La disciplina dei provvedimenti indifferibili contenuta nell’art.473 bis 15 c.p.c., costituisce senza dubbio una delle novità più rilevanti introdotte dalla riforma Cartabia.
La norma consente, invero, in presenza di un pregiudizio imminente ed irreparabile, o quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l’attuazione del provvedimenti, l’emissione di un decreto inaudita altera parte nell’interesse dei figli e, nei limiti delle domande proposte delle parti.
Stabilisce, altresi’, la norma che con il medesimo decreto il Giudice fissa nei successivi quindici giorni, l’udienza per conferma/modifica/revoca dei provvedimenti emessi con decreto, assegnando all’istante un termine per la notifica alla controparte.
La norma in oggetto, strutturata sulla falsariga dell’art. 669 sexies, rispetto alla quale annovera tra i presupposti anche il pregiudizio imminente e irreparabile, consente di fatto, un’anticipazione dei provvedimenti provvisori, adottabili in prima udienza ai sensi dell’art.473 bis 22, al fine di scongiurare il verificarsi di situazioni pregiudizievoli, nel lasso di tempo intercorrente tra il deposito del ricorso e la prima udienza.
Proprio in considerazione del rilievo che la disciplina sul rito famiglia, latu sensu inteso, prevede già l’adozione di provvedimenti provvisori all’esito della prima udienza, quando il giudice, ha ben chiare le difese delle parti a seguito del deposito delle memorie ex art. 473 bis 14, la possibilità di emettere provvedimenti indifferibili, dovrebbe trovare un’applicazione marginale e collegarsi al verificarsi di situazioni ed eventi assolutamente eccezionali, come la sottrazione di un minore, o una situazione di assoluta indigenza della parte richiedente che rende improcrastinabile la fissazione, seppur in via provvisoria, di un assegno di mantenimento.
Al di là della sua portata applicativa, certamente una delle questioni aperte poste dalla norma riguarda la reclamabilità dei provvedimenti emessi sia inaudita altera parte, che all’esito dell’udienza di conferma/modifica/revoca.
Nello specifico, se la reclamabilità del decreto emesso inaudita altera parte, risulta meno controversa in senso negativo, maggiori dubbi si pongono in riferimento alla reclamabilità dei provvedimenti emessi a seguito dell’instaurazione del contraddittorio, in mancanza, peraltro di un’espressa previsione normativa in tal senso.
Invero, quanto ai decreti emessi inaudita altera parte, si potrebbe argomentare sulla falsariga dell’orientamento della Suprema Corte, secondo cui non sarebbero soggetti a reclamo i decreti cosiddetti endoprocedimentali, ossia quei provvedimenti caratterizzati dalla previsione di un termine finale di efficacia (cfr. Cass. Civ. 5402/23), come nel caso previsto dall’art.473 bis 15, che impone la fissazione di un’ udienza per conferma, modifica o revoca.
Qualora poi, siano impugnati congiuntamente sia il provvedimento emesso inaudita altera parte, sia quello emesso a seguito dell’instaurazione del contraddittorio, l’impugnazione del primo dovrebbe ritenersi inammissibile per carenza di interesse, essendo la decisione trasfusa ed assorbita nel secondo provvedimento.
Lo stesso dicasi, nel caso in cui nelle more del procedimento di reclamo, siano emessi i provvedimenti provvisori ai sensi dell’art 473 bis 22, dovendosi, forse più correttamente parlare in questo caso di cessata materia del contendere.
Il problema della reclamabilità dei decreti emessi dopo l’udienza di convalida, sussiste, tuttavia, in astratto, indipendentemente, cioè dall’epoca in cui vengono adottati i provvedimenti ex art. 473 bis 22, che incide solo in concreto sulle determinazioni del Giudice di appello, in mancanza, come detto, di una disposizione normativa che preveda espressamente la reclamabilità di tali provvedimenti.
Proprio l’assenza di una disposizione normativa ad hoc, ha portato taluni interpreti ad argomentare sull’inammissibilità del reclamo, in conformità al principio secondo cui lex ubi voluit, ibi dixit.
Una posizione più garantista ritiene, tuttavia, possibile un’estensione analogica dell’art. 473 bis 24, che prevede il reclamo avverso i provvedimenti provvisori emessi ex art. 473 bis 22, anche argomentando sul rilievo che nell’udienza ex art 473 bis 22, qualora non intervengano modifiche rispetto all’epoca di adozione dei provvedimenti indifferibili, il Giudice potrebbe limitarsi ad una mera conferma dei provvedimenti precedentemente assunti o non provvedere affatto sicchè, in tal caso, si dovrebbe ipotizzare, aderendo alla tesi della non reclamabilità dei provvedimenti emessi ai sensi dell’art.473 bis 15, la possibilità anche di reclamare provvedimenti, assunti ai sensi dell’art.473 bis 22, che rinviano, quanto al contenuto, per relationem, ai provvedimenti assunti ai sensi dell’art.473 bis 15.
Quanto poi ai provvedimenti de potestate, ossia quelli di cui al 473 bis 24 secondo comma (sospendono, o introducono sostanziali limitazioni alla responsabilità genitoriale, nonché quelli che prevedono sostanziali modifiche dell’affidamento e della collocazione dei minori o ne dispongono l’affidamento a soggetti diversi dai genitori) se ne dovrebbe in generale ritenere la reclamabilità, posto che l’art. 473 bis 24 estende il reclamo a tutti i provvedimenti de potestate emessi in corso di causa, dove l’espressione “in corso di causa”, non può che riferirsi a tutta la durata del processo a partire dal deposito del ricorso.
