell’alveo proprio della categoria del proscioglimento le decisioni emesse nei confronti del magistrato per irrilevanza disciplinare del fatto, destinare a cessare i propri effetti nell’ambito delle valutazioni dei procedimenti amministrativi che le hanno considerate, ma mai idonee ad assurgere a “precedente” al pari delle sanzioni disciplinari oggetto di un provvedimento di condanna e, dunque, ad essere rivalutate in senso ostativo ai fini amministrativi nei termini stabiliti dalla disciplina consiliare.
In tal senso, del resto, si era espressa anche la commissione Vietti, la quale ricollegava alla riabilitazione l’estinzione di ogni effetto “della condanna”, facendone dipendere l’applicazione – al pari di quanto stabilito dalla vigente disposizione di nuovo conio – dal trascorre di un determinato termine decorrente proprio dall’irrevocabilità della relativa sentenza disciplinare.
Con riguardo alle conseguenze della pronuncia di riabilitazione, dal tenore della disposizione normativa – a mente della quale “la condanna disciplinare perde ogni effetto” – si ricava che essa opera unicamente sul versante della sanzione, non verificandosi l’eliminazione dell’illecito. L’incidenza, pertanto, riguarda gli effetti preclusivi che le norme di tipo ordinamentale e/o consiliare ricollegano alla sanzione disciplinare, restando, quindi, salva la possibilità per il Consiglio di apprezzamento in ordine al fatto storico che ha integrato l’illecito in ordine all’adozione di provvedimenti di competenza, sebbene nell’ambito di un giudizio che deve necessariamente tenere conto degli elementi positivi che a quel fatto sono succeduti per come accertato nell’ambito del procedimento riabilitativo.
Esclusa, quindi, ogni efficacia retroattiva, possono essere modificati i giudizi complessivi riportati dal magistrato dopo la sanzione ed in conseguenza di questa.
Così, a seguito della riabilitazione, verrà meno la causa ostativa alla candidabilità al CSM del magistrato che ha riportato condanna alla censura, prevista dall’art. 24, comma 2, lett. c) della l. n. 195 del 1958, ovvero la preclusione presuntiva al conferimento degli incarichi direttivi stabilita dall’art. 37, comma 2, T.U. sulla dirigenza, ma non sarà precluso al Consiglio valutare nei confronti dell’aspirante il fatto storico che ha integrato l’illecito disciplinare, ai sensi del primo comma dell’art. 37, secondo cui «Le decisioni adottate dalla Sezione Disciplinare nei confronti degli aspiranti sono comunque oggetto di valutazione»[11].
Con riferimento ai presupposti per la riabilitazione, l’art. 25-bis d.lgs. n. 109 del 2006 richiede due condizioni: una, oggettiva, di carattere temporale, costituita dal decorso dei termini di tre o cinque anni dalla data di irrevocabilità della sentenza di condanna; altra, di tipo contenutistico, rimessa alla valutazione del CSM e consistente nel conseguimento di una successiva valutazione di professionalità positiva laddove si tratti di magistrato che abbia ottenuto una valutazione di professionalità inferiore alla settima, oppure, per i magistrati già di settima valutazione, dalla positiva valutazione del loro successivo percorso professionale, nelle forme e nei modi stabiliti dal Consiglio superiore della magistratura. Tale ultima disposizione riguarda la riabilitazione dei magistrati a fine carriera. Al fine di evitare che a costoro sia – di fatto – preclusa la riabilitazione, in assenza di una successiva valutazione di professionalità, il Legislatore ha demandato al CSM di prevedere forme e modi in grado di surrogare tale mancanza, condizionandola comunque a una positiva valutazione del loro successivo percorso professionale.
Il possesso della valutazione di professionalità di riferimento (settima o inferiore) che determina il differente regime applicativo rispettivamente stabilito dai commi 1 e 2 e dal comma 3 dell’art. 25-bis d.lgs. n. 109 del 2006, viene riferito dalla circolare alla data di irrevocabilità della sentenza disciplinare, quale momento temporale in cui la pronuncia assume stabilità e certezza in ambito giuridico.
Il comma 4 dell’art. 25-bis d.lgs. n. 109 del 2006 demanda, infine, alla normativa secondaria del CSM di precisare le forme e i modi per l’accertamento delle condizioni previste per la riabilitazione, comunque assicurando che vi si provveda in occasione del primo procedimento in cui ciò sia rilevante.
La riabilitazione è, dunque, sottoposta a due condizioni: il decorso di un certo periodo di tempo dall’irrevocabilità della sentenza, uguale per tutti i magistrati, e il conseguimento di una successiva valutazione di professionalità positiva ovvero una positiva valutazione sul percorso professionale successivo alla condanna.
Quanto alla misura del termine stabilito, il Legislatore ha tenuto opportunamente conto della normativa consiliare che stabilisce termini più ampi per “sterilizzare” gli effetti preclusivi delle condanne disciplinari, con particolare riguardo a quelle con le quali è stata inflitta la censura, altrimenti svuotandosi di contenuto positivo l’effetto premiale conseguente alla pronuncia riabilitativa.
Si pensi, al riguardo, all’art. 37, comma 2, T.U. dirigenza che stabilisce, di regola, un effetto preclusivo al conferimento degli incarichi direttivi o semidirettivi per le condanne disciplinari alla censura per i fatti commessi nell’ultimo decennio. In tal caso, proprio la concessione della riabilitazione consente al magistrato di rimuovere anticipatamente gli effetti preclusivi (di tipo presuntivo) che il T.U. riconduce alla condanna disciplinare ben prima del maturarsi del termine ivi stabilito.
Analogamente può richiamarsi anche l’art. 24, comma 2, lett. c) della l. n. 195 del 1958 sull’elettorato attivo e passivo per l’elezione dei componenti togati al Consiglio superiore della magistratura, a mente del quale non sono eleggibili i magistrati che, al momento della convocazione delle elezioni, abbiano subito una sanzione disciplinare più grave dell’ammonimento, salvo che si tratti della censura e che dalla data del relativo provvedimento siano trascorsi almeno dieci anni senza che sia seguita alcun’altra sanzione disciplinare.
Nessun riferimento espresso, invece, contiene la norma primaria dell’art. 25-bis – a differenza di quanto stabilito a proposito della riabilitazione di carattere penale – all’individuazione dell’organo competente a provvedere sulla riabilitazione; ai rimedi esperibili in caso di rigetto; alla possibilità, una volta concessa, di revoca del beneficio laddove il magistrato abbia riportato una successiva condanna disciplinare; al rilievo ostativo di eventuali fatti sopravvenuti nelle more del procedimento riabilitativo.
Si tratta di profili che sono in parte affrontati dalla circolare adottata dal CSM a norma del comma 4 dell’art. 25-bis d.lgs. n. 109 del 2006; altri aspetti, invece, troveranno soluzione negli orientamenti della giurisprudenza disciplinare ovvero necessiteranno di successivi interventi del Legislatore.
3. Le condizioni per la riabilitazione.
Le condizioni della riabilitazione, per come già osservato, sono due e trovano la loro disciplina nell’art. 25-bis d.lgs. n. 109/2006 e nella circolare CSM n. 5162 del 15 marzo 2024, intitolata «Attuazione dell’art. 25-bis, comma 4 del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, introdotto dall’art.11, comma 1 lettera f) della Legge 17 giugno 2022 n. 71», con cui il Consiglio ha dato pronta attuazione all’ultima parte del terzo e del quarto comma dell’art. 25-bis d.lgs. n. 109 del 2006.
Si prevede, anzitutto, quale condizione di carattere oggettivo che vale per tutti i magistrati, che sia decorso un termine dalla data in cui la sentenza disciplinare di condanna è divenuta irrevocabile, stabilito in tre anni per la sentenza che ha applicato la sanzione dell’ammonimento e in cinque anni per la sanzione della censura.
L’entità del termine dipende dalla diversa gravità dell’illecito commesso e della sanzione inflitta, nonché dall’esigenza di fissare uno spazio temporale minimo che eviti di proporre l’istanza subito dopo la condanna, così vanificando gli effetti “punitivi” che alla sanzione disciplinare debbono comunque essere riconosciuti (in termini di ricaduta nelle previsioni ordinamentali), restando altrimenti confinata a mero “precedente” nella scheda anagrafica del magistrato.
In aggiunta, è richiesto il conseguimento di una “successiva valutazione di professionalità positiva” da parte del magistrato che abbia ottenuto una valutazione di professionalità inferiore alla settima, oppure, per i magistrati già di settima valutazione, della “positiva valutazione del loro successivo percorso professionale”, valutata alla stregua degli stessi requisiti stabiliti per quella ordinaria, salvo i necessari adattamenti soprattutto con riferimento alle cadenze temporali.
La valutazione di professionalità è stata, dunque, ritenuta lo strumento più idoneo per trarre elementi di verifica del successivo percorso di reinserimento del magistrato in ragione del fatto che non riguarda solo la capacità, laboriosità, impegno e diligenza nell’esercizio della funzione giudiziaria, ma anche il rispetto di regole deontologiche, dell’accertamento di indipendenza, imparzialità ed equilibrio.
Si tratta, inoltre, di una procedura a carattere diffuso che, a differenza di quelle particolari attivate su istanza del magistrato o che hanno una platea ristretta (si pensi al procedimento per il conferimento di un incarico direttivo o alla conferma in tali funzioni), assicura, anche in ragione della sequenza degli adempimenti richiesti ai diversi soggetti ed organi coinvolti (dirigenti degli uffici, Consiglio giudiziario territorialmente competente o Consiglio direttivo della Corte di cassazione, Consiglio superiore in sede di deliberazione finale), l’acquisizione di esaustivi elementi di giudizio, assicurando al contempo l’intervento del magistrato e il diritto al contraddittorio.
Per i magistrati che, alla data di irrevocabilità della sentenza disciplinare, hanno conseguito una valutazione di professionalità inferiore alla settima, occorre poi, a norma dell’art. 2, comma 1, della circolare che, nella successiva valutazione ordinaria di professionalità, “che risulti valutato il fatto oggetto della condanna disciplinare”, mentre tale profilo è insito nella valutazione del successivo percorso professionale dei magistrati di settima valutazione, in quanto il relativo procedimento prende avvio in conseguenza dell’istanza riabilitativa.
