Teresa Buonocore: storia di coraggio e di morte – recensione di Fernanda D’Ambrogio, avvocata in Caserta
Teresa B. è un libro che si legge tutto d’un fiato, ma che rimane tuttavia impresso come un’impronta nel cemento umido.
È una storia, tratta da un fatto realmente accaduto, di violenze e di prevaricazione maturate all’ombra di una normale famiglia della media borghesia napoletana.
Eppì è un uomo con precedenti penali per aver ucciso un ragazzo, all’età di venti anni, per futili motivi. Egli, è appassionato di balistica, fabbrica armi sul terrazzo di casa insieme ad un giovane senza arte né parte, che diventa il suo braccio armato.
Eppì ha una affermata moglie medico, ha due gemelline, amiche di Manuela, la figlia di Teresa B., che con lei condividono la stessa classe a scuola e, per una estate, le vacanze nella villa di famiglia di Eppì in Calabria.
In questo contesto si consuma l’orrendo crimine dell’abuso sessuale in danno di Manuela, di soli nove anni, e di un’altra bambina, Maria Rosa, figlia di una contrabbandiera, sua coetanea, ad opera di Eppì.
Il sospetto dell’abuso, insinuato dalla psicologa e dalla preside della scuola di Manuela, diventa certezza grazie ad un diario che Manuela tiene, su cui annota gli episodi drammatici vissuti e le date. Dalla scoperta dell’abuso scatta la denuncia, il processo, la macchina del fango su Teresa e Manuela per minarne l’attendibilità, i tentativi di corruzione, riusciti con Maria Rosa, tesi al ritiro della querela.
Mentre le indagini proseguono, Eppì viene condannato per altri reati legati alla detenzione di armi e per presunti suoi collegamenti con la criminalità organizzata, ed è qui che l’autore, che era stato il giudice del processo per l’omicidio di Teresa B., denuncia, con una lucida analisi, uno dei mali del sistema giustizia: il mancato coordinamento tra gli uffici giudiziari, a causa del quale Eppì ha goduto degli arresti domiciliari, senza, peraltro, essere allontanato dai luoghi ove vivevano Teresa e Manuela, e le connivenze in carcere, da dove ha pianificato l’omicidio di Teresa e si è disfatto dei suoi beni, lasciando Manuela senza ristoro economico.
Il libro di Carlo Spagna racconta il coraggio e la forza di due donne, Teresa e Manuela, che osano sfidare il boss del quartiere in nome della giustizia, ma anche l’umanità di due operatori di giustizia, il giudice Coburn e l’ispettore Guadagno, simboli di una giustizia empatica che mette al centro, le persone, e non i fascicoli da evadere. Il sentimento di solidarietà umana che sprigionano i due personaggi si avverte maggiormente sviluppato perchè le vittime sono bambine e perché l’epilogo è l’omicidio di una madre che aveva fatto la cosa giusta, in nome della giustizia, per la sua bambina e perché il crimine non si ripetesse in danno di altre.
Una donna, una madre, esempio di dovere civico.
Colpisce, in particolare, che il giudice, al termine della sua carriera, nel lasciare il suo ufficio, raggiunge il luogo dove Teresa è stata uccisa, quasi a renderle omaggio, per il rammarico di una giustizia che non era riuscita a salvarla.
Le contaminazioni cinematografiche rendono il libro scorrevole, in uno ai riferimenti sociologici, che lo integrano nella realtà della Napoli degli anni 2000. Una Napoli che esce dal muro di omertà e di paura e fa quadrato intorno a Manuela e Teresa, testimoniando al processo: perché i bambini non si toccano e il coraggio è oggetto di ammirazione, anche se si ha paura.
L’autore definisce, a ragione, la pedofilia come un crimine contro l’umanità, evidenziando che questo, che è un sentimento ormai comune, non lo è stato in passato.
Ed è vero, ogni fatto viene interpretato in maniera diversa a seconda della mentalità, della cultura, della contingente situazione politica e sociale in essere in un determinato momento storico.
Anche la pedofilia è stata figlia dei tempi.
Nell’antica Grecia, infatti, molti maestri del tempo, tra cui Socrate e Platone, consideravano lecita e riconosciuta come forma pedagogico-educativa la pederastia, Anche presso i Romani, la pedofilia era praticata e ammessa solo se commessa dai patrizi sui plebei, come forma di potere e di sopraffazione.