Ulteriori spunti di riflessione in ordine alla tematica dei provvedimenti provvisori giungono dalla lettura della recente sentenza 22423/23 del 25.07.23, emessa dalla Suprema Corte a Sezioni Unite che ha affermato il seguente principio di diritto: i provvedimenti cd. de potestate adottati dal tribunale ordinario, quando competente ai sensi dell’art. 38 disp. att. c.c., nel corso dei giudizi aventi ad oggetto la separazione e lo scioglimento (o cessazione degli effettivi civili) del matrimonio, nel sistema normativo antecedente alla riforma di cui al D.Lgs. n. 149 del 2022 (cfr. art. 473-bis.24, commi 2 e 5, c.p.c.), non sono impugnabili con il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111, comma 7, della Costituzione, trattandosi di provvedimenti temporanei incidenti su diritti soggettivi (in tal senso decisori) ma non definitivi, in quanto privi di attitudine al giudicato seppur rebus sic stantibus, essendo destinati ad essere assorbiti nella sentenza conclusiva del grado di giudizio e, comunque, revocabili e modificabili in ogni tempo per una nuova e diversa valutazione delle circostanze di fatto preesistenti o per il sopravvenire di nuove circostanze.
La particolarità della decisione, che dirime un contrasto esistente in ordine alla ricorribilità in Cassazione dei provvedimenti provvisori adottati nel corso di giudizi di separazione e divorzio, risiede anche nel fatto che espressamente si fa salvo l’orientamento delle Sezioni Unite (v. sentenza n. 32359 del 2018) seguito da alcune pronunce (tra le quali Cass., sez. VI n. 1668/2020, sez.I n. 82 e 9691/2022) che ha ammesso la proponibilità del ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost., avverso il decreto della corte di appello che, in sede di reclamo, conferma, revoca o modifica i provvedimenti de potestate emessi dal tribunale per i minorenni ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c., ritenuti assistiti in tale ambito dal giudicato rebus sic stantibus. Invero, benché non esista nel nostro sistema processuale una norma che imponga la regola dello stare decisis, essa costituisce, tuttavia, un valore o, comunque, una direttiva di tendenza immanente nell’ordinamento, stando alla quale non è consentito discostarsi da un’interpretazione del giudice di legittimità, investito istituzionalmente della funzione della nomofilachia, senza forti ed apprezzabili ragioni giustificative; in particolare, in tema di norme processuali, per le quali l’esigenza di un adeguato grado di certezza si manifesta con maggiore evidenza, ove siano compatibili con la lettera della legge due diverse interpretazioni, deve preferirsi quella sulla cui base si sia formata una iniziale tendenza applicativa nella giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. SU n. 13620/2012).
In particolare nella sentenza 9691/22, richiamata dalla sentenza in commento, si afferma espressamente che il ricorso è ammissibile in conformità della giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, in materia di provvedimenti de potestate ex artt. 330, 333 e 336 c.c., il decreto pronunciato dalla Corte d’appello sul reclamo avverso quello del Tribunale per i minorenni è impugnabile con il ricorso per cassazione, avendo, al pari del decreto reclamato, carattere decisorio e definitivo, in quanto incidente su diritti di natura personalissima e di primario rango costituzionale, ed essendo modificabile e revocabile soltanto per la sopravvenienza di nuove circostanze di fatto e quindi idoneo ad acquistare efficacia di giudicato, sia pure rebus sic stantibus, anche quando non sia stato emesso a conclusione del procedimento per essere stato, anzi, espressamente pronunciato “in via non definitiva”, trattandosi di provvedimento che riveste comunque carattere decisorio, quando non sia stato adottato a titolo provvisorio ed urgente, idoneo ad incidere in modo tendenzialmente stabile sull’esercizio della responsabilità genitoriale (Cass., n. 1668/2020).
Nella sentenza 9621/21 si afferma, quindi chiaramente, la reclamabilità e la ricorribilità in cassazione dei decreti de potestate emessi dal Tribunale per i Minorenni anche in via non definitiva, quindi, nel corso del giudizio, salvo che siano stati adottato a titolo provvisorio ed urgente, dovendosi far riferimento con tale espressione, considerata l’assenza all’epoca della decisione della disciplina di cui all’art.473 bis 15, ai provvedimenti comunque emessi inaudita altera parte, o all’esito di sommaria istruttoria, in cui sia stato fissato un termine di efficacia, in coerenza con la giurisprudenza sugli atti endoprocessuali poc’anzi richiamata.
La necessità di assicurare una tutela avverso i decreti de potestate, che incidono su interessi delicatissimi, ha indotto il legislatore della riforma ad una previsione ad hoc sulla reclamabilità degli stessi contenuta nell’art.473 bis 24, per cui anche aderendo alla tesi della non reclamabilità dei provvedimenti indifferibili, per difetto di specifica previsione normativa, comunque non dovrebbe dubitarsi della reclamabilità degli stessi qualora rientrino nel novero dei provvedimenti de potestate.
La prassi degli Uffici giudiziari ed il concreto atteggiarsi degli interessi in gioco aiuteranno a dirimere molti contrasti interpretativi, anche considerato che il problema effettivo della reclamabilità dei provvedimenti indifferibili potrebbe in concreto porsi solo nei casi, tendenzialmente non frequenti, in cui vi sia un lasso di tempo apprezzabile tra l’emissione del provvedimento e la prima udienza.