Distinguendo l’art. 25-bis d.lgs. n. 109 del 2006 le posizioni dei magistrati che hanno ancora in corso le loro valutazioni di professionalità “ordinarie” (commi 1 e 2)rispetto a quelle degli altri che hanno già conseguito la settima valutazione (comma 3), occorre soffermarsi sulla diversità di disciplina e sugli aspetti di carattere problematico che la circolare pone, con particolare riguardo alla previsione di ulteriori requisiti non espressamente sanciti dalla normativa primaria: a) che la successiva valutazione di professionalità positiva sia intervenuta successivamente all’irrevocabilità della sentenza di condanna per i magistrati che hanno conseguito una valutazione inferiore alla settima; b) che risulti essere stato valutato il fatto oggetto della condanna disciplinare.
3.1. I magistrati che hanno ancora in corso la valutazione di professionalità.
Secondo quanto stabilito dall’art. 2, comma 1, della circolare, “per i magistrati che, alla data di irrevocabilità della sentenza disciplinare, hanno conseguito una valutazione di professionalità inferiore alla settima, la successiva valutazione di professionalità positiva rilevante ai fini della riabilitazione coincide con quella ordinaria deliberata dopo la stessa data di irrevocabilità della sentenza di condanna, a condizione che risulti valutato il fatto oggetto della condanna disciplinare”.
La circolare pertanto ha adottato un’interpretazione della norma primaria di cui all’art. 25-bis d.lgs. n. 109 del 2006 (“la condanna disciplinare perde effetto dopo che siano decorsi tre o cinque anni dalla data in cui la sentenza disciplinare di condanna è divenuta irrevocabile, a condizione che il magistrato consegua una successiva valutazione di professionalità positiva”) nel senso di riferire il termine “successiva” (valutazione di professionalità) all’ultimo della locuzione che lo precede (“irrevocabile”), così ancorando il dies a quo in cui deve verificarsi la seconda condizione per la riabilitazione (ossia la successiva valutazione di professionalità positiva), ad un periodo non solo posteriore alla pronuncia della sentenza di condanna, ma alla sua irrevocabilità[12].
Una tale opzione ermeneutica ha prestato il fianco ad alcuni rilievi dei primi commentatori della nuova disciplina, che ne hanno ravvisato possibili profili di incostituzionalità, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost.[13]
Delimitato il campo, in questa sede, al rilievo di possibile irragionevolezza della previsione (in quanto dotato di maggiore pregnanza), si citano, quali disposizioni “comparative” che prescindono dalla definitività del provvedimento amministrativo-sanzionatorio, gli artt. 86 del D.P.R. n. 3 del 1957 e 501 d.lgs. n. 297 del 1994, rispettivamente in tema di procedimento disciplinare degli impiegati civili dello Stato e del personale docente delle Scuole di ordine e grado in cui il riferimento è alla data dell’atto con cui fu inflitta la sanzione, ovvero l’art. 1369 d.lgs. n. 66 del 2010 relativo alla cessazione degli effetti delle sanzioni disciplinari degli appartenenti alle forze armate ove si fa riferimento alla data in cui è comunicata la punizione[14].
Né a fugare i dubbi di costituzionalità, si sostiene, deporrebbe la riabilitazione penale che pure richiede, oltre al decorso del tempo, che la pena sia stata eseguita o estinta e, dunque, fa riferimento ad un arco temporale successivo all’irrevocabilità della sentenza di condanna che quella pena ha inflitto, stante la differenza sostanziale tra la riabilitazione penale, incentrata sul reinserimento sociale del condannato e quella disciplinare dotata di effetti più radicali, in quanto destinata a far cessare gli stessi effetti della sanzione disciplinare, determinando la possibilità che siano modificati i giudizi complessivi riportati dal magistrato dopo la sanzione ed in conseguenza di essa.
Come evidenziato, l’opzione ermeneutica fatta propria dalla circolare è stata, invece, nel senso di ritenere legato il riferimento all’irrevocabilità – testualmente riferito dall’art. 25-bis d.lgs. n. 109 del 2006 al termine necessario di decorrenza per presentare la domanda – anche alla successiva valutazione positiva di professionalità che il magistrato deve avere conseguito.
Tanto si deve alla necessità di assicurare, per come espressamente sancito dalla circolare, un’interpretazione improntata ad esigenze di stabilità e certezza giuridica, tenuto conto che gli effetti negativi per la sfera giuridica del magistrato scaturiscono dal giudicato di condanna.
Si tratta di un’interpretazione sostenibile, ma che non appare a “rime obbligate”, sia in ragione dello stesso dettato normativo, che testualmente non esclude a priori la soluzione alternativa prospettata, sia tenuto conto della ratio su cui si fonda l’istituto della riabilitazione disciplinare.
Se si ha riguardo, infatti, al testo dell’art. 25-bis d.lgs. n. 109 del 2006, la disposizione non riferisce espressamente il termine “successiva” all’ultimo significante della preposizione che lo precede (“irrevocabile”), con la conseguenza che può anche ritenersi che la seconda condizione (valutazione positiva successiva alla sentenza disciplinare) «si inveri in un momento anteriore al verificarsi della prima (decorso dei 3 o 5 anni dall’irrevocabilità della decisione disciplinare)»[15].
Inoltre, la funzione della riabilitazione disciplinare – che, a differenza di quella penale, non svolge una finalità risocializzante del condannato perseguibile a seguito di avvenuta esecuzione della pena o estinzione della stessa – è quella di rimettere il magistrato sanzionato nello status quo ante, obliterando la condanna ed ogni effetto diretto o riflesso sulla “carriera” e sulle valutazioni professionali che lo riguardano in ragione di una condotta che sia meritevole.
Ciò che rileva, pertanto, è che il magistrato abbia dato prova di emenda, ossia abbia tenuto una condotta virtuosa conforme ai parametri valutativi stabiliti dopo la reprimenda.
L’indice del ravvedimento va rapportato al momento del rimprovero (post criminem patratum) e non all’irrevocabilità della decisione che attiene ai diversi effetti negativi che scaturiscono dal giudicato di condanna.
Peraltro, l’irrevocabilità, nella previsione di legge, assolve alla funzione di individuare – quale condizione oggettiva valida per tutti i magistrati – il dies a quo minimo di presentazione della domanda riabilitativa per le ragioni di cui si è detto in precedenza al punto sub 3.1.
Altrimenti occorre assegnare all’irrevocabilità della condanna il compito di fissare anche uno spazio temporale minimo di decorrenza necessario a rendere la valutazione di professionalità idonea a svolgere, in termini di pregnanza, una funzione valutativa del percorso professionale intrapreso dal magistrato che sia apprezzabile ai fini di emenda.
La norma primaria avrebbe, quindi, inserito un implicito requisito di carattere temporale necessario per far assumere alla valutazione di professionalità il crisma di idonea “condizione” per la riabilitazione, escludendo il rilievo di analoghe e precedenti valutazioni che, sebbene intervenute dopo la condanna, sono state comunque rese alla stregua degli stessi criteri dettati dalla circolare in tema di valutazioni di professionalità dei magistrati.
Comunque, anche laddove si giungesse ad affermare un’irragionevolezza della disciplina, così superandosi anche le obiezioni di “sistema” che pertengono alla disciplina dei magistrati rispetto a quella degli altri dipendenti pubblici (financo gli stessi giudici amministrativi per cui non operano le disposizioni di cui al d.lgs. n. 109 del 2006), per come evidenziate nelle motivazioni della sentenza n. 289 del 1992 della Corte costituzionale di cui si è fatto cenno in premessa, resta aperta l’ulteriore questione se sia proponibile tecnicamente una questione di costituzionalità, tenuto conto che, come noto, i relativi dubbi debbono investire la norma primaria e mai direttamente il contenuto della fonte secondaria di carattere amministrativo, seppur generale ed astratta.
Certo, in forza della giurisprudenza costituzionale è ammissibile il sindacato su fonti sub-primarie (di tipo regolamentare), ma è necessario che esse siano legate da un “nesso di specificazione qualificata” con il precetto legislativo di rango primario.
Nella fattispecie, potrebbe affermarsi che la circolare è richiamata dalla disposizione legislativa primaria in virtù del comma 4 dell’art. 25-bis d.lgs. n. 109 del 2006 che demanda espressamente alla disciplina consiliare lo stabilire “le forme e i modi per l’accertamento delle condizioni previste per la riabilitazione di cui al presente articolo”, onde potrebbe ammettersi l’ammissibilità di un sindacato della Consulta su fonti secondarie di carattere generale ed astratto che integrano, in chiave di specificazione, la disposizione legislativa primaria. La regolamentazione censurata di illegittimità costituzionale sarebbe rappresentata, nella sostanza, dal combinato disposto dell’art. 25-bis d.lgs. n. 109 del 2006 in relazione all’art. 2, comma 1, della circolare, risultando la prima in concreto applicabile attraverso le specificazioni formulate nella fonte secondaria.
Ma una tale soluzione non è così pacifica, in quanto il rinvio per specificazione operato dal comma 4 dell’art. 25-bis d.lgs. n. 109 del 2006 alla fonte secondaria attiene “alle fome e ai modi per l’accertamento delle condizioni previste per la riabilitazione”, mentre la previsione di circolare che esige la sopravvenienza della valutazione positiva di professionalità all’irrevocabilità della sentenza di condanna pare individuare un’ulteriore condizione dell’istanza riabilitativa, ponendo problemi di compatibilità col perimetro normativo demandato alla fonte secondaria.
Peraltro, l’esclusione del possibile rilievo di costituzionalità in via incidentale non preclude l’ingresso del diverso tema del possibile diretto controllo della Sezione disciplinare sull’atto amministrativo, potestà di cui tale organo dispone in virtù della natura giurisdizionale del procedimento e dei poteri di disapplicazione riconosciuti al giudice ordinario.