Ai primi del novecento, alcuni famosi intellettuali, fra cui Foucault e Tournier, esaltavano gli amori pedofili, ed in particolare la “pedofilia dolce”, proponendo un’infanzia emancipata dai limiti, dagli obblighi e dalle norme.
Solo in tempi recenti, con l’evoluzione delle scienze psicologiche e con l’affermazione dei diritti del fanciullo si è finalmente considerato il devastante effetto dell’abuso sessuale sulle vittime della perversione di chi si sente potente solo al cospetto di un essere inerme, l’orco, appunto, come rappresentato nel disegno di Manuela.
Le riflessioni che suscitano il libro sono molteplici.
In primis, che l’orco può nascondersi dietro mentite spoglie di amici, parenti, persone cosiddette “perbene”, persone di cui ci si fida, di fronte alle quali abbattiamo ogni barriera di protezione; in secundis, che nel mondo digitalizzato in cui viviamo, il pericolo può annidarsi nella rete, la cui pervasività e la limitatezza dei mezzi di controllo, favorisce l’adescamento di bambini e adolescenti ed il fenomeno della pedopornografia. E anche se Internet offre dei sistemi in grado di bloccare in modo automatico l’accesso a contenuti o l’uso di determinati servizi che si possono ritenere non appropriati ai minori, i cosiddetti “filtri”, questi hanno due limiti: non risultano efficaci sulle Chat, i Newsgroup, sulla posta elettronica, sul P2P (Peer to Peer), e possono essere facilmente bypassati.
In questi casi le norme e le attività svolte dalle forze dell’ordine, non bastano, occorre svolgere il proprio ruolo di genitore in maniera attenta e responsabile, preparando i figli all’evenienza dell’incontro di cose sgradevoli e dannose sulla rete e nella vita.
Teresa Buonocore e il suo coraggio – recensione di Marinella Graziano
La storia di Teresa Buonocore è una storia vera: la storia del processo a carico di un uomo (Eppì), il suo carnefice, che il magistrato Carlo Spagna racconta attraverso un libro intrecciando la narrazione del volto della cattiveria umana, “il male”, con la rappresentazione della paura, della solitudine ed, allo stesso tempo del coraggio; il coraggio di chi sa “di star facendo la cosa giusta”.
Teresa è una donna sola, separata dal marito, che vive a Napoli con la figlia Manuela, di 9 anni, un’altra figlia più piccola, e la propria madre anziana che la aiuta ogni giorno per consentirle di andare a lavorare per provvedere alla sua famiglia.
Un giorno, mentre Teresa è a lavoro, viene contattata dalla maestra di sua figlia Manuela la quale, mentre la invita a stare tranquilla, le mostra un disegno fatto da Manuela intitolato “L’orco e la bambina”, aggiungendo che quel disegno aveva turbato la maestra, così come la psicologa della scuola, perché “l’orco era nudo e impugnava una pistola, e vicino a lui c’era una bambina con le treccine”, proprio come quelle che portava sempre Manuela.
E allora Teresa deve avere coraggio.
Deve avere ancora più coraggio quando, tornata a casa, cerca di capire, parlando con Manuela, cosa possa essere accaduto. Ed è proprio così che Manuela, dopo aver acceso la tv per guardare i cartoni, come se tutto nella sua cameretta fosse “normale”, consegna alla propria madre un diario; un diario che Teresa, cercando di respirare, inizia a sfogliare, trovandovi le disarmanti descrizioni, fatte da una bambina di 9 anni, dei ripetuti e costanti abusi sessuali che il papà delle sue amichette gemelline, Eppì, la costringe a subire, minacciandola con una pistola, ormai da quasi un anno.
E ancora Teresa deve avere coraggio.
Perché Eppì non è un pedofilo come gli altri: è un pregiudicato per omicidio (avendo ucciso a vent’anni un ragazzo che aveva fatto dei complimenti alla sua fidanzata) che ha trascorso 15 anni in carcere, vicino agli ambienti della criminalità organizzata, e che ha una forte passione per le armi, che pulisce e sistema quotidianamente sulla veranda della sua abitazione, come se fosse un hobby.
Tuttavia, Teresa decide di cercare giustizia per sua figlia, di andare “fino in fondo”, riuscendo nel suo intento perché Manuela è una bambina matura che riesce a narrare la sua triste storia nel processo; ed infatti Eppì viene condannato in primo grado a 15 anni di reclusione, gli stessi che aveva già trascorso in carcere per l’omicidio al suo coetaneo.