In conclusione, sull’argomento e in aderenza alle finalità del presente lavoro – che, come precisato, vuole essere una prima lettura delle norme di nuovo conio – spetterà alla Sezione disciplinare stabilire se, a fronte della rilevanza della questione – laddove il magistrato, pur presentando l’istanza riabilitativa nei termini di legge, vi abbia allegato un valutazione positiva di professionalità successiva alla condanna ma divenuta irrevocabile prima dei tre o cinque anni – sussistano i presupposti per investire in via incidentale la Consulta ovvero si sia al cospetto di un’interpretazione del dato normativo riconducibile all’esercizio della discrezionalità del Legislatore, correttamente espressa col combinato disposto delle disposizioni sopra richiamate, così come interpretate a norma della circolare.
3.2. La valutazione del fatto oggetto della condanna disciplinare.
La circolare, poi, richiede quale condizione per la riabilitazione (art. 2, commi 1 e 2) “che risulti valutato il fatto oggetto della condanna disciplinare”.
Sebbene l’art. 25-bis d.lgs. n. 109 del 2006 non richieda che il fatto oggetto della condanna disciplinare debba essere valutato – limitandosi a prevedere quale condizione per la riabilitazione che il magistrato abbia conseguito una successiva valutazione di professionalità positiva ovvero sia stato positivamente valutato il suo successivo percorso professionale – la circolare ha ritenuto tale puntualizzazione indispensabile in coerenza con la ratio sottesa al nuovo istituto della riabilitazione disciplinare e tenuto anche conto che l’apprezzamento dei fatti oggetto di accertamento disciplinare pertiene proprio all’ambito valutativo della professionalità dei magistrati.
L’art. 11, comma 4, d.lgs. n. 109 del 2006, sulla progressione economica e di funzioni dei magistrati, nel disciplinare le valutazioni di professionalità quadriennali, richiama, quali elementi di valutazione, anche i fatti oggetto dei procedimenti disciplinari. Nell’ambito dei pareri espressi dal Consigli giudiziari (o del Consiglio direttivo presso la Corte di cassazione), i fatti oggetto di sanzione o di accertamento disciplinare sono valutati – oltre che con riguardo alle dirette ricadute sulla capacità, laboriosità, diligenza, impegno (si pensi al caso dei reiterati ritardi nel deposito delle sentenze o nell’adempimento dei doveri di ufficio) – anche ai fini della possibile incidenza sui prerequisiti di imparzialità indipendenza ed equilibrio. La circolare del CSM n. 20691 dell’8 ottobre 2007 e successive modificazioni sulle valutazioni di professionalità dei magistrati, indica tra gli elementi di conoscenza anche le informazioni disponibili presso la segreteria della Sezione disciplinare; il punto 3 del Capo XII della predetta circolare stabilisce, poi, che i fatti accertati in sede disciplinare sono oggetto di autonoma valutazione da parte del Consiglio superiore della magistratura ai fini della valutazione di professionalità, indipendentemente dall’esito, di condanna o di assoluzione, del procedimento disciplinare. L’art. 3, comma 1, lett. i) n. 4, della legge delega n. 71 del 2022 – a cui si deve l’introduzione della riabilitazione – ribadisce, nella disciplina delle valutazioni di professionalità, l’obbligo di valutazione dei fatti accertati in via definitiva in sede di giudizio disciplinare, anche se gli stessi si siano verificati nel quadriennio precedente (se non già valutati)[16].
Se, pertanto, i fatti disciplinarmente rilevanti – che si siano tradotti in una condanna – concorrono a far parte della platea informativa e conoscitiva su cui la valutazione di professionalità si fonda, “risulterebbe priva di logica giuridica un’eventuale pronuncia di riabilitazione fondata sul mero decorso del tempo e su una valutazione di professionalità positiva deliberata dopo i termini stabiliti (tre o cinque anni) ma avente ad oggetto un quadriennio (o un biennio o un anno a seconda della situazione prevista e in relazione al tipo di giudizio esitato) di attività temporalmente antecedente rispetto alla data di pronuncia della sentenza o alla stessa data di commissione dell’illecito disciplinare”[17].
Peraltro, non essendo infrequenti i casi in cui, a causa di ritardi negli adempimenti procedimentali, la valutazione di professionalità ordinaria non avvenga a ridosso dei periodi oggetto di scrutinio, laddove la successiva valutazione di professionalità positiva, pur deliberata dopo l’irrevocabilità della sentenza, non abbia considerato e valutato il fatto oggetto della condanna disciplinare, la circolare, a norma dell’art. 1, comma 2, ne esclude valenza legittimante ai fini dell’istanza riabilitativa, occorrendo un’ulteriore valutazione di professionalità che abbia apprezzato il fatto censurato[18].
Anche la previsione volta a richiedere che la successiva valutazione di professionalità abbia valutato il fatto oggetto della condanna disciplinare si è prestata a rilievi da parte dei primi commentatori, i quali la ritengono superflua, in quanto finirebbe per snaturare la stessa funzione della riabilitazione[19].
E tanto perché il complessivo giudizio riabilitativo – anche nella fase amministrativa relativa alla successiva valutazione positiva della professionalità conseguita dal magistrato – deve, in coerenza con la funzione di emenda dell’istituto premiale, necessariamente svolgersi alla stregua di un giudizio che guarda al post delictum e non all’illecito commesso.
Il conseguimento di una successiva valutazione di professionalità positiva non assume, quindi, valore in sé, ma diviene condizione del beneficio in quanto sintomatica della buona condotta del magistrato sanzionato, per come si ricava dalla previsione normativa che la colloca in un segmento temporale successivo alla condanna.
Un giudizio, dunque, teso a vagliare la condotta del magistrato nella fase successiva non solo alla commissione dell’illecito, ma all’irrogazione della sanzione. Con la conseguenza che alcuna ragione impone o suggerisce di richiedere che essa contempli una specifica ponderazione del fatto storico sussunto nella fattispecie disciplinare.
Se a tale rilievo può riconoscersi il merito di sottolineare il necessario distinguo tra i piani della valutazione disciplinare rispetto a quella della valutazione di professionalità, resta il dato che avendo il Legislatore ritenuto, nell’esercizio della sua discrezionalità, di aggiungere al decorso del tempo un ulteriore requisito che desse conto del percorso virtuoso intrapreso successivamente dal magistrato, da individuarsi nel conseguimento di una positiva valutazione di professionalità, non pare potersi prescindere dai riferimenti che la circolare sulla valutazione di professionalità dei magistrati – nella piena completezza del dato informativo – assegna, sotto il differente profilo di competenza, ai fatti oggetto della condanna disciplinare (si pensi al profilo dell’equilibrio o dell’indipendenza)[20].
Del resto, il Legislatore, nel disegnare l’istituto di nuovo conio, ha dovuto contemperare – anche in aderenza ai molteplici profili costituzionali coinvolti (artt. 25, 101, 104 e 105 Cost.) – l’esigenza che la decisione fosse assunta dalla Sezione disciplinare, quale organo competente, nell’ambito del procedimento giurisdizionale che ha inflitto la sanzione, con quella di assicurare l’intervento del Consiglio superiore della magistratura, quale organo di autogoverno della magistratura e parte necessaria del relativo procedimento, per come del resto è stabilito nell’ambito dei procedimenti riabilitativi del personale pubblico, ove la concessione della riabilitazione richiede il parere dell’Organo amministrativo di riferimento.
3.3. La valutazione di professionalità negativa o non positiva.
Il secondo comma dell’art. 2 precisa, inoltre, che, qualora la prima valutazione di professionalità deliberata dopo l’irrevocabilità della sentenza sia “negativa” o “non positiva”, “ai fini della riabilitazione si tiene conto della eventuale positiva valutazione di professionalità immediatamente successiva”. Pertanto, la prima valutazione “non positiva” o “negativa” riportata dal magistrato successivamente all’irrevocabilità della condanna disciplinare (verosimilmente formulata proprio in ragione delle condotte già sanzionate disciplinarmente) non risulta di per sé ostativa al conseguimento della riabilitazione, potendo assumere rilievo, ove positiva, la valutazione di professionalità che succede a quella “non positiva” o “negativa”[21].
Dovrà, però aversi riguardo, precisa la circolare, non ad una qualsiasi valutazione di professionalità positiva comunque conseguita dal magistrato, magari a distanza di diversi anni dalla condanna disciplinare, dopo aver riportato, medio tempore, più valutazioni non positive o negative, alternate tra loro, ma a quella eventualmente deliberata subito dopo la precedente valutazione ”non positiva” o “negativa”, in sede di rivalutazione, rispettivamente, annuale o biennale.
Pertanto, se il magistrato abbia riportato una prima valutazione “non positiva” o “negativa”, tendenzialmente in ragione delle medesime condotte già oggetto di sanzione disciplinare, e, successivamente sia incorso in ulteriori e distinte “cadute di professionalità”, tali da condurre a nuove valutazioni “non positive” o “negative”, di tale complessiva situazione – precisa la circolare – non si potrà non tener conto anche nell’ottica della pronuncia di riabilitazione, e pertanto nell’ambito del giudizio che la Sezione disciplinare è chiamata a svolgere nella sede giurisdizionale.
Altrimenti, aggiunge la circolare, laddove si ritenesse utile ai fini della riabilitazione una qualsiasi valutazione di professionalità positiva comunque conseguita dal magistrato dopo l’irrevocabilità della condanna disciplinare, si perverrebbe all’irragionevole conclusione, in contrasto con la ratio dell’istituto, che la riabilitazione vada necessariamente riconosciuta a chiunque incorra in una condanna disciplinare alla sanzione dell’ammonimento o della censura, variando solo l’arco temporale in cui viene a maturare tale ”diritto” (in base alla data di conseguimento di una qualsiasi valutazione di professionalità positiva successiva alla data di irrevocabilità della condanna)[22].
3.4. I magistrati che hanno conseguito la settima valutazione di professionalità.
L’art. 3 della circolare delinea il procedimento per la valutazione del successivo percorso professionale del magistrato che, alla data di irrevocabilità della sentenza disciplinare, abbia già conseguito la settima valutazione di professionalità, ai sensi dell’art. 2, comma 3, dell’art. 25-bis d.lgs. n. 109 del 2006, richiamando, in osservanza a quanto sancito dal comma 4, le fasi della procedura già previste per le valutazioni di professionalità ordinarie dalla rispettiva Circolare n. 20691 dell’8.10.2007 e succ. modificazioni, pur contemplando una generalizzata abbreviazione dei termini assegnati alle singole fasi, per le esigenze di maggiore celerità che sono sottese alla nuova procedura.
Il rinvio ai medesimi criteri di giudizio che regolano le valutazioni ordinarie è volto ad evitare disparità di trattamento tra magistrati richiedenti e al fatto che, ai fini del riconoscimento del positivo percorso professionale del magistrato successivo alla condanna, si deve tenere conto dei requisiti di indipendenza, imparzialità ed equilibrio del magistrato e dei parametri della capacità, laboriosità, diligenza ed impegno.
Si è, quindi, disatteso quell’orientamento che, con riferimento ai magistrati che esercitano funzioni direttive o semi-direttive, riteneva – anche in un’ottica di maggiore speditezza della procedura di riabilitazione – che la positiva valutazione potesse essere rappresentata dal provvedimento di conferma allo scadere del quadriennio, sempre che ciò intervenga dopo lo spirare del termine di tre o cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna ed i fatti oggetto del procedimento disciplinare risultino essere stati valutati[23].
L’art. 3, comma 2, della circolare detta poi le fasi della procedura di valutazione: si prevede l’autorelazione del magistrato che aspira alla riabilitazione; il rapporto informativo del dirigente dell’ufficio (o dei dirigenti degli uffici. nei casi in cui il magistrato abbia prestato servizio in diversi uffici nel periodo di interesse); il parere del Consiglio Giudiziario (o eventuali pareri parziali, necessari per i soli periodi intermedi superiori al biennio); e, da ultimo, la valutazione finale rimessa alla deliberazione plenaria del Consiglio, su proposta della Quarta commissione.
La lettera g) del secondo comma dell’art. 3 precisa che il giudizio finale del Consiglio è espresso nell’osservanza delle disposizioni di cui al Capo XVII della Circolare n. 20691 dell’8 ottobre 2007 e succ. modif. e che, nel caso di valutazione finale “non positiva” o negativa”, non si procede a nuovo scrutinio avente ad oggetto periodi di attività successivi.
Ne discende che il giudizio potrà certamente tener conto dei fatti e delle condotte oggetto di condanna disciplinare – ove non già valutati in precedenza nell’ambito delle ordinarie valutazioni di professionalità alle quali è stato sottoposto il magistrato – ma che il giudizio finale non potrà risultare “non positivo” o ”negativo” esclusivamente in ragione dei medesimi fatti sanzionati disciplinarmente, e quindi in assenza di eventuali ulteriori e distinte criticità nel successivo percorso del magistrato, il tutto in aderenza con quanto stabilito dal comma 2 dell’art. 2 della circolare per i magistrati che hanno ancora in corso le loro valutazioni ordinarie.
Si prevede, poi, che la deliberazione consiliare sulla valutazione del successivo percorso professionale dei magistrati già di settima valutazione è trasmessa senza ritardo alla Sezione disciplinare, per la riattivazione del procedimento giurisdizionale in precedenza sospeso ai sensi dell’art. 1, comma 3, della circolare e, quindi, per le determinazioni finali sull’ istanza.
La circolare, infine, si fa carico anche di disciplinare il caso – non affatto infrequente – in cui il magistrato di settima valutazione che ha presentato l’istanza di riabilitazione abbia contestualmente pendenti ulteriori procedimenti consiliari, nei quali può assumere rilievo dirimente la pronuncia di riabilitazione.
Il riferimento è da intendersi a quei procedimenti diversi dalla valutazione di professionalità in cui la condanna disciplinare ed i fatti posti a suo fondamento possono assumere valenza ostativa.
La circolare cita, a titolo di esempio, l’ipotesi in cui il magistrato sanzionato concorra per l’attribuzione di un determinato incarico direttivo o semidirettivo, posto che, per come già osservato, a norma dell’art. 37 T.U. dirigenza, la condanna disciplinare alla censura assume una valenza presuntiva (iuris tantum) ostativa al conferimento dell’incarico. Ma al riguardo possono richiamarsi altre ipotesi: la procedura per la selezione dei magistrati addetti all’Ufficio Studi e documentazione del Consiglio, non potendo essere nominati, ai sensi dell’art. 4, comma 2, della relativa circolare (Fasc. n. 110/VA/2023, delibera del 20 marzo 2024) i magistrati che abbiano riportato condanne disciplinari, salvo che, in tale ultimo caso, sia intervenuta la riabilitazione; i bandi riguardanti le funzioni di legittimità e di merito presso la Corte di cassazione e la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, stabilendo l’art. 22, comma 3, della circolare n. 13778, delibera del 24 luglio 2014 e succ mod. al 15 giugno 2022, una presunzione ostativa al conferimento dell’incarico nell’ipotesi di condanna alla censura per fatti commessi nell’ultimo decennio; il rilievo che la condanna disciplinare per ritardi nel deposito dei provvedimenti assume ai fini della valutazione del requisito del merito per i trasferimenti, anche di legittimità, nell’ambito della valutazione del requisito delle attitudini per la funzione richiesta (artt. 68, comma 3 e 84, comma 3 della predetta circolare), ovvero, ai sensi dell’art. 113, ai fini del collocamento fuori ruolo ove la valutazione complessiva del profilo del magistrato tiene conto anche di tutti gli elementi di conoscenza desumibili dal fascicolo personale e, in particolare, di eventuali procedimenti disciplinari definiti o in corso sotto il profilo della loro ricaduta sull’immagine di imparzialità e di indipendenza del magistrato o del pregiudizio derivante al prestigio della magistratura[24].
In tali casi – stabilisce la circolare (pag. 9) che spetta al magistrato segnalare alla Commissione consiliare che ha in trattazione il procedimento in cui sia rilevante la condanna disciplinare l’avvenuta presentazione dell’istanza di riabilitazione, al fine di ottenere l’eventuale sospensione del medesimo procedimento o, comunque, un differimento della sua definizione, ove possibile, il tutto a fronte di una necessaria procedura di valutazione del suo successivo percorso professionale (quella, appunto, disciplinata dal comma qui in commento) che comunque potrà richiedere per la sua definizione tempi non brevi, stante il coinvolgimento di una molteplicità di soggetti ed organi.
Si tratta di una previsione che, pur essendo inserita nell’ambito della parte dedicata alla valutazione del successivo percorso professionale del magistrato ai sensi dell’art. 2, comma 3 della stessa circolare, si presta – stante l’eadem ratio – ad assumere valenza di regola generale nella materia, non potendosi escludere che un magistrato che non abbia ancora conseguito la settima valutazione e che abbia presentato istanza di riabilitazione abbia pendenti procedimenti in cui la condanna disciplinare (in particolare alla censura) assuma decisivo rilievo ai fini dello scrutinio che la competente commissione consiliare deve compiere in relazione ad altre domande del magistrato.
4. L’organo competente a decidere sull’istanza: la Sezione disciplinare del CSM.
Sebbene la norma primaria di cui all’art. 25-bis d.lgs. n. 109 del 2006 non indichi espressamente nella Sezione disciplinare l’organo competente a concedere la riabilitazione, demandando al CSM lo stabilire le forme e i modi per l’accertamento delle relative condizioni, si tratta di una soluzione che consegue alla natura giurisdizionale dell’organo e del procedimento disciplinare che ha portato all’applicazione della sanzione.
Una ricostruzione, infatti, che tende a ricondurre la riabilitazione ad un effetto ope legis che andrebbe dichiarato nell’ambito del procedimento amministrativo in cui l’ammonimento e la censura assumono valenza ostativa si presta a rilievi ed è correttamente esclusa anche dalla stessa circolare.
Se è vero, infatti, che la riabilitazione sarà destinata a produrre effetti in ambito sostanziale allorché il magistrato se ne avvalga rispetto ai procedimenti amministrativi di competenza del CSM (ad es. avanzando una domanda per il conferimento di un incarico direttivo), ciò non significa che si possa prescindere dall’adozione di un provvedimento della Sezione disciplinare che rimuova quell’ostacolo costituito da una sua precedente decisione di condanna. Si tratta, infatti, di due piani differenti: l’uno che attiene all’eliminazione degli effetti conseguenti alla condanna e, l’altro, successivo, che involge, invece, le valutazioni di merito che il CSM sarà chiamato a compiere in relazione ad autonomi procedimenti amministrativi che riguardano il magistrato.
Inoltre, l’attribuzione all’esclusiva sede amministrativa della potestà di dichiarare, in via incidentale, la riabilitazione violerebbe il principio di separazione dei poteri, attribuendosi ad un organo amministrativo la potestà di eliminare gli effetti di un provvedimento giurisdizionale.
Correttamente, pertanto, la delibera del CSM precisa che il procedimento di riabilitazione ha natura giurisdizionale e che la caducazione degli effetti del provvedimento (una sentenza) che ha inflitto la sanzione non può che conseguire ad un atto e ad un procedimento di identica natura, ossia giurisdizionale, riservato come tale alla Sezione disciplinare.
Del resto, a conferma di tale assunto depone la collocazione sistematica della disposizione dell’art. 25-bis nell’ambito del decreto legislativo n. 109 del 2006 e, precisamente, dopo l’istituto della revisione, all’interno del Capo II dedicato al procedimento disciplinare del magistrato.
Natura costitutiva va, poi, riconosciuta al provvedimento con cui la Sezione disciplinare concede la riabilitazione, in quanto elimina gli effetti che la disciplina ordinamentale collega alla sanzione, determinando l’insorgere della possibilità che siano modificati anche i giudizi complessivi riportati dal magistrato dopo la sanzione e in conseguenza di questa.