Eppì, condotto in carcere, ha un pensiero fisso nella testa, quello di vendicarsi di Teresa.
Ed infatti, attraverso un piano meditato e programmato quando ancora non si trovava ristretto in carcere, essendogli stati applicati gli arresti domiciliari – probabilmente con una valutazione da parte dei giudici che non era riuscita a cogliere fino in fondo la pericolosità dell’imputato – Eppì, dopo aver consegnato alla moglie che lo va a trovare in carcere una lettera contenente un mandato di omicidio, con l’ausilio di due complici, soddisfa il suo desiderio, la sua ossessione: uccide Teresa, una mattina, quando la donna, a bordo della propria autovettura, si stava recando a lavoro.
Eppure Teresa aveva avuto paura, perché tra il giudizio di primo grado e l’appello era stata minacciata dagli amici di Eppì; tuttavia, dopo un momento di umana esitazione in cui si era chiesta se era il caso forse di ritirare la denuncia, Teresa aveva deciso di andare avanti – come chi ha la serenità derivante dalla consapevolezza di star facendo la cosa giusta, e la fiducia nelle Istituzioni e nella possibilità di ottenere giustizia.
Ed effettivamente Teresa la cosa giusta la stava facendo, a costo della propria vita, perché Eppì verrà condannato dalla Corte d’Assise di Napoli all’ergastolo, non solo per averla uccisa ma anche per gli abusi sessuali commessi nei confronti di sua figlia.
La storia di Teresa, e di Manuela, è una storia che tante volte si ripete nelle aule di Tribunale.
Racconti di bambine, o di bambini, coetanei di Manuela, o anche più piccoli, che, nella maggior parte dei casi, se non in tutti, vengono molestati, costretti, anche tutti i giorni, a subire abusi sessuali, dal proprio genitore – generalmente il padre – o comunque da persone, generalmente di sesso maschile, che frequentano abitualmente la casa, da familiari, parenti, zii, nonni.
E così come nella triste storia raccontata nel libro di Carlo Spagna, spesso è proprio la scuola, attraverso insegnanti attente, a rappresentare la sede in cui, attraverso i disegni fatti dai bambini sui fogli, o i segni lasciati dagli artefici delle violenze sul loro tenero corpo, si svelano i sentieri oscuri dell’esistenza di piccoli esseri umani indifesi che riescono a malapena a realizzare il male che stanno ricevendo, attraverso ferite la cui unica speranza resta quella di trasformarsi un poco alla volta in cicatrici.
Tuttavia, Teresa Buonocore, a differenza di tante altre mamme, spesso vittime inconsapevoli di un contesto in cui abusare sessualmente dei propri figli è consentito, perché questi figli rappresentano “una cosa propria” di cui si può fare ciò che si vuole – spesso donne conniventi di compagni non esclusivi perché attratti sessualmente dalle proprie bambine – reagisce, difendendo l’innocenza della sua piccola e la dignità della donna che quest’ultima diventerà, a costo della sua stessa vita.
Teresa Buonocore rappresenta il simbolo di una donna che si ribella rispetto ad un sistema di sopraffazione ed al contempo di rassegnata accettazione fatto da chi quasi non riesce a capire perché Teresa sia stata capace di esasperare una situazione che poteva essere risolta, come spesso accade, con un consistente risarcimento economico; probabilmente sollecitando le coscienze di chi in fondo in fondo quel sistema non lo vuole accettare – proprio come i vicini di casa di Teresa Buonocore, i conoscenti, gli amici, che nel processo hanno trovato il coraggio di testimoniare la verità, non cadendo nella tentazione di scegliere la strada più comoda della reticenza e dell’omertà – che diventa connivenza.
Il libro di Carlo Spagna è un libro che parla di coraggio: il coraggio di una donna prima del coraggio di una madre, un coraggio che non può che rappresentare l’oggetto di un augurio: non quello che certe cose non accadano più perché è difficile che ciò accada, certamente quello che povere vittime innocenti trovino il modo di svelare i segreti dei propri diari, ma soprattutto l’augurio che tante bambine o bambini di oggi possano scegliere la strada più difficile, quella del coraggio, ritrovandosi in tal modo un giorno, da grandi, a provare stima di sé per essere diventate o diventati grandi donne o grandi uomini.