Quanto all’ambito di cognizione della Sezione disciplinare, si pone il problema se tale organo possa rigettare l’istanza nonostante siano soddisfatte le due condizioni previste dalla legge (decorrenza del termine di tre o cinque anni dall’irrevocabilità della condanna e successiva valutazione di professionalità positiva).
Sul punto, l’art. 2, comma 1, della circolare, nel disciplinare le condizioni per la riabilitazione, puntualizza come incipit “ferma restando l’autonoma valutazione della Sezione disciplinare”.
Si tratta di un riferimento necessitato in quanto, per come già evidenziato, la particolare natura giurisdizionale del procedimento disciplinare dei magistrati esclude che la riabilitazione possa essere rimessa in toto alla valutazione dell’organo amministrativo di riferimento e, dunque, ritenere che la Sezione disciplinare sia tenuta ad una valutazione di mero esito e non, invece, di carattere contenutistico alla stregua di tutto il corredo delle motivazioni espresse nel parere del CSM e negli ad esso allegati e/o acquisiti, tenendosi conto dell’eventuale novum sopravvenuto che, in ipotesi, potrebbe assumere anche valenza ostativa (si pensi all’adozione di provvedimenti cautelari in conseguenza di altre ipotesi di rilievo disciplinare).
Sebbene i fatti che hanno portato alla condanna disciplinare debbano essere valutati ai fini del parere positivo che il magistrato deve allegare all’istanza, in ossequio alla disciplina consiliare che di quei fatti tiene necessariamente conto ai fini dei pareri che i Consigli giudiziari (o il Consiglio direttivo della Corte di cassazione) debbano esprimere in ordine alla valutazione di professionalità (tanto che anche con riferimento ai magistrati che hanno conseguito la settima valutazione il giudizio finale del Consiglio è espresso nell’osservanza delle disposizioni della relativa circolare)[25], il giudizio della Sezione disciplinare non è improntato alla verifica della professionalità del magistrato, sia pure espressa valutando l’impatto della condanna nel profilo professionale del riabilitando, bensì ad un apprezzamento in chiave di ravvedimento in coerenza con la ratio dell’istituto.
Infatti, sebbene in presenza di fatti disciplinarmente rilevanti la valutazione di professionalità investe anche il giudizio inerente ai c.d. prerequisiti di indipendenza, imparzialità ed equilibrio, si tratta, pur sempre, di un giudizio di tipo amministrativo che viene svolto a detti fini, secondo un iter diverso per tipologia e contenuto da quello di tipo giurisdizionale di cui è investita la Sezione disciplinare che pertiene alla riabilitazione.
In tema di riabilitazione penale è principio generale che, ai fini della valutazione della sussistenza del presupposto del mantenimento della buona condotta, il giudice può considerare anche l’esistenza di una o più denunce o la sola pendenza di procedimenti penali o amministrativi per fatti successivi a quelli cui inerisce la domanda, ovvero valutare altri fatti reato per i quali non è intervenuta la condanna, a condizione che ne sia apprezzato il significato concreto, dimostrativo della commissione di condotte devianti o irregolari, tali da provare il mancato recupero del condannato[26].
Potrebbe, pertanto, sostenersi che la Sezione disciplinare resta autonoma nelle sue valutazioni allorché il complesso degli elementi di giudizio acquisiti presentino fattori di contrasto alla logica meritoria del beneficio.
Nonostante sul punto la normativa primaria ha ritenuto di omettere qualsiasi riferimento ad eventuali condizioni ostative al riconoscimento del beneficio, possono richiamarsi, a titolo di esempio, quelle che erano state individuate nella prima stesura della disposizione tra cui: una precedente sanzione disciplinare non seguita da una pronuncia di riabilitazione; una successiva sanzione disciplinare; la pendenza di un procedimento per l’irrogazione di una sanzione disciplinare; l’intervenuta cessazione dalle funzioni; l’esercizio dell’azione disciplinare a cui sia poi conseguita la decadenza.
Lungi dal riconoscere a dette ipotesi una valenza ostativa di “principio” che vincoli l’Organo giurisdizionale, dovendosi sempre verificare l’incidenza in concreto di tali “pregiudizi” con la funzione di emenda propria del giudizio di riabilitazione, resta fermo che il ventaglio delle ipotesi che possono assurgere ad elementi recessivi rispetto al percorso intrapreso dal magistrato sarà rimesso alla giurisprudenza della Sezione disciplinare.
La maggiore questione interpretativa – per come rilevato dalla circolare – si porrà in ordine ai termini di incidenza sulla pronuncia riabilitativa di eventuali vicende intervenute nel percorso professionale del magistrato dopo la “successiva valutazione di professionalità positiva” di cui all’art. 2, commi 1 e 2, ovvero dopo il “successivo percorso professionale” già valutato nell’ambito del procedimento che riguarda i magistrati di settima valutazione di professionalità di cui all’art. 3.
Al riguardo, può farsi riferimento ai casi in cui l’aspirante alla riabilitazione sia destinatario di un nuovo esercizio dell’azione disciplinare o di misure cautelari disposte dalla Sezione disciplinare ovvero ai casi in cui sia avviata nei suoi confronti una procedura di trasferimento d’ufficio ex art. 2 L.G., ferma restando che ne sia apprezzato il significato concreto, dimostrativo della commissione di condotte devianti o irregolari, tali da provare il mancato recupero del magistrato sanzionato.
Potrà, quindi, attribuirsi rilievo non solo a fatti sussumibili nell’alveo del disvalore disciplinare laddove i fatti successivi si pongano con questi in un’ottica di stretta continuità e/o omogeneità, ma anche di carattere amministrativo idonei ad incidere su tale giudizio (si pensi, ad es., ad un’ipotesi di mancata conferma riportata dal magistrato ovvero ad un diniego inerente al collocamento fuori ruolo o ad una condanna inerente ad ipotesi di responsabilità civile), con la necessaria precisazione che, con riguardo al rilievo all’apertura del procedimento di trasferimento d’ufficio del magistrato, la vigente disciplina fa espresso riferimento alla indipendenza della colpa.
Sul punto, del resto, appare esprimersi la stessa circolare laddove sottolinea che alla Sezione disciplinare è rimesso l’autonomo apprezzamento di tali dati conoscitivi e valutativi nella sede giurisdizionale in cui troverà definizione il procedimento riabilitativo.
5. Il procedimento dinanzi alla Sezione disciplinare.
L’art. 1 della circolare stabilisce che il procedimento prende l’avvio con l’istanza che il magistrato deve trasmettere alla Sezione disciplinare.
Il deposito della domanda potrà essere effettuato dal magistrato personalmente o a mezzo di procuratore speciale presso la segreteria della Sezione disciplinare: in alternativa, l’istanza potrà essere trasmessa attraverso posta elettronica certificata.
Non è richiesta, pertanto, in questa fase – in simmetria con quanto stabilito per la riabilitazione penale – l’assistenza tecnica del difensore, anche per quanto espressamente si ricava dal primo comma dell’art. 1 della circolare che tra i requisiti dell’istanza non fa alcun cenno al deposito della nomina del difensore.
Il comma 2 dell’art. 1 chiarisce che l’istanza può essere presentata, a pena di inammissibilità, solo dopo che siano decorsi i termini di cinque o di tre anni dalla data di irrevocabilità della sentenza che ha inflitto, rispettivamente, la sanzione della censura o dell’ammonimento.
Si registra, pertanto, una distinzione rispetto alla riabilitazione penale ove il decorso del termine è condizione per la concessione della riabilitazione, ma non per la presentazione della domanda la quale, se proposta in anticipo rispetto alla scadenza del termine, non è inammissibile.
La differenza va ricercata nel fatto che per la riabilitazione disciplinare occorre allegare alla domanda, quale condizione di legittimità, anche copia della “successiva valutazione di professionalità positiva” conseguita dopo l’irrevocabilità della sentenza e che abbia valutato l’illecito disciplinare (nei casi in cui siano ancora in corso le valutazioni di professionalità ordinarie del riabilitando) o, per i magistrati già di settima valutazione, copia dell’istanza inoltrata al CSM al fine di conseguire la valutazione del “successivo percorso professionale” di cui al terzo comma dell’art. 25-bis d.lgs. n. 109 del 2006. Tale ultima istanza, quindi, dovrà essere presentata prima della domanda di riabilitazione ed indirizzata, nello specifico, alla Quarta commissione, al fine di dare avvio allo specifico ed autonomo procedimento disciplinato dal successivo art. 3 della circolare.
A seguito della presentazione della domanda di riabilitazione, il procedimento giurisdizionale dinanzi alla Sezione disciplinare, come chiarisce il terzo comma della circolare, sarà sospeso in tutti i casi in cui sia necessario dar corso all’autonoma valutazione del successivo percorso professionale del magistrato già di settima valutazione e tale sospensione durerà fino alla deliberazione consiliare sulla medesima valutazione.
All’istanza il magistrato interessato potrà allegare altri documenti, di cui deve indicare lo specifico rilievo. Si pone, anche per la riabilitazione disciplinare il tema se sussista un onere probatorio a carico del magistrato che invoca un provvedimento favorevole, ovvero soltanto un onere di allegazione, consistente nella prospettazione ed indicazione dei fatti rilevanti sui quali la richiesta si fonda, incombendo poi sul giudice il compito di procedere, anche d’ufficio, ai relativi accertamenti. L’espresso riferimento, contenuto nel comma 4 dell’art. 3 della circolare, all’ipotesi in cui vi sia necessità di svolgere approfondimenti istruttori, pare militare – in ossequio all’orientamento di legittimità formatosi in materia di riabilitazione penale – nel senso di attribuirne l’acquisizione alla Sezione disciplinare, sempre ché i documenti abbiano specifica rilevanza ai fini dell’accoglimento della domanda[27].
Va escluso, al pari della riabilitazione penale, che la dimostrazione di fatti o circostanze favorevoli al magistrato dichiarante sia fornita in sede processuale mediante autocertificazione[28]. Ammissibile deve ritenersi, invece, l’autorelazione, nella parte in cui faccia riferimento a dati di carattere storico noti ovvero che sono confluiti nell’ambito dei procedimenti amministrativi di competenza consiliare.
Quanto alle forme del procedimento, a norma dell’art. 4, comma 2, della circolare si segue il rito della camera di consiglio non partecipata qualora la Sezione disciplinare sia in grado di decidere allo stato degli atti; qualora, invece, sorgano questioni interpretative di particolare rilevanza, o nei casi in cui la Procura generale abbia concluso per il rigetto dell’istanza, ovvero quando sia stato necessario acquisire una valutazione sul successivo percorso professionale del magistrato ai sensi dell’art. 3 della circolare o in ogni altro caso in cui vi sia necessità di svolgere approfondimenti istruttori, il comma 3 dell’art. 4 della circolare stabilisce che la Sezione disciplinare dispone la comparizione delle parti per la trattazione dell’istanza in camera di consiglio partecipata.
Dalla previsione che lega il rito della camera di consiglio partecipata all’ipotesi in cui la Procura generale abbia concluso per il rigetto si ricava l’obbligatorietà dell’intervento di tale Organo – a differenza del procedimento di riabilitazione penale – anche nelle ipotesi in cui la Sezione disciplinare sia in grado di decidere allo stato degli atti mediante camera di consiglio non partecipata.
Ricevuta la domanda di riabilitazione, la segretaria della Sezione disciplinare dovrà trasmetterla alla Procura generale per le sue richieste, non trattandosi di adempimento di cui può essere onerato il richiedente in quanto non previsto dall’art. 1, comma 1, della circolare.
Sebbene nei casi di camera di consiglio non partecipata l’interessato non riceve alcun avviso della data in cui la Sezione disciplinare si riunisce per esaminare la domanda, resta ferma la facoltà del magistrato di produrre memoria di replica alle richieste del Procuratore generale, mediante accesso della segreteria della Sezione.
Potranno essere anzitutto trattati con il rito della camera di consiglio non partecipata le ipotesi di inammissibilità della domanda espressamente stabilite dal comma 2 dell’art. 1 (mancata indicazione delle generalità del magistrato, degli estremi della condanna disciplinare, assenza del decorso del termine di decorrenza dall’irrevocabilità della decisione ovvero mancata allegazione della delibera consiliare sulla successiva positiva valutazione di professionalità o dell’istanza con cui il magistrato, di settima valutazione alla data di irrevocabilità della sentenza, successivo percorso professionale), alle quali va aggiunta quella della richiesta che costituisce mera riproposizione di una già rigettata, basata sui medesimi elementi e sempreché la presa d’atto della mancanza dei requisiti o della novità della domanda non richieda accertamenti di tipo cognitivo, né valutazioni discrezionali[29].
Non è prevista, invece, a differenza della riabilitazione penale – quale causa di inammissibilità – la preclusione alla riproposizione della domanda (fondata su elementi diversi) senza che sia trascorso un certo periodo da quello in cui è divenuto irrevocabile il provvedimento di rigetto. Pertanto, il magistrato non incorrerà in nessuna decadenza laddove abbia nuovamente inoltrato la domanda allegando una successiva ed ulteriore positiva valutazione di professionalità.
Il fatto che il comma 3 dell’art. 4 della circolare stabilisca il rito partecipato allorché il Procuratore generale concluda per il rigetto non è ostativo all’adozione della pronuncia di inammissibilità con la forma camerale non partecipata qualora la Sezione disciplinare, anche ex officio, rilevi l’esistenza di una causa di inammissibilità, in quanto l’inammissibilità è categoria giuridica distinta da quella del rigetto, attenendo la prima ai presupposti che attengono al corretto instaurarsi del rapporto processuale ed esercizio dell’azione, mentre la seconda involge profili che ineriscono ad una valutazione sul merito della domanda.
Il riferimento, contenuto nell’art. 4, comma 2, della circolare, ai “casi in cui la Sezione disciplinare è in grado di decidere sull’istanza allo stato degli atti”, non limita la procedura non partecipata alle mere ipotesi di inammissibilità dell’istanza, ma, in un’ottica di assicurare la ragionevole durata del procedimento e la celere definizione positiva dell’istanza, comprende anche quelle in cui risultino evidenti i presupposti per la concessione della riabilitazione, in presenza però di conclusioni conformi della Procura generale e in assenza della necessità di svolgere approfondimenti istruttori, altrimenti dovendosi seguire, a norma del comma 3 dell’art. 4 della circolare, il rito della camera di consiglio partecipata.
All’udienza camerale partecipata vanno, invece, ricondotte tutte le altre ipotesi indicate dal comma 2 e in precedenza menzionate.
Dovendo la Sezione disciplinare fissare la data dell’udienza, disponendone la comunicazione alle parti ai fini dell’instaurazione del contraddittorio, si pone il problema se il magistrato richiedente debba essere assistito in questa fase da un difensore che, in applicazione del principio generale stabilito dall’art. 15, comma 4, d.lgs. n. 109 del 2006, può essere un altro magistrato, anche in quiescenza, o un avvocato del libero foro.
Al quesito deve darsi risposta affermativa per diversi ordini di ragioni.
Anzitutto di carattere sistematico, in quanto, rinviando il d.lgs. n. 109 del 2006 sul procedimento disciplinare dei magistrati, per quanto non ivi espressamente contemplato, alle norme del codice di procedura penale (l’art. 14, comma 2, con riguardo alle indagini e l’art. 18, comma 4, con riferimento al dibattimento e l’art. 24, comma 1, in ordine al ricorso per cassazione), troverà applicazione la disciplina generale dei procedimenti in camera di consiglio di cui all’art. 127 c.p.p., disposizione richiamata anche nelle norme del codice di rito (Capo II, del Titolo III sulle attribuzioni degli organi giurisdizionali) in cui si collocano i provvedimenti adottati dal tribunale di sorveglianza in tema di riabilitazione allorché si faccia luogo all’opposizione conseguente al rigetto della relativa domanda e che, al comma 1, onera il giudice che procede di nominare il difensore di ufficio all’interessato che ne sia privo.
Anche nel procedimento di riabilitazione penale, infatti, è possibile distinguere due fasi: la prima, susseguente all’istanza di riabilitazione che può essere presentata dal condannato personalmente o dal difensore cui è stata rilasciata procura (o da persona delegata) che viene trattata de plano senza intervento del procuratore generale presso la corte di appello; la seconda, invece, che si instaura a seguito di opposizione non manifestamente infondata, che si svolge con le forme della camera di consiglio partecipata e con la necessaria presenza del difensore, ai sensi del combinato disposto degli artt. 678, comma 1 e comma 1-bis e 667, comma 4, c.p.p. che richiama, quanto alle forme, l’art. 666, comma 3, c.p.p.
Inoltre, milita per il riconoscimento dell’assistenza tecnica anche l’esigenza, già avvertita dalla dottrina nell’ambito del procedimento disciplinare del magistrato ove si esclude la persistenza dell’autodifesa, di assicurare piena ed effettiva tutela al diritto di difesa allorché si proceda comunque a valutazioni od accertamenti che involgono il merito della domanda e che debbano svolgersi nel contraddittorio delle parti[30].
Pertanto, allorché la Sezione disciplinare disponga la comparizione delle parti per la trattazione dell’istanza in camera di consiglio partecipata, al magistrato richiedente che ne sia privo, andrà nominato un difensore di ufficio.
Il rinvio al comma 4 dell’art. 666 c.p.p. pare anche consentire, con il consenso del magistrato interessato, di svolgere l’udienza mediante collegamento a distanza.
La Sezione disciplinare potrà chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di cui abbia bisogno; le prove, se occorre, vengono assunte nel contraddittorio delle parti; il magistrato ha facoltà di rendere dichiarazioni.
A norma del comma 4 dell’art. 4 della circolare la Sezione disciplinare decide con ordinanza che viene comunicata, senza ritardo, alle parti e al difensore.
Di tale provvedimento deve darsi atto nella scheda anagrafica del magistrato, con l’indicazione della condanna disciplinare alla quale si riferisce.
6. L’impugnazione della decisione della Sezione disciplinare
Sebbene l’art. 24 d.lgs. n. 109 del 2006 limiti l’impugnazione dei provvedimenti emessi dalla Sezione disciplinare «alle sentenze e alle ordinanze di sospensione cautelare (obbligatoria e facoltativa) di cui agli artt. 21 e 22», deve ritenersi consentito, avverso l’ordinanza con cui la Sezione disciplinare decide in tema di riabilitazione, il ricorso per cassazione, al pari di quanto previsto dalla disciplina del codice di rito per il provvedimento con cui il Tribunale di Sorveglianza rigetta l’opposizione (artt. 127, comma 7 e 666, comma 6, c.p.p.).
Ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, nessun rilievo assume la forma di ordinanza del provvedimento, in quanto, allorché il provvedimento del giudice, emesso in tale forma, non decide su questioni contingenti o temporanee, sia di rito, sia di merito, ma statuisce su determinate situazioni giuridiche con carattere di definitività, deve ritenersi soggetto a impugnazione, in quanto, al pari delle sentenze diventa irrevocabile, essendosi esaurita con la sua emanazione la potestà decisoria.
Inoltre, ove tale pronuncia motivata non fosse impugnabile col regime previsto dall’art. 24 d.lgs. n. 109 del 2006 per la sentenza, tutti gli elementi di “sfavore” in essa insiti per l’adozione di una formula che nella sostanza afferma la permanenza dell’”antigiuridicità disciplinare” della condotta, resterebbero privi di rimedio.
E tanto anche in violazione del principio del “giusto processo” che non può non trovare applicazione nel procedimento disciplinare a carico di magistrati sempre più coniato sull’osservanza dei principi comuni alla giurisdizione penale. Infatti, la riforma contenuta nel decreto legislativo n. 109 del 2006 ha inciso profondamente sul sistema della responsabilità disciplinare dei magistrati ordinari. Il passaggio da un illecito atipico a fattispecie tipiche di responsabilità, la trasformazione dell’azione del Procuratore generale della Corte di cassazione da discrezionale ad obbligatoria e l’applicabilità al nuovo processo delle norme del vigente codice di procedura penale (in quanto compatibili) hanno determinato un sensibile rafforzamento dei connotati giurisdizionali, costituzionalmente orientati ex art. 111 Cost. del processo disciplinare, pure da anni riconosciuti dalla dottrina e dalla giurisprudenza formatesi in relazione al sistema abrogato[31].
Peraltro, con riguardo alla decisione adottata a seguito dell’udienza camerale non partecipata, l’assenza di rimedi impugnatori porrebbe anche profili di costituzionalità con riguardo alla tutela del diritto di difesa, in quanto la salvaguardia del contraddittorio è proprio assicurata mediante il ricorso per cassazione ove le ragioni della difesa siano suscettibili di essere compiutamente rappresentate[32].
Del resto, non può ridondare a carico del magistrato il difetto di coordinamento legislativo tra le norme sull’impugnazione (dettate, ex art. 24, per la “sentenza” come stabilito nel testo originario del decreto legislativo in vigore dal 5 aprile 2006) e la successiva introduzione dell’art. 25-bis nel corpo del decreto legislativo n. 109 del 2006.
Ammessa, dunque, l’impugnabilità dell’ordinanza, il mezzo sarà costituito dal ricorso per cassazione alle Sezioni unite civili, nei termini e con le forme previste dal codice di procedura penale (con la necessaria precisazione che l’impugnazione dovrà essere proposta da un avvocato del libero foro iscritto all’albo speciale di cui all’art. 613 c.p.p.)[33].
Il termine per impugnare, pari a quindici giorni a norma dell’art. 585, comma 1, lett. a) c.p.p., decorrerà dalla notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito del provvedimento, a meno che la Sezione disciplinare non abbia deciso con motivazione contestuale di cui è stata data lettura in udienza.
7. L’esclusione dell’intervento del Ministro della giustizia.
Sia la norma primaria che le disposizioni della circolare dettate in tema di riabilitazione nulla dispongono con riguardo ad un possibile intervento del Ministro della giustizia che, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 109 del 2006, è titolare, unitamente al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, dell’azione disciplinare.
La questione potrebbe porsi in relazione a quelle condanne che ineriscono a procedimenti in cui l’azione disciplinare è stata promossa dal Ministro della giustizia ovvero tale Organo abbia chiesto l’integrazione della contestazione a norma dell’art. 17, comma 3, d.lgs. n. 109 del 2006 ovvero l’udienza di discussione dinanzi la Sezione disciplinare sia stata fissata a seguito di richiesta del Ministro nel caso previsto dai successivi commi 6 e 7. Si tratta, infatti, di ipotesi in cui al Ministro della giustizia è anche riconosciuto il potere di impugnazione della sentenza disciplinare.
All’interrogativo deve darsi riposta negativa.
La riabilitazione, infatti, è un istituto che attiene ad una fase del procedimento in cui risultano esaurite le prerogative del Ministro della giustizia, essendo l’istanza di riabilitazione rimessa esclusivamente all’interessato, unico soggetto titolare dell’interesse sotteso al potere di iniziativa, consistente nella possibilità di far cessare gli effetti ordinamentali di carattere negativo ricollegabili alla sanzione al medesimo applicata.
La riabilitazione, infatti, a differenza della revisione che è un mezzo di impugnazione di carattere straordinario (la cui richiesta può essere avanzata anche dal Ministro della giustizia), è un istituto che riguarda l’estinzione della sanzione, i cui effetti sono destinati a prodursi nella sfera giuridica del magistrato in relazione alle ricadute negative che le norme ordinamentali ad essa attribuiscono. Pertanto, rispetto alle vicende di tale istituto vi è carenza di interesse del Ministro della giustizia, in quanto con la condanna disciplinare si è esaurito l’interesse sotteso al riconoscimento del potere di azione e al correlativo diritto di impugnazione.
L’intervento della Procura generale, invece, va ricondotto alle funzioni necessarie di parte processuale che riveste all’interno del procedimento disciplinare ed alle attribuzioni di cui risulta titolare a livello ordinamentale, tra le quali non solo quella di assicurare il generale rispetto della legge, ma anche quella di organo «vincolato al canone dell’uguaglianza e dell’imparzialità».
Del resto, in virtù della disciplina del codice di rito, i soggetti che sono parti necessarie del procedimento di riabilitazione sono, oltre l’interessato, il pubblico ministero e il difensore allorché ne è necessaria la presenza.
8. Conclusioni
Sebbene, per quanto in precedenza osservato, permangano diversi aspetti che dovranno essere oggetto di approfondimento, resta il dato, di indubbio rilievo positivo, dell’introduzione anche nell’ambito del procedimento disciplinare del magistrato della riabilitazione disciplinare.
E tanto non solo perché si è colmata una lacuna di carattere sistematico che rendeva sbilanciato in peius il procedimento dei magistrati rispetto a quelli stabiliti per le altre categorie di pubblici dipendenti (e financo per quelli iscritti in albi professionali), ma soprattutto perché con tale istituto si è ricondotto ai canoni dell’equità un procedimento che continua, per gran parte, ad essere modellato sul sistema inquisitorio.
La circostanza, poi, che tra le condizioni per la riabilitazione sia richiesta una valutazione positiva di professionalità in cui il fatto storico che ha determinato la condanna deve essere oggetto di apprezzamento, non deve determinare un’inversione dei ruoli e dei compiti tra il giudice disciplinare e l’organo deputato a valutare, in ragione di un complesso variegato di indici, la professionalità dei magistrati.
Va respinto, infatti, qualsiasi automatismo tra esito disciplinare e valutazione di professionalità, in quanto il pregiudizio disciplinare nel quale sia incorso il magistrato non può automaticamente dar luogo a un esito negativo di professionalità, ma deve formare oggetto di apprezzamento in relazione al caso concreto, allorché, incidendo in modo decisivo su uno degli elementi necessari a fondare il giudizio di professionalità, finisca per rendere recessivi gli altri elementi favorevoli comunque rilevanti[34].
E tanto soprattutto allorché la valutazione di professionalità si collochi in un segmento temporale successivo a quello in cui è stata inflitta la sanzione disciplinare, ove il momento di commissione dell’illecito disciplinare può ben rinvenire elementi di obiettiva neutralizzazione, non ravvisabili nel mero decorso del tempo, bensì nell’avere il magistrato intrapreso un percorso virtuoso tale da ricondurre tale condanna ad un incidente di percorso, piuttosto che a un precedente destinato a ridondare sistematicamente nella vita professionale del magistrato.
Giovanni Ariolli
[1] Il presente lavoro si inserisce nell’ambito degli approfondimenti che il Centro studi Nino Abbate sta dedicando, mediante contributi pubblicati sulla Rivista Diritto, Giustizia e Costituzione, al tema del procedimento disciplinare dei magistrati. In materia, vedi tra i contributi più recenti, Ariolli, Note sul procedimento disciplinare dei magistrati, in Diritto, Giustizia e Costituzione, 5/09/2023, p. 1-91 (online), anche con riguardo ai riferimenti bibliografici ivi indicati.
[2] Con riferimento al procedimento disciplinare nei confronti del personale delle amministrazioni pubbliche in relazione ai rapporti di lavoro di cui all’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 si vedano gli artt. 67-73 del d.lgs. n. 15 del 2009, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni. I contratti collettivi di comparto stipulati alla stregua dell’art. 55 del d.lgs. n. 165 del 2001 hanno, altresì, disposto che non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione; tale formulazione elimina ogni rilevanza soggettiva dell’avvenuto ravvedimento del dipendente.
[3] Cirielli, La rilevanza dei precedenti disciplinari nell’ordinamento giudiziario, in assenza della riabilitazione disciplinare, in Il diritto vivente (online), 22 marzo 2021.
[4] Cass. s.u., n. 3612 del 6/04/1991. A commento della decisione v. Colla, I magistrati e la riabilitazione, in La n. giur. civ. comm., 1992, 77 ss.
[5] Secondo la Consulta la trasposizione della riabilitazione prevista per gli impiegati civili dello Stato nel sistema disciplinare stabilito per i magistrati costituiva un “irragionevole innesto”, alla luce delle particolarità del procedimento disciplinare previsto per i magistrati, che si fonda su un giudizio che si svolge secondo moduli giurisdizionali, a differenza del procedimento disciplinare per gli impiegati civili dello Stato che è identificato essenzialmente come un procedimento amministrativo. A commento della decisione, v. Vittorio E., La riabilitazione disciplinare: analisi e prospettive, in La Magistratura, 13 ottobre 2021.
[6] Sebbene il fondamento costituzionale di entrambi i procedimenti sia il medesimo, ossia assicurare, nel rispetto del principio di legalità, l’interesse pubblico, riconosciuto in via generale dall’art. 97 della Costituzione, al buon andamento e all’imparzialità delle funzioni statali (v. C. cost., sentenze nn. 86 del 1982 e 18 del 1989) in bilanciamento con i diritti, costituzionalmente rilevanti, dei singoli dipendenti (v. C. cost., sent. n. 145 del 1976), va al contempo evidenziato che, in relazione ai magistrati, l’uno e l’altro termine del bilanciamento assumono una qualificazione ulteriore del tutto peculiare, dovuta al fatto che, per un verso, l’interesse pubblico sopra enunciato consiste in tal caso nell’assicurazione del regolare e corretto svolgimento della funzione giurisdizionale, vale a dire di una funzione che gode in Costituzione di una speciale garanzia di indipendenza e di autonomia rispetto a ogni altra funzione pubblica (art. 101, secondo comma) e, per altro verso, l’interesse costituzionale alla tutela dei diritti dei singoli dipendenti pubblici dev’essere commisurato, nel caso dei giudici, alla salvaguardia più rigorosa del dovere di imparzialità e della connessa esigenza di credibilità che si collegano all’esercizio di una funzione essenziale, come quella che la Costituzione affida ai magistrati nel quadro dei principi dello Stato di diritto (v. C. cost., sentenze n. 289 del 1992, n. 145 del 1976 e n. 100 del 1981).
[7] Il Consiglio, investito della richiesta di parere in ordine alla sussistenza o meno del requisito del termine di anni due perché un magistrato, raggiunto da una sanzione disciplinare, potesse fruire del riconoscimento riabilitativo ai sensi del D.P.R. n. 3 del 1957, escluse, proprio in ragione del quadro normativo delineato dalla sentenza della Corte costituzionale, che potesse concedersi il beneficio della riabilitazione al magistrato colpito da sanzione disciplinare, con conseguente irrilevanza che siano trascorsi due anni dalla data dell’atto con cui è stata inflitta la sanzione disciplinare (nel caso specifico della censura).
[8] Quanto ai lavori della Commissione Vietti, si vedano le pagg. 98 e 102 della relazione conclusiva. In dottrina, Vittorio, La riabilitazione disciplinare: analisi e prospettive, in La Magistratura, (online), 23 ottobre 2021.
[9] Sulla disposizione di nuovo conio, v. Perelli, L’impatto della riforma Cartabia, in Questione giustizia, (online), 2/3, 2022, 10-11.
[10] Con la precisazione che l’illecito di cui all’art. 2 lett. a) che sanziona i comportamenti che, violando i doveri di cui all’articolo 1, arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio a una delle parti, può essere punito tanto con la censura quanto con la sanzione immediatamente più grave. Trattandosi di un illecito destinato ad essere contestato in concorso con altre fattispecie (con esclusione però di quelle previste dalle lettere b), c), g) e m), la modulazione della sanzione spesso dipenderà anche dall’applicazione della disposizione dettata in tema di concorso di illeciti disciplinari.
[11] In tal senso si esprime anche la circolare sulla riabilitazione (v. pag. 3).
[12] Sebbene la valutazione del fatto disciplinare risulterà verosimilmente presente nella prima valutazione di professionalità deliberata dopo l’irrevocabilità della condanna (o, al più, nella valutazione ancora successiva), in quanto è prassi del Consiglio posticipare la valutazione al momento in cui la relativa pronuncia diviene irrevocabile, così evitandosi possibili interferenze di giudizio (seppur rese su piani differenti) rispetto alle attribuzioni della Sezione disciplinare, la circolare prevede l’ipotesi che la valutazione del fatto sia stata già effettuata in una valutazione di professionalità deliberata in data antecedente all’irrevocabilità della sentenza disciplinare. In tal caso, la circolare stabilisce che sarà cura del magistrato allegare all’istanza di riabilitazione sia la valutazione di professionalità positiva riportata dopo l’irrevocabilità della condanna, sia la precedente valutazione (“positiva”, “non positiva” o ”negativa”) nella quale il fatto oggetto di condanna sia stato considerato dal Consiglio nello scrutinio di professionalità.
[13] Sul tema va richiamata la nota di Lupia, Nuovo istituto della riabilitazione nella lente della normativa primaria e della circolare del C.S.M.: tra dubbi di legittimità costituzionale e possibilità di revisione della circolare ratione institutis, in Mailist-anm, 21 marzo 2024.
[14] Non appaiono, invece, decisivi i riferimenti agli artt. 24 e 111 Cost., in quanto il procrastinarsi del procedimento disciplinare in conseguenza della scelta dell’incolpato di impugnare la sentenza di condanna consegue all’esercizio dello stesso diritto di difesa dell’incolpato, affidato ad una scelta ponderata e tecnicamente assistita, il cui esito – peraltro scandito dalla previsione di termini del tutto ragionevoli specificamente indicati a corredo del sistema delle impugnazioni – può ben essere favorevole all’incolpato e dipendere da valutazioni di mero fatto.
[15] Così si esprime Lupia, cit., p. 4.
[16] Sul tema, v. Magi-Cappuccio, La delega Cartabia in tema di valutazioni di professionalità del magistrato: considerazioni a prima lettura, in Questione giustizia, 2/3, 2022 (online).
[17] Così si esprime la stessa circolare a pag. 5.
[18] Si tratterà della valutazione di professionalità immediatamente successiva che, in ragione dei ritardi temporali dovuti a quella precedente, finirà per porsi a ridosso della stessa. Nulla esclude che la Quarta Commissione del CSM stabilisca corsie preferenziali volte ad accelerare i tempi di valutazione nei confronti dei magistrati che debbono presentare istanze di riabilitazione.
[19] Lupia, cit. p. 6 e ss.
[20] Sul tema dei rapporti tra valutazione di professionalità e giudizio disciplinare, v. ex multis Grasso, Procedimento disciplinare e valutazione di professionalità: differenze ed interferenze, in La Magistratura, 1-2/2015, Anno LXIV, 24 luglio 2015.
[21] Non è infrequente, infatti, il caso di valutazioni di professionalità ”non positive” o “negative” espresse dal Consiglio proprio in ragione di un fatto o di una condotta già oggetto di sanzione disciplinare e che, soprattutto con riferimento a tali situazioni, si è ritenuto opportuno chiarire, in astratto, il carattere non preclusivo ai fini riabilitativi delle valutazioni di professionalità in parola, per scongiurare il rischio che la valutazione di un medesimo fatto condotta nei due diversi ambiti – disciplinare e professionale – possa produrre una duplice conseguenza negativa per il magistrato (sanzione disciplinare ed impossibilità di accedere alla riabilitazione) sostanzialmente elusiva della ratio sottesa all’istituto riabilitativo.
[22] Con la conseguenza, sottolinea la circolare «che gli unici magistrati non riabilitabili sarebbero quanti siano stati dispensati dal servizio a seguito di una duplice valutazione di professionalità negativa (ai sensi del Capo XVII, comma 7, della Circolare n. 20691). Per tutti gli altri sanzionati – che necessariamente conseguiranno almeno una valutazione di professionalità positiva per rimanere nell’ordine giudiziario – la riabilitazione risulterebbe sempre assicurata alla data di conseguimento della detta valutazione positiva: una linea interpretativa evidentemente in contrasto con le indubbie ragioni premiati sottese all’introduzione dell’istituto e che mirano ad eliminare gli effetti della condanna disciplinare per i soli magistrati che, a seguito della commissione di un illecito sanzionato in via definitiva, non siano incorsi, nei periodi di attività immediatamente successivi, in ulteriori e distinte “cadute di professionalità”, con ogni evidenza, invece, da considerare valutabili nel procedimento di riabilitazione».
[23] Perelli, cit., 11.
[24] Si prevede, infatti, che ove un magistrato abbia riportato una condanna disciplinare per ritardi nel deposito dei provvedimenti, il punteggio per il merito previsto per il positivo esercizio delle funzioni di merito non può essergli attribuito con riferimento agli anni cui si riferiscono i ritardi; invece, laddove nei confronti di un candidato sia pendente un procedimento disciplinare per ritardi nel deposito dei provvedimenti con richiesta di fissazione di udienza, è rimessa alla discrezionalità del Consiglio la possibilità di escludere l’attribuzione del predetto punteggio in relazione agli anni cui si riferiscono i ritardi, tenuto anche conto del numero e dell’entità dei ritardi contestati. Per un commento alla circolare si veda Cardamone, La nuova disciplina del collocamento fuori ruolo dei magistrati, in Questione giustizia (online), 2/3, 2022.
[25] Nella delibera si richiamano, infatti, espressamente le disposizioni di cui al Capo XVII della circolare n. 20691 «Nuovi criteri per la valutazione di professionalità dei magistrati» dell’8 ottobre 2007 e succ. modificazioni.
[26] Cass. pen. n. 13753 del 2020.
[27] Cass. pen., n. 48719 del 2019.
[28] Cass. pen., n. 47889 del 2013.
[29] In materia di riabilitazione penale, v. Cass. pen., n. 14568 del 2022; Cass. pen., n. 32279 del 2018; Cass. pen., n. 35045 del 2013.
[30] Sul tema v. Ariolli, cit., p. 8; Cassano, Il procedimento disciplinare, in AA.VV., Ordinamento giudiziario: organizzazione e profili processuali, a cura di Carcano, Milano, 2009; Id., Gli illeciti disciplinari dei magistrati, SSM, 18/03/2022, P20101.
[31] Sul tema, vedi: C. cost. 19 maggio 2008, n. 182; 16 novembre 2000, n. 497; 29 gennaio 1971, n. 12; Cass., Sez. un., 11 febbraio 2003, n. 1994, n. 3255; 3 marzo 1970, n. 506; 27 gennaio 1969, n. 240; C. cost., 26 ottobre 2007, n. 356; CSM Sez. disc., ord. 24 ottobre 2008; 16 settembre 1994.
[32] In materia di inammissibilità dell’appello pronunciata de plano, vedi Cass. pen., n. 745 del 2019; Cass. pen., n. 16035 del 2011.
[33] Sullo specifico tema, v. Ariolli, cit., sub par. 9, pagg. 23 e ss. e la bibliografia ivi indicata.
[34] Sul tema, v. Grasso, cit., in La Magistratura, gennaio-luglio 2015 – Anno LXIV – Numero 1.2, 24 luglio 2015; Serra d’Acquino, le valutazioni di professionalità dei magistrati. Parte seconda. I nodi problematici: le fonti di conoscenza, il rapporto con il disciplinare, gli sfasamenti temporali, le modalità espressive, in Giustizia Insieme, 23 settembre 2020 (online). Da ultimo, si veda anche Corte cost., sentenza n. 51 del 2024 che ha dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 109 del 2006, nella parte in cui stabiliva l’automaticità della rimozione del magistrato che fosse incorso in una condanna a pena detentiva per delitto non colposo non inferiore a un anno la cui esecuzione non sia stata sospesa, ai sensi degli artt. 163 e 164 c.p. o per la quale sia intervenuto provvedimento di revoca della sospensione ai sensi dell’art. 168 dello stesso codice, senza prevedere che sia comunque rimessa alla Sezione disciplinare la valutazione concreta dell’offensività della condotta al fine di una eventuale graduazione della misura sanzionatoria secondo il catalogo stabilito dallo stesso decreto legislativo.